Ode ai cataloghi prodotto stampati
A dispetto della loro apparente inattualità, i cataloghi cartacei hanno molte buone ragioni per continuare a esistere, ponendosi in una prospettiva non subalterna di dialogo e integrazione con le applicazioni digitali. Vediamo perché!
Nel libro di David Sax “The Revenge of Analogue” il 2014 è un anno chiave. È l’anno dell’inversione di tendenza, in cui in alcuni contesti l’acquisto e l’uso di oggetti fisici è tornato a crescere. Il riscatto dell’analogico non ha un’impronta nostalgica: è operato in larga misura da persone che rientrano nella fascia di età compresa fra i 25 e i 45 anni, nativi digitali o quasi. Il riscatto dell’analogico avviene anzi alla luce della fruizione dei corrispondenti oggetti digitali, che facilita il riconoscimento per contrasto delle peculiarità dell’oggetto fisico e il loro apprezzamento in determinati contesti. Il digitale ci fa vedere con occhi nuovi alcuni oggetti, rendendoci consapevoli del fatto che anche i nativi digitali, in quanto esseri umani, sono nativamente fisici e sono solo ospiti nell’infosfera, a cui possono accedere solo attraverso media di interfaccia (dispositivi hardware e applicazioni software).
Mentre David Sax prende in esame, per esempio, la rinascita dei dischi in vinile, della pellicola (per fotografie e film), dei blocchi per appunti, la nostra riflessione si incentra sulle pubblicazioni aziendali su carta (cataloghi prodotto stampati e, più in generale, documentazione tecnica e di prodotto cartacea) e sulla loro collocazione nell’ecosistema di comunicazione omnicanale integrato, in cui ogni elemento e le loro relazioni reciproche sono funzionali al perseguimento degli obiettivi aziendali.
I punti di forza della carta e della stampa che evidenziamo non vanno interpretati come punti di debolezza del digitale, ma come caratteristiche positive in sé, che – alla luce della relazione tra fisico e digitale –, possiamo sfruttare nell’ambito della comunicazione aziendale.
L’oggetto
Il catalogo prodotti stampato è anzitutto un oggetto.
Come tutti gli oggetti, anche il catalogo impone il vincolo della compresenza fra pubblicazione e fruitore, il cui aspetto positivo è la multisensorialità dell’esperienza, che – in quanto tale – è ricca, coinvolgente ed emozionalmente connotata.
Gli oggetti che abbiamo sott’occhio e sottomano ci guardano e ci parlano.
La loro fisicità ha una forza comunicativa intrinseca che siamo predisposti a cogliere. Nel catalogo, a prescindere dai contenuti, sono il formato, lo spessore, il tipo di copertina e rilegatura, la qualità della carta, la struttura del layout di pagina, la rubricatura e le finiture varie a raccontarci una storia; una storia che narra del suo autore ed editore (l’azienda), del valore che egli gli attribuisce, dei suoi obiettivi, ecc.
La molteplicità della caratteristiche fisiche e il gioco delle loro relazioni ci fanno cogliere in modo netto la differenza tra un oggetto e altri oggetti analoghi, fra il catalogo prodotti edito da un’azienda e altri pubblicati da altre aziende. Fisicità fa rima con identità. Nell’infosfera, la necessità di tradurre in bit oggetti e azioni, il fatto di poterli svincolare dal comportamento dei corrispondenti fisici, la prevalenza della bidimensionalità, la mediazione necessaria delle interfacce, la focalizzazione sull’azione comportano un livello di semplificazione, standardizzazione e astrazione che favorisce l’appiattimento degli oggetto e ne sfuma l’identità.
La capacità rappresentativa ed espressiva degli oggetti fisici fa sì, che sia più facile costruire una storia su un oggetto reale anziché su uno digitale; una storia in cui identificarsi e a cui contribuire con la nostra narrazione, in una logica di integrazione ed espansione.
Gli oggetti, prima ancora che motori di narrazione, sono sempre stati motori di relazioni interpersonali in presenza, legati ad attività di scambio, vendita, prestito e dono. I cataloghi non fanno eccezione: ancora oggi sono un motivo valido per andare a trovare un cliente, recapitargli di persona le sue copie del catalogo e cogliere l’occasione per dialogare sui vari temi che caratterizzano la relazione commerciale. Il catalogo digitale non supporta il gesto del passaggio di mano dall’azienda al cliente, e quindi non si presta a fungere da innesco relazionale.
Il possesso dell’oggetto fisico è uno dei presupposti del suo essere motore di relazione, ruolo che si attaglia poco agli oggetti digitali a causa sia della loro immaterialità, sia della loro focalizzazione sull’accesso, anziché sul possesso. Pur avendo caratteristiche positive in termini di ottimizzazione dell’uso delle risorse, l’accesso non manca di suscitarci un senso di incertezza, alimentato dalla possibilità che gli strumenti abilitanti siano temporaneamente indisponibili o che divengano tecnicamente obsoleti, dalla possibilità che i contenuti siano cancellati accidentalmente o che la piattaforma in cloud su cui sono ospitati chiuda i battenti, nonché da eventuali barriere tecnologiche che impediscono la condivisione delle risorse, ecc.
