MORIREMO DI CHURNALISM?

MORIREMO DI CHURNALISM?


Nel 2008 il giornalista del Guardina Nick Davies sosteneva come l'80% delle fonti di informazione cui attingevano i principali giornali inglesi provenisse da comunicati stampa. Comunicati stampa che venivano riciclati e scopiazzati.

Un fenomeno che in inglese ha un nome preciso: Churnalism.

Che suona tanto come cialtronismo e mi piace pensare che sia anche questo. Ma in senso letterale significa altro: si tratta di un neologismo che nasce dalla crasi dell’inglese churn out (sfornare a getto continuo) e journalism, giornalismo. Si dice che a coniare questo termine, sempre nel 2008, fu l giornalista della BBC Waseem Zakir.

Parliamo quindi di un fenomeno globale, non solo italiano: copiare e incollare a getto continuo comunicati stampa come se fossero articoli giornalistici, senza dire ai lettori che sono in realtà comunicati stampa. Un fenomeno che continua ad aumentare nel silenzio generale di colleghi e categoria.

Ohibò, direte voi, che sarà mai copiare un comunicato stampa, tanto dice cose interessanti per i giornalisti, no?

NO.

Il comunicato stampa non è giornalismo, come ho già avuto modo di spiegare.

Ma andiamo per gradi.

Fino a poco tempo fa esistevano delle piattaforme come churnalism.com che aiutavano a capire se l’articolo trovato in rete fosse in realtà una copia di un comunicato stampa. Un mezzo straordinario che però non è più attivo. Ed è un vero peccato. L'immagine di questo sito è quella che ho usato per la copertina di questa neewsletter: una donna di altri tempi intenta a a usare la zagola (in inglese churn e da qui il termine to churn out) per produrre il burro. E' un verbo che indica un'azione compiuta in modo automatico, senza pensarci troppo

Funzionava così: a sinistra mettevi il testo e a destra comparivano le fonti originali.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Venivano fuori cose interessanti:

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Ma se avete un po’ di dimestichezza con le ricerche online, basta digitare su Google il titolo di un comunicato stampa per vedere quante volte è stato ripreso. Perché manco i titoli cambiano. Senza vergogna proprio.

Un comunicato stampa NON è un articolo giornalistico.

Il nome evocativo cela in realtà un intento molto pragmatico: è una comunicazione rivolta alla “stampa”, quel mondo non meglio precisato di giornalisti, caporedattori, direttori, coordinatori editoriali, segretarie e segretari di redazione, stagisti, praticanti, fotoreporter, videoreporter, e qualsiasi altra figura lavori nel mondo dell’informazione. Il comunicato può arrivare a una qualsiasi di queste figure. C’è chi fornisce indirizzi email apposta per i comunicati, chi manda tutto in segreteria di redazione, chi ha i contatti giusti dei giornalisti giusti e manda solo a quelli che possono essere interessati dalla notizia. Qui sta alla bravura degli addetti stampa: ce ne sono di eccellenti, ma ce ne sono anche di improvvisati.

Chi ha lavorato nelle redazioni, ma anche chi lavora fuori come freelance, si sarà imbattuto almeno una volta nel collega, o caporedattore, o altra figura di questo variegato mondo che le o gli avrà allungato il comunicato, chiedendo di metterlo così come è. Oppure, molto più semplicemente, in un’epoca come questa in cui siamo bombardati di informazioni e per alcune testate la velocità di pubblicazione è ancora (purtroppo) la cifra con cui si misurano le performance, molti colleghi e colleghe pubblicano così, magari incalzati dai superiori, per essere i primi a parlarne o per altre motivazioni che al momento mi sfuggono: che senso ha copiare e incollare un comunicato velocemente, se tanto nel giro di poche ore questo stesso comunicato uscirà praticamente identico altrove? I lettori vi premieranno perché lo avete pubblicato cinque minuti prima? Sul serio ci credete?

Perché si copia e incolla senza verificare o approfondire?

Per tante ragioni (nessuna valida) tra cui:

  1. la notizia è interessante, ma non c’è tempo di approfondire;
  2. non è interessante, ma arriva da un ente/istituzione/azienda/professionista prestigiosi e non si può non mettere.

Che succede se esce sugli altri giornali e non sul nostro?

Niente. Non succede niente.

Eppure, la corsa a sfornare notizie/comunicati continua. E quella distinzione tra notizia e comunicazione, tra giornalismo e pubblicità, si fa sempre meno netta.

Ma allora cos'è il comunicato stampa?

