NUCLEARE? Sì, GRAZIE!
Si sente in giro parlare tanto male del Nucleare, e non lo trovo corretto. Così ho deciso di fare qualche modesta narrazione storica di come sia nata e prematuramente morta la centrale di Caorso. Lo dovevo anche per i miei colleghi che ora non ci sono più. G.Poccia
Storia della centrale di Caorso.
Sono passati trenta cinque anni dall’ultima fermata per refueling e retrofitting della Centrale nucleare di Caorso La Centrale fu il risultato di una preziosa sinergia tra Progettisti, Costruttori, Cliente ed Enti di controllo, uno per tutti l’allora CNEN DISP. Il reattore si comportava bene, aveva superato i test di collaudo imposti dalle Norme egregiamente, e la turbina aveva prodotto ben 35 MWe in più rispetto alla specifica contrattuale. Eppure il Decreto Zanone, tanto atteso per poter riavviare l’impianto, non arrivò quell’anno, e non arrivò nemmeno negli anni successivi quando, cambiando i governi, cambiarono pure i Ministri dell’Industria, come si chiamava allora il Ministero competente nella materia. Arrivò invece una moratoria che spediva nel limbo delle incertezze la Centrale di Caorso e per gli altri vecchi impianti, di cui alcuni già out service, la chiusura definitiva.
Era scoppiata Chernobyll! Una Centrale con scopi militari in territorio controllato dalla Russia, di vecchia fattura, senza adeguato contenimento e manovrata da personale tristemente in grigio verde. In Italia, si sa, la percezione del rischio è spesso inversamente proporzionale al rischio medesimo, e così si avviò una campagna di persuasione collettiva del “Nucleare? No grazie”. Così finì sul nascere Montalto di Castro 1&2, pronta al 70%, Trino 2 e tutti i progetti di rinnovo, con matrice nucleare, del parco produzione dell’ENEL. Finì pure una generazione di tecnici accuratamente preparata, patrimonio intellettuale irrimediabilmente perduto.
Qualche anno fa, con molta cautela, l’Italia ha provato a rientrare nel nucleare: senza far torto a nessuno, si era pensato ad impianti EPR franco-tedeschi e ad impianti AP 1000 americani, ultima generazione, protezione passiva, potenza da paura e vita garantita quasi eterna, sessanta anni. Ma anche qui un segno del Cielo ha condannato l’Italia al petrolio, gas e carbone con contorno di rinnovabili: era scoppiata Fukushima !
Fukushima sta in Giappone: l’unità andata gravemente in avaria con rilascio di materiale radioattivo era di origine G.E. , un modello antecedente ai BWR (reattori ad acqua bollente) tipo Caorso, e che, tutto sommato, si era comportata bene fino a quando un terremoto con susseguente maremoto, superiori a quelli ipotizzati nel progetto, ne ha decretato la fine.
Già a seguito di Chernobiyl altri Paesi come l’Italia decisero di rinunciare al Nucleare, ma fu “adelante con iudujo”, senza cioè dismettere di punto in bianco impianti funzionanti che non avevano ancora l’età pensionabile. Ma in Italia, è noto, le decisioni sul destino delle cose importanti si prendono un po’ per volta: la moratoria consente di modulare nel tempo la decisione nel verso che al momento non si sa bene quale sia. Solo che, lo sanno bene i gestori degli impianti, le apparecchiature non possono aspettare. Non c’è niente di peggio per gli apparecchi e le macchine dell’attesa. L’ossigeno per l’acciaio è come un tarlo per il legno. È lì che lavora lentamente fino a fare tanti buchini (pitting), rendendo il contenitore invalido, mentre le macchine fanno impronte sui cuscinetti come quando si ovalizzano i pneumatici di una vettura in lunga sosta. Insomma gli impianti non possono stare fermi, se non per il tempo necessario al refueling, o, quanto meno, non possono farlo senza particolari precauzioni limitate ed adeguate al tempo di attesa. Ma Caorso era veramente una Centrale sicura? Tanto per non sembrare come quell’oste a cui si chiedeva se il vino era buono, esaminerò le ragioni per le quali l’Impianto poteva considerarsi decisamente affidabile compatibilmente con le tecnologie dell’epoca.
