Il mercato USA festeggia la vittoria di Trump, ma l’Europa trema

Il mercato USA festeggia la vittoria di Trump, ma l’Europa trema

Di Filippo Casagrande , Chief of Investments di Generali Investments estments

Le elezioni del 5 novembre segnano un vero e proprio terremoto per il quadro politico statunitense.

Cos’è successo sui mercati : l’indice S&P 500 è salito del 2,5%, toccando un nuovo record storico, trascinato dal cosiddetto “Trump-trade”. Il settore finanziario statunitense ha segnato guadagni superiori al 6%, gli Industriali +3,8%, Energia e Consumi Discrezionali +3,6%. Al tempo stesso, i tassi statunitensi si sono mossi fortemente al rialzo, con il tasso decennale salito di ben 16 punti base in un singolo giorno, superando il 4,4%, il livello più alto da inizio luglio e in rialzo di ben 80 punti base dai minimi di metà settembre.

Diametralmente opposto il quadro per il mercato europeo. L’indice MSCI EMU è sceso dell’1,2%, con i nomi legati al Green Deal (il programma della Commissione Europea per la riconversione dell’economia con criteri attenti all’impatto ambientale) in calo del 3%. Anche il comportamento dei tassi è stato opposto rispetto a quello visto negli Stati Uniti: il tasso decennale Bund è sceso di 2 punti base (in area 2,40%) e quello a 2 anni di ben 13 punti base in una singola seduta.

Gli investitori scontano uno scenario di crescita ancora più difficile a causa dell’impatto dei dazi sulle esportazioni europee e, di conseguenza, una BCE ancora più accomodante per contrastare questa prospettiva. La debolezza dell’Eurozona si completa con la performance dell’euro, in calo di quasi due punti percentuali contro il dollaro come prima reazione alla vittoria di Trump.

Anche le aspettative su BCE e Fed sono andate in completa divergenza: le aspettative sui tassi della Fed per fine 2025 si sono alzate di ben 100 punti base da metà settembre, mentre non si registra alcuna variazione per la BCE, che dovrebbe portare i tassi sotto il 2% il prossimo anno.

A completare e complicare il quadro politico nell’Unione c’è anche la crisi di governo in Germania, con elezioni anticipate il 23 febbraio 2025, mentre ancora deve vedere la luce la nuova Commissione Europea a quasi sei mesi dal voto di giugno. Certamente, un vuoto politico che l’Eurozona non si può permettere in questo frangente. 

Migliorano i dati economici, ma sull’Europa incombe la scure dei dazi commerciali

Nelle ultime settimane i dati hanno sorpreso al rialzo, sia in Europa ma soprattutto negli Stati Uniti. Sono soprattutto i servizi a mostrare dati sopra le attese, mentre permane la debolezza del settore manifatturiero. È ancora presto per capire cosa succederà negli Stati Uniti, ma alcuni indicatori di fiducia come l’Empire Manufacturing pubblicati dopo il voto mostrano un notevole rimbalzo, che sembra indicare una maggiore propensione agli investimenti delle imprese data la rimozione dell’incertezza politica precedente al voto.

Guardando i numeri di crescita, il PIL reale dell’Eurozona ha segnato un +0,4% nel terzo trimestre, il doppio delle attese, con la Germania che evita un altro trimestre di contrazione (+0,2% vs -0,1% atteso). Ferma al palo la crescita in Italia, fattore che rende più difficile l’aggiustamento dei conti pubblici. Gli Stati Uniti confermano, invece, una crescita molto più solida, pari allo 0,7% nel trimestre (+2,8% annualizzato). Le stime degli analisti per la crescita nell’Eurozona non registrano variazioni di rilievo, rimanendo a +0,7% per il 2024 e +1,2% nel 2025. Molto più alti i tassi di crescita negli Stati Uniti, rivisti peraltro ancora al rialzo: +2,7% nel 2024 e +1,9% nel 2025.

