MA PENSATE DAVVERO CHE IL CONSUMATORE SIA UN BABBEO?
“Il problema del meat sounding [cioè del ricorso a denominazioni tradizionalmente in uso per derivati dalla carne] sta nel rischio di confusione per il consumatore” sostengono le organizzazioni che rappresentano gli interessi della filiera della carne.
Ora, vorrei che questi novelli tutori dei consumatori sostenessero (guardandomi negli occhi senza arrossire e senza che scappi loro da ridere) che son davvero convinti che etichette che indicano con ampia evidenza
- “spezzatino 100% vegetale”
- “cotolette vegetariane”
- “ragù vegetale”
- “veggie style, burger vegetali di spinaci e piselli”
- “cotolette vegetariane”
- “polpette vegetali”
- “würstel VEGETALI”
- “burger vegetali, tutto il buono delle verdure”
- “burger di soia PER UNA DIETA VEGETARIANA”
- “a base di proteine di pisello, 0% tonno, 100% gusto”
siano idonee a trarre subdolamente in inganno il consumatore, inducendolo nell’errato convincimento che una “cotoletta 100% vegetariana” contenga invece lombata, filetto, fesa, girello e scamone.
Nel 2016 la Commissione Europea, in risposta a un’interrogazione dettata dalle stesse organizzazioni ribadì che non aveva in programma l’introduzione di denominazioni tutelate per i prodotti a base di carne, ritenendo che le disposizioni applicabili offrissero una base giuridica sufficiente per tutelare i consumatori da indicazioni ingannevoli.
Nel 2020 il Parlamento europeo bocciò l’emendamento 165 della relazione AGRI (recitava “I termini relativi alle carni e i nomi che rientrano nell'articolo 17 del regolamento (UE) n. 1169/2011 e che sono attualmente utilizzati per le carni e i tagli di carne sono riservati esclusivamente alle parti commestibili degli animali”) sollecitato dalle stesse caparbie organizzazioni.
I consumatori, dal canto loro (Analysis of a survey of European consumers on attitudes towards sustainable food, Bureau Européen des Unions de Consommateurs/The European Consumer Organisation, giugno 2020), ritengono che questi nomi possano ben essere utilizzabili, una volta che i prodotti siano chiaramente etichettati come vegetariano/vegano (42.4%), cui si aggiunge un 26.2% che non vede in nessun caso il minimo problema alla denominazione.
Intrecciando le dita per l’introduzione di una normativa (autarchica, non potendo essere europea, viste le premesse), ASSICA, Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi sostiene: "L'uso continuato nel tempo di nomi carnei per prodotti che non contengono nemmeno un grammo di carne ha creato una malsana abitudine nel consumatore, convinto di comprare un prodotto sostanzialmente uguale, che si ritrova invece a mangiare qualcosa di sostanzialmente differente”.
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Con ciò fa un’ammissione che contraddice la sua tesi: l’uso di “cotoletta vegetale”, “burger vetegariano” e “würstel di soia” è continuato nel tempo e ha creato così un’abitudine (malsana o no) che fa sì che non si tratti solo di una denominazione descrittiva, ma di una denominazione usuale, quindi del tutto utilizzabile a norma di legge.
Pensare che un consumatore possa essere convinto che un “würstel di soia” sia sostanzialmente uguale a un “würstel di carne suina” o a un “würstel di carni di pollo e tacchino” separate meccanicamente dimostra in che poco conto le organizzazioni che rappresentano l’interesse della filiera della carne tengano l’intelligenza dei consumatori.
Ma c’è di più.
Com'è noto, sono incompatibili con il Trattato sull'unione Europea disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro che falsino le condizioni di concorrenza sul mercato, impedendone, restringendone o falsandone il gioco.
Divieti o restrizioni all'importazione sono giustificabili solo per motivi che qui non si configurano (moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute e della vita delle persone e degli animali, preservazione dei vegetali, protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, tutela della
proprietà industriale e commerciale).
Solo le imprese italiane verrebbero vincolate all'osservanza di regole, in un quadro in cui è consentito (o meglio, non può essere impedito) a imprese comunitarie destinare al mercato italiano prodotti con le caratteristiche che s’intende ostacolare: non si potrà impedire la commercializzazione sul mercato italiano né di “cotolette vegetali” né di “würstel di soia” legalmente prodotti in Francia, Slovenia o Germania.
Chi ci guadagna e chi ci perde?
Anche per la suprema Corte ogni limitazione imposta dal legislatore nazionale alla fabbricazione di un prodotto nel territorio italiano che non rinvenga nel diritto comunitario il proprio fondamento giustificativo, “si risolve in uno svantaggio competitivo e, in ultima analisi, in una vera e propria discriminazione in danno delle imprese nazionali”.
E se la disparità di trattamento tra imprese nazionali e imprese comunitarie è irrilevante per il diritto comunitario, non lo è affatto per il diritto costituzionale italiano.
“Non potendo essere da questo risolta mediante l'assoggettamento delle seconde ai medesimi vincoli che gravano sulle prime, poiché vi osta il principio comunitario di libera circolazione delle merci, la sola alternativa praticabile dal legislatore in assenza di altre ragioni giustificatrici costituzionalmente fondate è l'equiparazione della disciplina della produzione delle imprese nazionali alle discipline degli altri Stati membri nei quali non esistano vincoli alla produzione e alla commercializzazione analoghi a quelli vigenti nel nostro Paese”: per la Corte, il principio di non discriminazione tra imprese che agiscono sullo stesso mercato in rapporto di concorrenza opera come istanza di adeguamento del diritto interno ai principî stabiliti nel trattato e impedisce che le imprese nazionali siano gravate di oneri, vincoli e divieti che il legislatore non potrebbe imporre alla produzione comunitaria.
Il che sta a dire che se il parlamento (autarchico) adotterà la norma (autarchica) invocata dalle organizzazioni che rappresentano gli interessi della filiera della carne (autarchica), e sempre ammesso che il Quirinale la promulghi, è spalancata la strada al ricorso alla Corte Costituzionale.
La stizza di parte dei produttori di “würstel di carni di pollo e tacchino” separate meccanicamente nei confronti dei colleghi che producono le alternative vegetali vale tutto questo amba aradam?
P.S. Naturalmente una norma nazionale tesa a vietare pericolose denominazioni quali “würstel di soia"e "burger vegetali" non impedirebbe alle aziende italiane (curiosamente, in buona parte aderenti alle stesse organizzazioni che reclamano il bando, chissà il vivace dibattito interno) di continuare a produrre e far apprezzare i loro prodotti negli altri Paesi UE i cui parlamenti non sono tirati per la giacchetta a perder tempo in sciocchezze.
Divulgatore Agr. c/o Alsia U.O. Agricoltura Biologica
1 annoE che dire sulle farine d'insetti! Ma allora al governo sono tutti biologici, visto il livore verso la "carne sintetica"...
agriculture, officinal plants, National Parks
1 annoChe dire.... ottimissima descrizione di una delle assurdità più indignanti degli ultimi tempi, con tutte le emergenze reali che stiamo vivendo a livello socio economico ed ecologico, c'è ben altro di cui preoccuparsi che del meat sounding - o della carne sintetica, per citare un'altra assurda preoccupazione da parte della solita lobby. Che poi, a ben pensarci, abbiamo davvero così bisogno di tutta questa carne ???!? Si vive benissimo anche senza, o quantomeno con razioni assai ridotte di carne, rispetto a quelle attualmente consumate nei cosiddetti Paesi sviluppati, quindi ... viva i prodotti vegetali, meglio se non industrializzati per "sembrare di carne "!!