"No, non mi fido affatto dei chatbot!" E' una brutta notizia od opportunità da cogliere?
“No, non mi fido affatto dei chatbot”. La risposta è secca, non lascia spazi a dubbi o fraintendimenti ed è ciò che pensa il 38,8% dei partecipanti ad un recente sondaggio Trustpilot, una delle maggiori comunità di recensioni online. C’è poi un 13,9% che addirittura afferma di essere così diffidente da non fare acquisti sui siti che usano solo chatbot. E insieme fanno il 52,7%.
Ma non basta, se escludiamo il 12,4% che hanno dichiarato di non aver ancora avuto a che fare con un chatbot, circa il 62% dei partecipanti alla domanda “sei stato soddisfatto dell’interazione con il chatbot?” ha risposto “no”. Solo il 25% si è dichiarato soddisfatto.
Ed è diventata subito notizia. Caro robot, non mi fido: gli italiani preferiscono assistenza al telefono (La Repubblica). I chatbot non ispirano fiducia ai consumatori italiani (01net.). Gli italiani preferiscono un’assistenza “umana” (tech FromTheNet). I chatbot non ispirano fiducia ai consumatori italiani (Libero 24x7). Più della metà degli italiani non si fida dei chatbot (Tech Economy).
Per chi, come il sottoscritto, ha deciso di dar vita ad una start-up innovativa sviluppando una piattaforma per creare anche chatbot intelligenti, beh … la notizia sembrerebbe non essere per nulla buona.
E invece no!
Innanzitutto con il termine chatbot si intendono molte, troppe cose. E’ ormai una moda (che rischia di diventare un boomerang) e di soluzioni per mettere su Messanger o su un sito sistemi di risposta automatica ce ne sono molti, a bassissimo costo o addirittura gratuite. Ma un sistema di risposta automatica può forse essere definito un chatbot, ma non è certo un chatbot intelligente.
Ma che cos’è un chatbot intelligente?
Innanzitutto ricordiamoci l’etimologia del termine chatbot che è la l’unione di “chat”, un sistema di comunicazione istantanea basato sullo scambio di testi brevi, e “bot”, la contrazione di robot. Un chatbot è quindi un sistema automatico (robotizzato), realizzato mediante un’applicazione software, in grado di dialogare con un essere umano.
Facciamo ora una considerazione sul concetto di intelligente applicato a un’applicazione informatica. Questa può essere definita intelligente se consente in maniera efficiente il raggiungimento di uno scopo specifico. Questo significa che una applicazione software può essere definita intelligente se è stata realizzata in maniera intelligente, cosa non sempre scontata.
A questo punto posiamo possiamo probabilmente definire intelligente un chatbot se è in grado di consentire in maniera efficiente il raggiungimento di uno scopo.
E siamo giunti al punto: qual è questo scopo?
Troppo spesso i chatbot vengono realizzati per soddisfare le esigenze di chi li realizza e hanno quindi come scopo ridurre i costi dell’assistenza ai clienti automatizzando alcune attività del customer service, dare in maniera più o meno efficace risposte alle domande più frequenti, indirizzare il navigatore alle pagine del sito dove alla fine probabilmente si inciamperà in un numero di telefono (magari a pagamento, sic!), profilare il potenziale acquirente trasformandolo in lead nel proprio CRM, estendere i servizi di assistenza h24 7/7.
In certi casi si incappa anche in chatbot realizzati solo perché averne uno sul sito è figo e in questi casi le informazioni fornite dal chatbot sono fondamentalmente inutili, sia per chi le riceve sia per chi le dà. Ma ormai i tempi sono cambiati e a quanto pare (e per fortuna) questo motivo, il meno nobile di tutti, non vale più.
Ed è quindi evidente il motivo per cui i consumatori non amano e non si fidano dei chatbot intelligenti o presunti tali: sono stati realizzati per raggiungere scopi che in qualche modo addirittura confliggono con i loro bisogni (risolvere un problema possibilmente in tempi rapidi) e le loro esigenze (sentirsi ascoltati).
Il chatbot è percepito come quel qualcosa che impedisce di parlare con un essere umano che possa ascoltarci, comprenderci e darci l’informazione che ci serve o aiutarci a risolvere il nostro problema. Messo su, oltretutto, per fare gli interessi di qualcun altro e risparmiare soldi in barba a noi clienti.
Perché allora la scarsa simpatia per i chatbot è una buona notizia per chi fa chatbot?
Perché in realtà la scarsa simpatia è nei confronti di coloro che realizzano chatbot non intelligenti, o meglio realizzano in maniera non intelligente chatbot poco intelligenti.
La sfida oggi per chi fa il nostro lavoro è convincere chi potrebbe trarre benefici realmente rilevanti dall’utilizzo delle tecnologie conversazionali, la base su cui si fondano i chatbot intelligenti, che affrontando in maniera corretta il progetto è possibile mettere a disposizione dei propri clienti un supporto realmente utile, efficace e apprezzato.
Il tutto facendo vivere un’esperienza positiva e senza essere ricordati come quelli del frustrante restare “in attesa di parlare con il primo operatore disponibile” (che sarà poi quello giusto?), l’inquietante presa in carico della nostra richiesta da parte di chissà chi che in tempi imprecisati ci farà avere una risposta, l’avvilente avvilupparsi nella ricerca di ciò che ci serve navigando fra i menù infiniti di un sito bello da vedere, per carità, ma infinito e labirintico.