Guardando agli Stati Uniti più nel dettaglio, i dati del mercato del lavoro di ottobre sono stati influenzati da eventi eccezionali (uragani e scioperi), che hanno depresso il numero di nuovi occupati ad appena 12mila ed è quindi difficile trarre conclusioni da essi.  La disoccupazione rimane ferma al 4,1%, con la crescita dei salari che registra un solido +4,0% annuo. Per quanto riguarda gli indici di fiducia, l’ISM Manufacturing è sceso da 46,5 dal precedente 47,2, mentre l’ISM Services ha sorpreso nettamente al rialzo, arrivando a 56,0 (dal precedente 54,9), con la componente occupazionale in deciso miglioramento. Migliora anche la fiducia delle piccole imprese ad ottobre, e il calo dell’incertezza politica con la vittoria di Trump dovrebbero contribuire a ulteriori progressi il prossimo mese. Migliora, infine, anche la fiducia dei consumatori.

L’inflazione non scende più...

Guardando ai dati di ottobre, negli Stati Uniti l’inflazione complessiva è salita dal +2,4% al +2,6% su base annua, mentre l’inflazione core è ferma al +3,3%, attorno ai livelli degli ultimi sei mesi.

Nell’Eurozona, l’inflazione complessiva risale dal precedente +1,7% all’attuale +2,0%, in ragione dell’effetto base meno favorevole sui beni energetici (ancora in territorio negativo a -4,6%) e l’accelerazione dei prezzi degli alimentari. L’inflazione core è ferma al +2,7%. Gli analisti hanno rivisto leggermente a rialzo le stime per gli Stati Uniti per il 2025 (da +2,2% a +2,3%), mentre sono invariate quelle per il 2024 (+2,9%). Per l’Eurozona nessuna variazione rispetto alle stime precedenti: +2,4% nel 2024 e +2,0% nel 2025.

Nell’Eurozona, paesi come Italia e Spagna stanno sperimentando la crescita dei salari più rapida degli ultimi 15 anni, un aggiustamento inevitabile considerando l’ampia perdita di potere di acquisto dei consumatori durante lo shock energetico del 2022, e favorito appunto dai bassi livelli di disoccupazione, ai minimi dal 2007.

Le differenze tra Stati Uniti ed Eurozona riguardano le prospettive. Gli Stati Uniti sembrano andare incontro a un rischio tutt’altro che trascurabile di riaccelerazione dei prezzi: i dazi porterebbero, almeno nel breve termine, ad un aumento dei prezzi al consumo, e ancora più rischiose sono eventuali politiche fiscali espansive, considerando il già ampio deficit del governo statunitense.

Per contro, i paesi europei devono affrontare programmi di riduzione dei deficit fiscali e i possibili dazi della nuova amministrazione Trump rischiano di peggiorare ulteriormente il quadro economico. Il passaggio da crescita più debole ad inflazione più bassa è teoricamente solido, ma richiede tempo: solitamente l’inflazione dei servizi in Eurozona risponde con un ritardo di 9-12 mesi all’aumento della disoccupazione. Ma con la disoccupazione ancora ai minimi in molti paesi, anche in Eurozona la riduzione dell’inflazione core non sarà un percorso facile. 

Le politiche monetarie: meno tagli per la Fed, tassi sotto il 2% nel 2025 per la BCE

Il diverso contesto di crescita, inflazione e stabilità/instabilità politica tra Stati Uniti ed Eurozona non può che tradursi in andamenti diversi per le politiche monetarie.

Per la BCE niente è cambiato rispetto a settembre: il mercato vede 5-6 tagli dai livelli attuali, così da portare il tasso sui depositi sotto il 2% già entro giugno 2025. Il focus è sui rischi per la crescita. Vedendo i livelli di inflazione dei servizi ancora molto elevata e la disoccupazione ai minimi, il pricing di mercato non lascia spazio ad errori: nell’eventualità di sorprese positive sulla crescita, questi tagli potrebbero risultare eccessivi. Ad ogni modo, è presto per fare questi ragionamenti, data l’assenza particolari elementi positivi per le prospettive di breve termine per l’Eurozona.

Musica completamente diversa per la Fed: le aspettative sui tassi a fine 2025 si sono alzate di ben 100 punti base rispetto a metà settembre (quando la Fed tagliò di 50 punti base a causa delle preoccupazioni sul mercato del lavoro) e gli investitori scontano ora appena 3 tagli da qui a fine 2025, per un tasso Fed in area 3,8% a fine 2025. In caso di una accelerazione della crescita statunitense nel corso del 2025, non è da escludersi che queste aspettative di tagli per la Fed vengano ulteriormente ridotte.