Il comunicato stampa è una forma di comunicazione. Questo è pacifico. Non c’è nulla di giornalistico, è pura pubblicità delle cose belle/interessanti (dal loro punto di vista) che un ente, un’azienda, un professionista e qualsiasi realtà, pubblica o privata, ha fatto o è in procinto di fare (si fanno comunicati sui progetti conclusi, ma anche su quelli che si stanno per avviare….).

Altra precisazione: non c’è nulla di sbagliato nell’oggetto comunicato stampa. Può essere più o meno commerciale, con un taglio più giornalistico, oppure comunicativo. Non c’è limite alla fantasia, nei comunicati non ci sono regole da seguire, se non il buon senso (ma non è sempre presente) e il rispetto per l’intelligenza di chi leggerà (idem come sopra). È giusto e legittimo che una realtà pubblica o privata comunichi alla stampa.

Nell’ambito medico, può essere un’azienda farma che comunica l’approvazione del proprio farmaco per la tal patologia, oppure un gruppo di ricercatori di un’università o ospedale che pubblica uno studio scientifico su una rivista prestigiosa. Può essere l’annuncio di un congresso o un evento, la scoperta di una nuova molecola, etc..

Nei comunicati si scrive ciò che si vuole che sia pubblicato sui giornali.

Sono tutte forme di comunicazione legittime da parte di chi le produce.

Ma diventano marchette se finiscono tal quali sui giornali, che non dovrebbero ospitare comunicati tal quali (non è giornalismo) ma semmai rielaborarli e sentire fonti e voci differenti da quelle riportate dal comunicato, verificare che le notizie riportate siano corrette e non gonfiate, fare insomma pelo e contropelo alla comunicazione e poi decidere come e se pubblicarla....in modo giornalistico, non copiando!

Occorre fare dei distinguo: il comunicato che mi annuncia un evento non è che si può rielaborare più di tanto, si può anche mettere come fosse un’informazione di servizio. Ma dove lo pubblico? In un articolo a sé stante o in un pezzo che contiene altri eventi, dando a tutti la stessa visibilità? Porsi queste domande anche di fronte a un comunicato di un evento significa saper fare questo lavoro.

Perché un giornalista non dovrebbe riportare un comunicato tal quale?

Ma torniamo ai comunicati “evocativi”, “pubblicitari”, da “primo studio al mondo”, “quanto siamo i migliori”….i più numerosi in poche parole. Pubblicarli così come sono equivale a pubblicare un annuncio pubblicitario spacciandolo per articolo giornalistico. Così forse vi è più chiaro.

Un servizio giornalistico (scritto, audio, video, etc..) per definirsi tale deve mantenere almeno queste caratteristiche:

  • portare diversi punti di vista;
  • non far trasparire l'opinione di chi scrive l'articolo: il giornalista deve sempre mantenersi equidistante dai fatti che espone e far parlare gli altri, la sua voce non esiste se non per sintetizzare le varie posizioni;
  • utilizzare più di una fonte (e verificarle tutte) e per fonte non si intendono solo scritti, materiali vari, documenti, ma anche persone da ascoltare in quanto esperti o comunque interessati dalla vicenda di cui si sta parlando.

Capite bene che nel momento in cui si copia e incolla un comunicato e si ha pure la finezza di firmarlo, non stiamo facendo un buon lavoro. Qualcuno mantiene almeno la dignità di scrivere “Riceviamo e pubblichiamo” che comunque non deresponsabilizza dal fatto che si stia spacciando un comunicato per un articolo, ma almeno il lettore è avvisato che sta leggendo qualcosa non prodotto dal giornale. Sono pochi a farlo.

In molti altri casi, non c’è nessun intervento. Oppure il giornalista, per amor proprio, prova a risistemare l’incipit e la conclusione, cambia il senso degli interventi, tagliuzza qualcosa. Ma l’impianto rimane.

Cosa bisogna fare quando arriva un comunicato stampa?

Il lavoro dei colleghi che ci mandano il comunicato va rispettato e prima di eliminarlo il comunicato va sempre letto. Molti comunicati sono interessanti, ma vanno presi come spunti, non come fonti uniche per l’articolo.

Se mi arriva un comunicato di un’Università che mi racconta la pubblicazione appena uscita sullo studio su quella malattia, e magari mi dice pure che è il primo studio al mondo in questo ambito, io come giornalista posso giudicare il tema interessante. Ma devo fare delle verifiche prima di parlarne o scriverne.