L’avventura di Caorso inizia sotto la guida procedurale di una Legge del 31/12/1962, la n 1860 “Impiego pacifico dell’energia nucleare” e di un D.P.R. del 13/02/ 1964, il n 185 “Sicurezza degli impianti e protezione sanitaria dei lavoratori e delle popolazioni contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti dall’impiego pacifico dell’energia nucleare”, norme e regolamenti che hanno indirizzato i progettisti nella compilazione del rapporto preliminare di sicurezza, documento indispensabile per ottenere dall’allora Ministero dell’Industria il nulla osta alla costruzione, previa stesura della progettazione esecutiva delle opere civili e delle fabbricazioni e montaggi dei componenti.
Il rapporto preliminare di sicurezza descrive i criteri di progetto e i principi costruttivi da seguire nella realizzazione della centrale. I progetti esecutivi dettagliano quanto espresso di massima nel rapporto preliminare: essi sono sostanzialmente dei progetti particolareggiati di costruzione, e assommano, nel caso di specie, a 53.
I principali criteri utilizzati nella progettazione e nella realizzazione dei sistemi di sicurezza consistono essenzialmente nella presenza di meccanismi di arresto e segregazione, nella ridondanza, nell’automatismo degli interventi, e, come ben noto ai gestori di tali impianti, nella cura di predisporre sistemi di rimozione del calore residuo che rappresenta uno degli incubi peggiori in caso di incidente, nonchè nell’utilizzazione di componenti ad elevata affidabilità e nell’adozione di procedure di controllo in tutte le fasi di realizzazione dal progetto all’esercizio secondo i canoni della garanzia di qualità.
Al termine della costruzione inizia il c.d. commissioning che prevede prove non nucleari durante le quali si testano i singoli componenti e il complesso dei componenti aggregati in sistema (prove combinate), approvate le quali si introduce il combustibile e si danno le istruzioni per eseguire le prove nucleari a vari step di potenza. Allestito il piano di emergenza, si attende il decreto di approvazione del Ministero dell’Industria, si definisce il rapporto finale di sicurezza, il regolamento di esercizio, l’organigramma di centrale e il programma delle prove nucleari, superate le quali il Ministero dell’Industria concede la licenza di esercizio.
Sotto il profilo squisitamente procedurale abbiamo la certezza che tanto la progettazione quanto le costruzioni, l’avviamento e l’esercizio sono stati eseguiti da personale esperto ed addestrato controllato dalla vigilanza continua del personale CNEN DISP. Dobbiamo ricordare che le costruzioni non prevedono assolutamente alcuna libertà al Costruttore che si deve attenere meticolosamente al progetto dettagliato: le eventuali Non Conformità debbono essere discusse col Progettista ed approvate. Dunque la necessità di eseguire un progetto difendibile ed inattaccabile: per questo motivo si ricorre alla design review. In altri progetti mi è capitato di far parte dei componenti della design review, tutti estranei al progetto e spesso ci si è accorti di errori soprattutto nella rappresentazione delle stratigrafie. E che dire degli upgrading durante la progettazione e costruzione dovuti alle Norme innovative che man mano sortivano dalla esperienza di altri impianti nel mondo cui era accaduto qualche evento non previsto? Fu così che i tempi di costruzione furono più lunghi di quanto inizialmente programmato.
Ci si domandò spesso se il sito della centrale era proprio quello giusto: che prove erano state fatte? Intanto va detto che la potenza dell’impianto richiedeva un raffreddamento (30,2 m3/s) che solo il Po poteva dare senza alterare termicamente le acque (DT=3°C). Va da sé che l’altra fonte di raffreddamento canonica è il mare, come poi si pensò per Montalto. Per inciso però va detto che impianti sul mare oggi se ne fanno sempre meno: la condensazione è affidata ai condensatori ad aria che pur penalizzando il rendimento non creano le fumane tipiche delle torri di raffreddamento. Se però questo va bene per gli impianti come i cicli combinati anche di grande taglia (800 MWe), non può andar bene per quelli nucleari dove le tonnellate di vapore da condensare (5.100t/h a 71 ata per Caorso) a parità di potenza sono assai maggiori per via della impossibilità di utilizzare vapore surriscaldato ma solo vapore saturo (o leggermente surriscaldato) che dal primo stadio di turbina all’ultimo aumenta almeno di 500 volte il proprio volume (con un vuoto di 0,057 ata). E poi non c’è da dimenticare che l’area di Caorso dal punto di vista geologico è una di quelle meglio studiate d’Italia grazie alle indagini eseguite dalle società petrolifere negli anni 50 e 60. Le indagini preliminari eseguite a maglia stretta sul sito per determinarne le caratteristiche meccaniche e chimico-fisiche, e i successivi calcoli, definirono, per l’area dell’unità 1 e per la futura unità, la capacità portante del terreno sotto gli edifici, la stima degli assestamenti del terreno sotto il peso delle costruzioni, e una serie di dati da utilizzare nel modello matematico degli edifici per la loro verifica statica e sismica.