I mercati finanziari e le prospettive

Gli ultimi due mesi hanno premiato il mercato azionario statunitense (+10,4% in termini di euro), mentre quello europeo è in territorio negativo (-2,3%).

Sul lato tassi, i rendimenti dei titoli del Tesoro USA decennali (ma anche del Regno Unito) sono saliti di quasi 80 punti base, mentre i Bund tedeschi di soli 20. Performance ancora migliore per i BTP italiani, che con un rendimento quasi invariato (+3 punti base) vedono lo spread scendere a 120 punti base, ai minimi da novembre 2021.

In deciso calo anche gli spread corporate, sia Investment Grade, sia High Yield. Anche in questo caso, gli spread sono ai minimi degli ultimi tre anni in Europa, mentre lo spread Investment Grade americano è addirittura ai minimi storici (High Yield ai minimi da 17 anni).

Guardando avanti, è difficile trovare una situazione così sbilanciata a favore degli Stati Uniti rispetto all’Eurozona per quanto riguarda le prospettive di crescita e la fiducia degli investitori.

L’eccezionalità degli Stati Uniti è evidente: stabilità politica post elezioni, politiche fiscali espansive, agenda pro-business, autonomia e leadership energetica. Quest’ultimo punto rappresenta un vantaggio competitivo enorme rispetto all’Europa, non solo nel classico ambito industriale, ma sempre di più anche in ottica di Artificial Intelligence.

Per contro, l’Eurozona si trova priva di un chiaro indirizzo politico, con una Commissione Europea ancora da ufficializzare, il governo in Germania dimissionario e un’elevata instabilità in Francia.

Manteniamo quindi una preferenza nel comparto azionario sugli Stati Uniti rispetto all’Europa, e un atteggiamento opposto per quanto riguarda il comparto obbligazionario, favorendo i bond dell’Eurozona rispetto a quella statunitense.

Andando nel dettaglio delle varie classi di attivi:

  • Sul comparto azionario, atteggiamento prudente sull’Europea e l’Eurozona in particolare, visti i rischi sulla crescita attuali e futuri post elezione Trump e la fragilità politica di Commissione Europea, Germania e Francia. Confermiamo l’atteggiamento più costruttivo sugli Stati Uniti, vista l’agenda pro-business della futura amministrazione Trump e gli altri punti di forza strutturali (alto surplus delle imprese, indipendenza e leadership energetica). Non possiamo escludere volatilità dati i movimenti violenti delle ultime settimane e le valutazioni molto elevate, ma il mercato statunitense sembra strutturalmente meglio posizionato nel medio termine.
  • Bond governativi: i rendimenti si sono alzati nelle ultime settimane, con il tasso decennale Treasury USA in area 4,45% e il tasso Bund in area 2,35%. Sebbene lo spread Transatlantico – la differenza tra Treasury USA e Bund tedeschi – sia a livelli già storicamente elevati (210 punti base), non possiamo escludere un’ulteriore sottoperformance della parte statunitense, specie in caso di nuove politiche espansive dell’amministrazione Trump. Per contro, i bond dell’Eurozona offrono rendimenti più interessanti rispetto a due mesi fa e le prospettive di crescita sembrano maggiormente a rischio, fattore che limita i rischi di ulteriori aumenti significativi dei tassi. Questo ci fa propendere per un’esposizione in “sovrappeso” rispetto l’allocazione strategica per Bund e BTP italiani. Questi continuano a beneficiare di una situazione politica stabile e i progressi nell’aggiustamento del bilancio e crediamo che i BTP siano preferibili rispetto ai titoli di stato francesi.
  • Per quanto concerne il credito, gli spread si sono ridotti ulteriormente e sono a livelli storicamente molto bassi, sia nell’Eurozona e ancora di più negli Stati Uniti (addirittura al minimo storico per il comparto Investment Grade USA rispetto ai Treasury americani). Le preoccupazioni sulle finanze pubbliche oltreoceano e sulla fragilità politica in Europa (specialmente in Germania) hanno favorito questa riduzione degli spread, dato che molte imprese presentano per contro bilanci solidi e livelli elevati di cassa. Riteniamo che nonostante questi livelli bassi di spread sia comunque utile usare il credito per migliorare la redditività del portafoglio. Manteniamo il focus su quei titoli con la miglior combinazione spread e duration, preferendo cioè titoli con duration più bassa a parità di spread e altre condizioni.

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