Posso fare tre cose (almeno):

  1. decido di approfondire, verifico le notizie, intervisto sia gli autori dello studio sia altri esperti al di fuori della ricerca che possono avere opinioni diverse sui risultati raggiunti; mi documento su studi scientifici simili, cerco di mettere insieme le varie posizioni sul tema;
  2. se consentito dalla linea editoriale della testata, pubblico il comunicato scrivendo che è un comunicato stampa e citando la fonte (non è quindi un articolo giornalistico e non andrebbe firmato dal giornalista!);
  3. se non ho tempo di fare niente di tutto questo, non pubblico nulla: il giornale non fallirà per questo, ve lo assicuro.

Queste sono le azioni da fare quando arriva un comunicato.

Non le sceglie quasi mai nessuno. I più bravi scelgono la prima via, i meno bravi ma corretti scelgono la seconda. Io scelgo spesso la terza via, più per mancanza di tempo che di interesse ( o magari metto da parte e riprendo più avanti, seguendo il punto 1).

Di solito prevale la quarta via, quella sbagliata. Il churnalism: copio e incollo (e firmo!).

Vi riporto un esempio di un comunicato che era arrivato anche a me, ma che per mancanza di tempo utile per approfondire, avevo deciso di ignorare (con rammarico perché la notizia era interessante).

Il titolo del comunicato stampa era questo: “Le placche aterosclerotiche “dialogano” con il cervello”. Un titolo molto efficace, senza dubbio (ma il capo ufficio stampa è molto bravo ed è un giornalista, sa fare molto bene il suo mestiere).

Sempre nel comunicato si legge: “Una nuova ricerca, che vede tra i principali protagonisti il Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, dimostra per la prima volta l’esistenza di un collegamento tra le placche aterosclerotiche e il sistema nervoso centrale, che a sua volta, attraverso la milza, attiva il sistema immunitario stimolando ulteriormente lo sviluppo della patologia. Questo “circuito nervoso” finora sconosciuto potrà rappresentare un bersaglio per terapie innovative”. Viene poi ribadito che la ricerca è stata pubblicata su Nature, e varie citazioni degli autori e autrici dello studio.

Un ottimo comunicato. Hanno fatto bene a scriverlo così.

Qui trovate la versione integrale del comunicato di Neuromed:

Come lo hanno gestito le redazioni?

 Provate a cercare il titolo del comunicato online, fate copia incolla. O cliccate qui.

Come vedete il titolo è uguale in quasi tutti gli articoli.

Non si copia solo il titolo, ma anche il testo. Ma non si dice che è un comunicato stampa, passa tutto come se fosse un articolo.

Qualcuno potrebbe obbiettare: ma per una ricerca così particolare vale comunque la pena di parlarne anche se non si sentono altre fonti. Può essere. Ma almeno si deve rielaborare il testo, magari aggiungendo qualcosa in più sul tema. Il copia e incolla, o la risistemazione frettolosa per far vedere che non hai copiato, e pure con tanto di firma, è una presa in giro.

Lo voglio ribadire: il comunicato stampa è una forma di comunicazione che non può trovare spazio (in forma integrale, senza interventi) in un giornale a meno che non sia etichettata come tale. Si può pubblicare il comunicato stampa così com’è senza problemi se si mette in evidenza che è un comunicato stampa e non un articolo giornalistico.

Altrimenti è come se fossimo il bollettino o l’house organ dell’azienda/istituzione che ci ha mandato il comunicato. E noi giornalisti non siamo l’house organ di nessuno se non dell’interesse dei lettori.

Qualsiasi forma di comunicazione è legittima: basta spiegare che è altra cosa rispetto al giornalismo.

I media possono pubblicare comunicati, ad esempio perché fanno una media partnership con un’azienda (anche questo è un tema di cui parlerò più avanti): basta dirlo, basta spiegare ai lettori che questa è comunicazione e non giornalismo.

Una nuova forma di Churnalism: dare visibilità a studi scientifici inutili o riportare i risultati in modo errato

Detto questo, nel mondo del giornalismo medico-sceintifico sta prendendo piede un’altra forma deviata di Churnalism di cui ha parlato recentemente anche la bellissima newsletter Sensitive Medicine a cui vi invito a iscrivervi. In pratica stiamo assistendo sempre di più a colleghi e colleghe che riportano risultati  (esaltandoli) di studi clinici di bassa qualità (o comunque inconcludenti o contraddittorii); oppure riportano male i risultati di uno studio, per incompetenza o sensazionalismo. O perché siamo in campagna elettorale, aggiungo io. E tra poco ci arrivo. In questo caso quindi il churlanism significa perpetrare un'interpretazione sbagliata di una notizia (perché più sensazionale o per incompetenza): appena inizia un giornale subito molti altri seguono.