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L’accuratezza dello studio e le azioni e precauzioni adottate per ottimizzare la compattezza del terreno fu confermata dal comportamento del terreno medesimo dopo la costruzione: il cedimento differenziale tra l’edificio reattore e quello turbina era stato previsto di 7 cm. Ma ne risultarono solo 2, e, come di norma succede, il cedimento maggiore avviene subito dopo la costruzione, mentre nel tempo il cedimento o cessa o è assolutamente trascurabile.
Le indagini geognostiche portarono a conoscenza dei tecnici l’esistenza di una falda sotto l’area di centrale. La falda si presentava ricca di acqua che sarebbe stata utile quale alimentazione di emergenza per le torri di raffreddamento, mentre, al fine di rendere stagne le fondazioni degli edifici e ovviamente del cantiere, si fortificò l’area del sito ed oltre con un diaframma costituito da cemento e bentonite che, isolando l’area di interesse, consentiva l’aggottaggio delle acque con adeguate pompe in perenne funzionamento (dewatering). Ma, tanto per essere maggiormente sicuri, la centrale fu protetta con un’impermeabilizzazione che, sotto un battente di circa 10 metri d’acqua, fece registrare una infiltrazione di soli 12 litri al secondo, eliminabili quindi con una piccola pompa di sentina. Restava da stabilire se una eventuale esondazione del Po’potesse danneggiare l’impianto. Tra i provvedimenti adottati sulla base dei dati storici forniti dal Magistrato alle acque, la centrale fu costruita su un terrapieno di riporto, il cui livello è tale da mantenere l’impianto al di sopra delle acque anche se la Valle Padana dovesse essere totalmente inondata. Inoltre tutte le porte esterne della centrale erano a chiusura stagna.
Le indagini meteorologiche hanno consentito di valutare con attenzione l’altezza dei camini (off gas, 75 m; camino reattore, 60 metri al di sopra del livello del terreno), in quanto fenomeni di nebbie e fumane da quelle parti sono di casa, come pure i fenomeni di inversione termica. Bisognava garantire perciò una corretta distribuzione degli affluenti gassosi, anche nelle peggiori condizioni di inversione termica. Per quanto atteneva alla capacità delle strutture degli edifici, rilevanti ai fini della sicurezza, di resistere alle sollecitazioni derivanti da un tornado, essa è stata verificata sulla base di un vento con velocità di 380 km/ora, corrispondente ad una pressione di 700 kg/m2 sulle pareti, mentre carichi di minore severità sono stati imposti per gli altri edifici (150kg/m2). Questi valori, assolutamente conservativi per quelle zone dove trombe d’aria di tale forza hanno la caratteristica di non essere presenti, crearono qualche problema all’edificio turbina che era stato già costruito al momento in cui il CNEN decise di applicarvi tale depressione atmosferica, aggravandosi la situazione dal momento che l’edificio per ragioni architettoniche era stato pannellato esternamente. Il compito molto difficile cui si trovarono esposti i progettisti fu quello di ancorare le lamiere del tetto, in modo che resistessero alla pressione del vento di progetto, ma che volassero via al valore poco maggiore, al quale cominciava ad essere in pericolo la struttura. Si trattava quindi di affidare ai bulloni di ancoraggio delle lamiere di rivestimento il compito di resistere fino ad un certo valore di sollecitazione e di collassare a valori un poco più grandi. Ciò contrariamente alla prassi normale che prevede che nel calcolo di ogni sistema e nel dimensionamento di ogni elemento si prenda in esame un carico di esercizio assai inferiore a quello di rottura. Anche per materiale ad alta affidabilità il carico di rottura è solitamente il doppio del carico di sicurezza a cui si dimensiona la struttura. In questo caso si trattava invece di andare drasticamente a ridurre la distanza tra questi due valori. Tanto per dare un’idea del valore di 700 kg/m2 imposto, è sufficiente ricordare che la depressione a questo valore associata è in grado di sollevare una lastra di ferro spessa 9 cm, o una lastra di calcestruzzo spessa 30 cm.