Cosa significa tutto questo?
Significa imparare a progettare un chatbot intelligente che abbia innanzitutto come scopo la soddisfazione dell’utente, partendo dall'esperienza che gli si vuole far vivere. Non la soddisfazione di chi vuole implementare il chatbot sul proprio sito, nella propria app o sui propri canali social.
Il punto di partenza sono poche ma fondamentali domande:
- Chi userà il nostro chatbot? A chi ci rivolgiamo e perché?
- Quali sono i suoi reali bisogni e le sue aspettative?
- Che esperienza voglio fargli vivere? E’ in linea con l’immagine che voglio dare del mio brand?
- Che caratteristiche (che carattere) deve avere il nostro chatbot? Che immagine deve avere e che linguaggio deve utilizzare? Anche in questo caso, è in linea con l’immagine che voglio dare del mio brand?
- Come posso creare la sensazione di ascolto e comprensione? Come posso far in modo che la risposta non sia mai generica ma tagliata sul suo profilo e le sue esigenze?
- Come devo gestire i casi in cui il chatbot non è in grado di soddisfare in autonomia le sue esigenze? Come faccio a non farlo sentire abbandonato?
Non esiste un chatbot in grado di soddisfare in autonomia il 100% delle richieste che riceve o dei problemi che gli vengono sottoposti, ma l’obiettivo che ci si deve porre nella realizzazione di un chatbot che sia realmente intelligente è di creare sempre in chi lo utilizza la sensazione che c’è qualcuno oltre il chatbot che prende in carico la sua richiesta o il suo problema. Se poi è direttamente il chatbot a soddisfare l’esigenza, meglio per tutti.
Solo in questo modo si superano diffidenze e ostilità, si creano relazioni positive con i propri clienti o potenziali clienti e si aumenta significativamente la fidelizzazione e la probabilità di conversione.
Come appare evidente la tecnologia non è tutto.
Ma deve poter supportare una progettazione e una gestione intelligente, consentire la realizzazione sia di conversazioni in linguaggio naturale sia di interazioni guidate, essere flessibile e semplice nel disegno dei dialoghi e nell'addestramento della componente semantica, permettere interventi tempestivi nel caso in cui i feedback che si ricevono dagli utenti indichino l’esigenza di portare modifiche e, ultimo punto ma non il meno importante, essere economicamente sostenibile sia in fase di attivazione sia nella indispensabile gestione quotidiana.
Se siete interessati ad approfondire questi temi contattatemi qui su LinkedIn, al 3395653680 o scrivendo a giovanni.decarli@b-optimist.com.
Chief Technology Officer
5 anniCaro Giovanni concordo pienamente. Il “chatbot” viene oggi inteso dai più come una macchina plug and play. Il problema a mio avviso nasce però anche dal fatto che una grossa parte degli operatori del settore lo fanno percepire così. Ed invece no. Bisogna sempre analizzare i processi e progettare la soluzione più efficace. Qualunque sistema deve essere calato nel processo di erogazione in maniera oculata. Deve essere in grado di aggiungere valore, efficacia ed efficienza. Gli utenti devono percepire servizi personalizzati ed il “chatbot” può assumere il ruolo determinante che merita in questo senso. Purtroppo il “mordi e fuggi” non funziona mai. Anche il paragone con il risponditore automatico è pericoloso, il chatbot a mio avviso non può e non deve essere neanche lontanamente percepito cone una evoluzione dell’IVR. Complimenti per la Sua lucida analisi che condivido, sono anche io convinto che le statistiche apparentemente negative evidenzino opportunità da cogliere.
Secondo me è un'ottima notizia! Spingeranno le aziende a realizzare soluzioni utili, ci stiamo avvicinando. Ciao Giovanni e complimenti!
Theoretical Physicist. Research in Topos-Theoretical Quantum Gravity. Theoretical Quantum Computing. Technology Specialist - Digital Engineering & Innovation Division at aizoOn Technology Consulting 🇮🇹
5 anniAsimov la chiamava "sindrome di Frankenstein". Ritengo che ci vorrà un po' prima che la gente si abitui a queste novità, ma inevitabilmente lo faranno. Stessa cosa avvenuta con le assicurazioni online e con gli sportelli bancari virtuali. Concordo con Luca Porcari che una più attenta e mirata implementazione di funzionalità di Machine Learning può accelerare questo processo di integrazione.
Views are mine | Coach |People & Business Enhancer | Start-Up | Market Strategy | Business Development | Communication | Mentor | Talent Management & Sourcing | Employer + Employee (Re) Branding | Voice Technologies
5 anniGrazie per la provocazione :-) Concordo che prerequisito fondamentale è l'intelligenza (anche non artificiale …) e la disamina precisa dei processi migliorabili grazie al chatbot - combinato con le richieste dei clienti. Non è semplice, ma è efficace. E - come giustamente sottolinei Giovanni DeCarli - aiuta cliente / utente finale / "genitori" del chatbot e reputation di tutti. NB un tributo a Luca Porcari per la chiarezza con la quale questa analisi è stata affrontata durante l'evento RPA Italy
✅ Frontend Developer Angular 17, RxJs, Typescript & CSS Libraries | 15+ Years as IT & ADV Consultant | (Tech)preneur since 2008
5 anniLa mia esperienza con i Bot e' terribile! Il problema non e' dei Bot ma di chi li sviluppa.