Churnalism, caso 1: I FANS riducono le ospedalizzazioni per COVID-19 del 90%

Celebre e piuttosto recente è stato il caso degli antiinfiammatori (FANS) per trattare i sintomi della COVID-19: lo scorso agosto, in piena campagna elettorale per le elezioni politiche italiane, è uscito un articolo su Lancet Infectious Disease su una revisione condotta dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall’ Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo. In questa pubblicazione (una revisione, non una metanalisi) si fa il punto sull’uso dei FANS per trattare i sintomi dell’infezione da SARS-COV-2, ribandendo il già noto, visto che questi farmaci sono nelle linee guida AIFA dal 2020 per la terapia domiciliare dei primi sintomi. Chi mastica di scienza avrà letto il documento e, alla fine, si sarà fatto una domanda: bene....e quindi?

Qui lo studio per chi vuole leggerlo:

Molti colleghi e colleghe, purtroppo, non so se per incompetenza o sensazionalismo o altre ragioni, hanno estrapolato il dato delle ospedalizzazioni, facendone titoli e articoli, e riportandolo come dato assoluto.

Chi non mastica di scienza, leggendo questi articoli in cui si sbandiera a nove colonne che i FANS riducono le ospedalizzazioni del 90%, è saltato sulla sedia, e molti hanno puntato il dito contro le istituzioni, accusandole di aver nascosto un dato così importante (sic!).  

È scoppiato un putiferio: i no vax ci sono andati a nozze, e l’ormai ex  Ministro della Salute Roberto Speranza è stato bersagliato senza pietà, anche da alcuni politici.  Molti sui social si sono chiesti: se bastano i FANS, perché dovrei vaccinarmi?

Ed ecco cosa causa il churnalism, il copia incolla senza verificare o l'errata interpretazione (voluta o casuale?) di uno studio o una revisione.

Giuseppe Remuzzi, Direttore del Mario Negri, si è affrettato a chiarire che i vaccini sono essenziali e che l’operato di AIFA e Ministero è stato impeccabile…ma ormai il danno era fatto, e non era certo colpa di Remuzzi ma di parte della stampa che ha riportato in modo sbagliato questi risultati. Come affermato dallo stesso Remuzzi in un’intervista ad Askanews: “La cosa peggiore che può capitare ai dati della letteratura scientifica è di essere strumentalizzati durante una campagna elettorale, non importa da quale schieramento. Mettere sotto accusa il ministro Speranza è deplorevole. Gli antinfiammatori possono aiutare contro il Covid però i nostri studi presi in considerazione nella review, tra gli altri, sono robusti ma non ancora definitivi. Non si può pensare che le autorità li usino per dare regole valide in maniera assoluta”.

Tutto questo, quindi, come avrebbe dovuto essere comunicato?

Così, come ha fatto il collega Daniele Banfi, uno dei pochi giornalisti seri che si occupano di giornalismo medico-scientifico:

Anche Valentina Arcovio è stata molto brava:

Molti altri colleghi e colleghe invece hanno preso quel 90%, lo hanno decontestualizzato e ci hanno fatto il titolo…

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

E a leggere i testi, nella maggior parte dei casi si insiste su questa riduzione del 90% delle ospedalizzazioni che a conti fatti è stata riscontrata solo in due studi osservazionali che hanno coinvolto poche persone.

Qual è il problema qui? È sbagliata la percentuale? No.

La percentuale si riferisce a una cosa diversa rispetto alla riduzione delle ospedalizzazioni? No.

 Ma prendere un dato che riguarda un esiguo numero di pazienti e comunicarlo come se riguardasse la popolazione in assoluto equivale a fare disinformazione.

Come ha detto Remuzzi nell’intervista prima citata: “….i nostri studi presi in considerazione nella review, tra gli altri, sono robusti ma non ancora definitivi. Non si può pensare che le autorità li usino per dare regole valide in maniera assoluta”.

Il dato è stato generalizzato invece che relativizzato a quel nugolo di pazienti, ridimensionando la portata dei risultati.

Con questa assolutizzazione sdoganata dai media, i lettori che masticano poco di medicina e ricerca clinica e nella maggior parte dei casi si fermano ai titoli, possono pensare che con i FANS non si finisce in ospedale. Come abbiamo visto, possono credere che la vaccinazione a questo punto sia inutile. Una correlazione così forte non è stata dimostrata su numeri importanti, per cui occorre aspettare studi più solidi.

La disinformazione è anche questo: non solo veicolare false notizie, ma comunicare in modo sbagliato le notizie vere.