Un cenno per quanto attiene al sisma di progetto. Sono stati previsti due livelli: l’OBE (Operating Base Earthquake), ossia il terremoto che la centrale può affrontare continuando a funzionare regolarmente, e l’SSE (Safe Shutdown Earthquake), ossia un terremoto di straordinaria gravità durante il quale le strutture dell’impianto devono in ogni caso reggere per consentire lo spegnimento del reattore in piena sicurezza. Le accelerazioni sono state calcolate in 0,12 g verticale e 0,08 g orizzontale per l’OBE e in 0,24 g verticale e 0,16 g orizzontale per l’SSE. L’accelerazione di progetto per la centrale di Caorso fu dunque ben 2,4 volte quella (0,10 g) inserita nel progetto di civili abitazioni nei pressi di Messina oppure nelle vicinanze della faglia di San Andrea in California, una delle zone più sismiche del mondo.
Pesi, accelerazioni sismiche come quelle di progetto, e stati di coazione conseguenti a variazioni di temperatura hanno comportato strutture di base fortemente armate con l’utilizzo di ferri di grande diametro (fino a 57 mm), che, non potendo essere giuntati col sistema canonico della sovrapposizione (peraltro non consentito dalle norme internazionali) che avrebbe reso impossibile la corretta esecuzione dei getti, fu necessario sottoporre a saldatura con il metodo cadwell (giunzione a manicotto portato a temperatura) non autorizzato allora in Italia. Il Ministero dei LL.PP. si adoperò per consentire l’uso dei ferri fuori stazza e del metodo di saldatura.
Per quanto riguarda le accelerazioni sismiche abbiamo visto. Vediamo i pesi: vessel 600 t, tubazioni/valvole 3.800 t, gru polare 200 t, cls 126.000 m3, ferri d’armatura 21.000 t.
Vale la pena ricordare che la densità media di ferro nel c.a. per un’ottima struttura è di 150 kg/m3; a Caorso il valor medio nel primario fu di 460 kg/m3. In prossimità delle penetrazioni si arrivò fino a 800 kg/m3.
La costruzione e il montaggio richiesero oltre 60 imprese qualificate, facendo registrare un valor medio di presenze giornaliere di 1.500 addetti con una punta di 2.294 unità nel 1974, mentre le ore complessivamente lavorate furono intorno alle 10.000.000.
Indagini, progetto e costruzione risultano allo stato dei fatti a regola d’arte.
I sistemi di raffreddamento di emergenza del nocciolo (ECCS Emergency Core Cooling System) erano sufficienti? Abbiamo visto come il contenitore primario (che ha una parete con spessore mai inferiore a 146 cm e un rivestimento interno di liner da 9mm) e il secondario siano in grado di fronteggiare sisma, impatti di velivoli leggeri, rottura di tubazioni insomma un guscio impenetrabile, ma come fronteggiare la temibile fusione del nocciolo? La progettazione degli ECCS si basa proprio sulla perdita di refrigerante (LOCA Loss Of Coolant Accident) per la rottura netta ed improvvisa della tubazione più grande (ricircolo), con conseguente aumento di pressione del primario. Ma non basta: si suppone inoltre che contemporaneamente si abbia la interruzione della rete elettrica esterna, si verifichi un terremoto di elevata intensità e si guasti anche un componente od un sistema necessario per fronteggiare l’incidente. In questo evento (chiamato single failure) il raffreddamento del nocciolo è assicurato con l’immissione immediata di grandi quantità d’acqua da due direzioni diverse, sia dall’alto che dal basso. Le due tecniche sono diverse (spruzzamento e allagamento) ed i sistemi sono indipendenti. Per l’allagamento dal basso opera il sistema di iniezione a bassa pressione (Low Pressure Coolant Injection LPCI), mentre lo spruzzamento dall’alto è effettuato dal sistema di spruzzamento del nocciolo a bassa pressione (Low Pressure Core Spray LPCS). Entrambi i sistemi sono costituiti da pompe, azionate con una rete elettrica ausiliaria, o con altri mezzi indipendenti che prelevano acqua dalla piscina di soppressione e la immettono nel recipiente a pressione. La portata è tale da mantenere il nocciolo sempre sommerso. I sistemi entrano automaticamente in funzione in caso di necessità, quando si abbassa il livello dell’acqua nel vessel o se la pressione scende. Se si verificasse un incidente che