Mercato dell'energia: non è (più) un paese per piccoli

Mercato dell'energia: non è (più) un paese per piccoli

Negli ultimi 12 mesi, mentre si rincorrevano notizie di acquisizioni di piccole società di vendita di energia ad opera di aziende di medie e grandi dimensioni (solo per citarne alcune: Hera Comm acquisisce Gran Sasso Energia, Illumia acquisisce Electra Italia, Iren acquisisce Salerno Energia, Spigas e Canarbino acquisiscono Miogas e Nuovenergie, Società Gas Rimini acquisisce Astea, Estra acquisisce Gas Marca e Piceno Gas Vendita, Green Network acquisisce Energrid), unite a qualche default più o meno importante di altri player, l'M&A viveva il suo climax con il processo di vendita della rilevante branch italiana di un gruppo multinazionale spagnolo: un deal da oltre 500.000 clienti come non si vedeva da anni e chiuso a prezzi giudicati da molti osservatori a livelli da record.

Cosa sta succedendo nel settore? Dopo una prima fase fomentata dal tipico entusiasmo post liberalizzazione dei new entrants, seguita da una seconda e più lunga fase tormentata da un mercato della materia prima in costante ribasso, la forte pressione concorrenziale unita all'inversione di tendenza sui prezzi all'ingrosso dell'energia, come si suol dire, hanno fatto venire i nodi al pettine. Il risultato finale: una drastica compressione delle marginalità.

E così questo non è più (e forse non avrebbe dovuto mai esserlo) un mercato per piccoli. Perché è di tutta evidenza, buon senso alla mano, che il recupero di marginalità sulla vendita è affare per pochi, meglio se grandicelli o grandissimi.

Andiamo per ordine: aumentare l’Ebitda per una società di vendita significa in primis aumentare la marginalità pro capite per cliente e, di pari passo, aumentare le vendite (il portafoglio clienti).

Ma aumentare la marginalità pro capite – dal momento che non si può agire sui consumi individuali, che evidentemente costituiscono un fattore esogeno per il fornitore – lo si può fare da una parte riducendo i costi fissi e variabili correlati al servizio al singolo cliente e dall’altra, se possibile, incrementando il suo valore attraverso l’upselling di prodotti o servizi a valore aggiunto (new downstream, ad esempio) che vadano ad aggiungersi alla commodity (kWh o mc che sia). Entrambi esercizi, questi, che mal si conciliano con aziende di piccole dimensioni: la riduzione dei costi, beninteso a parità di qualità del servizio, è raggiungibile solo attraverso le economie di scala, che a loro volta richiedono portafogli clienti di dimensioni notevoli. E la vendita di prodotti/servizi a valore aggiunto, ovviamente mi riferisco a volumi di vendita tali da incidere materialmente sul conto economico, richiede investimenti e sforzi organizzativi ingenti, oltre che un certo potere contrattuale verso le controparti (vendors, installatori, operatori del credito al consumo per citarne solo alcune) che solo aziende dal brand robusto possono vantare.

Passiamo alle vendite: aumentarle per aumentare i ricavi, in un mercato prevalentemente ancora “push” come quello dell’energia, significa sostanzialmente potenziare le reti indirette. Ma ancora una volta siamo di fronte a uno scoglio arduo per piccole aziende: le reti indirette sono costose, richiedono una struttura di supervisione e controllo complessa e pretendono, almeno quelle più produttive, una mandante dal brand forte e ben riconoscibile sul territorio, disposta a sostenere la loro attività “sulla strada” con cospicui investimenti di marketing, merchandising, conventions e viaggi incentive. Soprattutto, queste reti oggi in Italia possono ancora permettersi di scegliere l’ingaggio e per la piccola società di vendita diventa assai difficile conquistarle.

Ed è quindi lampante che, con un cap sui ricavi - che più di tanto non crescono - e con un floor sui costi - che più di tanto non si riducono - la vita dei piccoli operatori, stretti dall'abbraccio letale dell'aumento dei prezzi della materia prima, del churn rate e della morosità, diventa difficile.

La tanto attesa digital disruption può cambiare le carte in tavola ? Nel breve sembra piuttosto irrealistico crederci: la vendita sul web consente sì di disintermediare il rapporto con il cliente, facendo a meno delle costose reti di vendita indirette, ma richiede cospicui e costanti investimenti in digital marketing, dal momento che anche nell’ecosistema del web la vendita di energia resta pur sempre un mercato “push”. Senza considerare oltretutto che ancora oggi il digitale non è ancora in grado di generare volumi di acquisizione lontanamente paragonabili a quelli procurati dai cari vecchi teleseller e venditori porta a porta. Nel medio termine (fra i 3 e i 5 anni) la digitalizzazione avrà maggiori probabilità di incidere sensibilmente nel mercato dell’energia, ma quale player piccolo ha oggi le spalle sufficientemente robuste per resistere finanziariamente e aspettare ?

Ed ecco che la crescita inorganica è diventata il nuovo mantra del settore: sembrano trascorsi anni luce da quando, nel 2015, nel mio post Energy utilities, piccolo è bello ? si tessevano le lodi dei piccoli operatori virtuosi. Il mondo è cambiato, il mercato dell'energia pure e l’acquisizione, da parte dei top player, di piccole società di vendita (e forse anche di quelle medie) sarà la cifra del prossimo lustro.

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Andrea Carassale

ENERGY@ SRL - TOP AGENCY SARDEGNA. AXPO ITALIA SPA - PULSEE - GREEN+

6 anni

A conferma di quanto espresso precedentemente ; non è più mercato per improvvisati e peracottari... IL mercato dell'energia premia chi si specializza ed approccia alla clientela su base contenuti e servizi, non certo lanciando "fumonegliocchi.." .

Alessandro Accrocca

Partner presso Hogan Lovells

6 anni

Complimenti molto istruttivo

Giuseppe Caforio

Head of Sales & Growth Retail I Omnichannel Sales Strategy I Growth I Digital Trasformation I Member of Digital Board Retail Italy

6 anni

Complimenti Pier, un analisi lucida e puntuale che disegna un futuro a cui tutti noi del settore guardiamo con grande interesse.

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