Churnalism, caso 2: c'è una cura per la SLA

Giusto pochi giorni fa il  New England Journal of Medicine pubblica uno studio sui passi in avanti compiuti per trattare la SLA SOD1, una forma di sclerosi laterale amiotrofica causata dalla mutazione del gene SOD1. Non si parla di cura, ma di possibilità di controllare la malattia, attraverso la somministrazione di una molecola in grado di ridurre le proteine tossiche che causano la malattia grazie a meccanismi che non sto a spiegarvi adesso.

Se volete leggere bene tutto e in modo chiaro, vi invito a consultare questi articoli scritti da bravissimi colleghi.

Daniele Banfi per il magazine di Fondazione Veronesi:

Enrizo Orzes di OMAR- Osservatorio Malattie Rare:

Kevin Ben Alì Zinati per OHGA:

Come vedete, sono tutti molto cauti nel parlare di cura, ma semmai di risultati incoraggianti verso una possibile cura che comunque riguarda un numero molto piccolo di pazienti, quelli che presentazione questo tipo di SLA (l'1%).

Da qui a dire che c'è una cura per la SLA ce ne ne passa, concordate?

Purtroppo altre testate, come per quel 90% di ospedalizzazioni in meno per COVID grazie ai FANS, si sono buttate su un’interpretazione sbagliata, rendendola sensazionale: c’è una cura per la SLA. Qui trovate i titoli online.

Qualche esempio:

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Dopo questa analisi, credo sia abbastanza chiaro quali siano i pericoli di un’informazione pressapochista e superficiale in ambito medico, che spaccia comunicati per articoli o interpreta male gli studi scientifici per il bene del click e del business.

Come lettori, non abbiamo molte armi a disposizione se non quelle di leggere più giornali: scegliete quelli che offrono molti contenuti originali e prestate attenzione nel caso incappaste in uno stesso articolo su giornali diversi: si tratta di churnalism.

"Se tua madre dice che ti ama, verifica"

Concludo con questa frase che era appesa al City News Bureau di Chicago. Ed era un monito molto importante per i giornalisti. I migliori fanno proprio questo, verificano tutto, pure quello che dice la mamma. Non è esagerazione, è professionalità.

Non importa cosa viene detto o da chi, non si fanno intimorire da istituzioni o aziende, non scrivono per interesse personale,  ma verificano ogni parola, pesano ogni considerazione, valutano attentamente la storia, cercano i buchi nella discussione, controllano le fonti.

I giornalisti sono scettici per definizione e rompiscatole per vocazione. Un giornalista che non ha queste doti deve cambiare mestiere

Allo stesso modo in cui la salute di una democrazia si basa sulle capacità dei giornalisti politici, la salute della popolazione dipende dalle competenze dei giornalisti medico-scientifici.

____________________

Se ti interessa approfondire questi temi, puoi seguirmi sul mio blog dedicato alla comunicazione e al giornalismo medico-scientifico: www.medoramagazine.it

Se sei un giornalista o sei interessato o interessata al giornalismo in ambito medico, a novembre partirà il mio corso: qui puoi trovare maggiori informazioni:

Mi trovi anche qui:

Grazie, Angelica. Ci sono testate nel mondo delle malattie rare che stanno in piedi con il 100% (e se siamo fortunati il 95%) di articoli con questo approccio. E poi ci stupiamo del pullulare di Comunicati stampa (anche scritti molto male) con notizie che non dovrebbero essere diffuse con CS. E che potrebbero essere pubblicate comunque, ma non copiando un CS: "semplicemente" con interviste, raccolta di informazioni, ...

Giorgia Rambaldi

Web Content Social Manager, Redattrice online

2 anni

quante volte su giornali online ho visto la stessa identica storia, scritta uguale e tò guarda, vai a vedere e sono esattamente le stesse parole di Dire o AdnKronos

fabio fioravanti

giornalista medico-scientifico.

2 anni

Bel pezzo sul churnalism, ciao. Comunque qui in Italia siamo già molto migliorati rispetto agli anni Novanta del secolo scorso, eh. Ricordo delle scene pazzesche degli "esimi colleghi", veramente imbarazzanti. Copiare il comunicato? Questo era il minimo. A parte la maleducazione quando si era invitati al ristorante (all'improvviso erano tutti gourmet e "i nostri" trattavano male i camerieri), mi si è fissata nella mente la scena di uno che si ciulava la televisione della camera dell'hotel, perché pensava che fosse un regalo dell'azienda ospitante. Incredibile ma vero. I francesi guardavano e giustamente dicevano ai tedeschi: ah, les italiens... meno male che quella storia è finita.

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altri articoli di Angelica Giambelluca

Altre pagine consultate