comporti rotture di dimensioni minori, la pressione scenderebbe ugualmente ed il livello dell’acqua si abbasserebbe lo stesso, ma le variazioni sarebbero più graduali e non repentine come nel caso ipotetico sopra menzionato. Bisogna allora immettere acqua in quantitativi minori e ad alta pressione o abbassare leggermente la pressione per consentire l’entrata del liquido, dato che l’operazione viene contrastata dal livello della pressione interna che è più alto. L’acqua è fornita dal sistema di iniezione acqua nel reattore ad alta pressione (High Pressure Coolant Injection HPCI), costituito da pompe azionate da turbine mosse dal vapore del reattore medesimo. La diminuzione della pressione avviene per effetto del sistema di depressurizzazione automatica (Automatic Depressurization System ADS), mediante l’apertura delle valvole di sfioro e sicurezza. Quando la pressione all’interno del vessel giunge a valori sufficientemente bassi, si immette acqua nel reattore attraverso i sistemi a bassa pressione (LPCI, LPCS). Il calore asportato dall’acqua che circola nel reattore e tra questo e la piscina di soppressione, riscalderà, in una prima fase, l’acqua della piscina. Successivamente entrerà in azione il sistema di rimozione del calore residuo (RHR) che trasferisce il calore all’acqua servizi. Quest’ultima è a sua volta raffreddata dal passaggio nelle torri di raffreddamento di emergenza. La duplicazione e la diversificazione dei sistemi necessari per il raffreddamento d’emergenza del nocciolo sono spinte al massimo anche per quanto concerne sia il tipo di energia utilizzata che il loro funzionamento. Alcuni di essi sono alimentati con corrente continua proveniente da batterie sempre in tampone, altri con corrente alternata fornita anche da appositi gruppi elettrogeni ed altri ancora utilizzano il vapore prodotto dallo stesso reattore. Le reti di alimentazione elettrica sono sempre due per ciascun tipo di alimentazione. I gruppi elettrogeni diesel di emergenza, che entrano automaticamente in funzione se dovesse venire a mancare la corrente della rete esterna, sono a loro volta ridondanti. Un solo gruppo dei quattro è in grado di azionare i sistemi di emergenza.
Dunque i sistemi di emergenza sono stati realizzati con alto grado di ridondanza, alimentati da due sistemi indipendenti ed automatizzati, e funzionanti anche in mancanza di alimentazione elettrica esterna. Cosa chiedere di più per garantire la sicurezza?
Insomma, alla resa dei conti si può affermare di concerto con l’oste che il vino era buono. Ma abbiamo fatto in tempo ad assaggiarne un po’, fino a che Chernobyl e il referendum ne hanno bruscamente interrotto la degustazione …”la politica fu in primo luogo l’arte di impedire alla gente di immischiarsi in ciò che la riguarda; in un’epoca successiva si aggiunse l’arte di costringerla a decidere su ciò che non capisce”(Paul Valery) .
Ma tant’è. Nel primo programma di decommissioning (2001) lo smantellamento di Caorso era previsto terminare nel 2018. Nel 2003 ci fu un aggiornamento che prevedeva una riduzione dei tempi di un anno solare netto (01 01 2017). Praticamente prato a verde alla fine di quell’ anno. Ma c’era una pregiudiziale: il Deposito Nazionale. Da deciderne il sito entro il 2005, e renderlo operativo entro il 2009. Alla data odierna conosciamo la mappa dei siti candidati da SOGIN ove piazzare il Deposito Nazionale, ma finora nessun governo ha deciso. Il combustibile nucleare è stato trasferito al riprocessamento qualche tempo fa, consentendo così l’apertura dell’edificio reattore verso l’edificio turbina dove viene collocata la WFM (Waste Facility Management, officina per il trattamento dei rifiuti). La presenza del combustibile impediva la rottura dell’integrità dell’edificio reattore per evidenti ragioni di sicurezza. Tutto bene dunque? Sì, ma adelante con judijo: l’agonia di Arturo (il nick name del reattore), ormai privo delle sue viscere vitali, pare non finita. Anche la sua compagna Zoe (la turbina) non c’è più, e lui resta lì piazzato in mezzo alle nebbie padane a ricordarci come eravamo bravi.
Industrial engineer
2 anniBravo Giani un ottimo Report