In quanto esseri fisici siamo abituati a orientarci usando tutti gli appigli multisensoriali che ci offrono ambienti e oggetti. La fisicità dei cataloghi prodotto stampati supporta il nostro senso dell’orientamento: lo spessore del volume ci fa dedurre l’ampiezza dell’offerta; l’azione di sfogliare le pagine introduce una cesura anti-ritmica, che ci fa percepire meno il sovraccarico informativo (a ogni pagina nuova eseguiamo infatti un piccolo reset dell’attenzione, predisponendoci nuovamente a comprendere ed elaborare i contenuti proposti); sfogliando le pagine siamo sempre consapevoli della nostra posizione lungo il percorso cognitivo e possiamo andare avanti e indietro, in modo sequenziale o procedendo a salti; la spazialità del volume e la geometria delle pagine agevolano l’attivazione della nostra memoria visiva, facilitando il ritrovamento di contenuti visti in precedenza, ecc.
Nel corso della storia, il libro si è specializzato nella funzione di strumento a supporto delle nostre costruzioni di senso. La fruizione logico-sequenziale dei contenuti – predisposti dall’autore nella sostanza e nella forma – ci aiuta a comprendere il “che cosa”, a riflettere su di esso e a elaborare in modo personale il suo “perché”. A questo percorso cognitivo, in cui si intrecciano fasi di approfondimento e di costruzione del “big picture”, sono tendenzialmente associati momenti di scoperta, creatività e innovazione.
I cataloghi prodotto stampati condividono con i libri la funzione di strumenti di conoscenza. A livelli di approfondimento successivo, ci permettono di conoscere il punto di vista dell’azienda su un determinato settore e di rielaborare il sapere acquisito in funzione delle nostre esigenze operative. Benché la consultazione del catalogo possa essere propedeutica al processo di acquisto (l’azienda editrice naturalmente se lo auspica), tale processo avviene in tempi e luoghi altri rispetto al catalogo stesso. Quando consultiamo un catalogo – soprattutto se ricco di contenuti redazionali – ci concentriamo sull’attività cognitiva, spostando l’attività operativa in avanti nel tempo e in altri luoghi fisici e digitali (i punti vendita e gli e-shop dell’azienda e/o dei suoi partner di canale). Cognizione e azione sono attività distinte, ancorché potenzialmente collegate.
Diversamente dal libro e dal catalogo cartaceo, il catalogo web è un ambiente che supporta numerosi compiti. Alcuni sono collegati logicamente fra loro (per esempio la consultazione della scheda prodotto, l’inserimento del prodotto nel carrello e il check-out), mentre altri sono concorrenti (per esempio l’invito, sulla stessa scheda prodotto, a inserire il prodotto nel carrello, ma anche a valutare/commentare il prodotto e a condividerlo con la rete sociale; la presenza, a contorno della scheda prodotto, degli strumenti per accedere alla palette completa di informazioni e funzioni di cui dispone l’applicazione che contiene il catalogo web). Come già sottolineato nel 2001 da Lev Manovich nel suo “Il linguaggio dei nuovi media”, le applicazioni digitali sono focalizzate in generale sulle azioni (iscriversi, acquistare, condividere, valutare, commentare; raccogliere il feedback dei nostri interlocutori, ecc.) e sul fatto di supportare l’acquisizione, nel più breve tempo possibile, di informazioni sufficientemente soddisfacenti (“satisficing”) da permetterci di agire in base alle nostre priorità del momento.
Ferma restando la sua focalizzazione su un solo compito centrale, il catalogo prodotti stampato può suggerirci contestualmente compiti collegati, indicandoci tempi, luoghi e modi per portarli a termine. Esempi ne sono la pubblicazione di codici QR, che fungono da attuatori fisico-digitali per completare sull’e-shop il compito di acquistare prodotti visti a catalogo oppure la pubblicazione dell’elenco dei punti vendita fisici, un attuatore fisico-fisico per portare a termine lo stesso compito.
Per inciso: la direzione dal fisico al digitale è quella più facilmente percorribile. Quando abbiamo sottomano il fisico di partenza, è altamente probabile che il digitale di arrivo sia alla nostra portata, data la diffusione capillare di dispositivi mobili e internet. Partendo dal digitale non possiamo invece dare per scontata la compresenza del fisico, che potrebbe richiedere sforzo e differimento spazio-temporale per essere raggiunto. Dato che l’attrito funge da barriera, è più probabile che procediamo dal fisico al digitale, anziché dal digitale al fisico, a meno che il collegamento non sia geolocalizzato e garantisca quindi la compresenza fra punto di partenza e di arrivo.
Mentre il catalogo cartaceo, in quanto strumento cognitivo, favorisce la concentrazione, il catalogo web è più dispersivo, perché supporta numerosi compiti e perché ogni catalogo web dista solo pochi clic da risorse concorrenti. Nel mondo fisico difficilmente abbiamo sottomano tutti i cataloghi (concorrenti) di un determinato settore e comunque il passaggio dall’uno all’altro ci richiede un certo sforzo: alzarci, accedere alla libreria, individuare il catalogo, portarlo alla scrivania, ecc. L’attrito crea una barriera che ci fa stare incollati al catalogo che stiamo consultando, agendo come forza contraria all’impulso di saltabeccare agilmente dall’uno all’altro come siamo soliti fare nell’infosfera.
La materialità del catalogo prodotti stampato e la sua differente finalità rispetto al catalogo web condizionano l’esperienza del tempo che si sviluppa nella relazione fra persona e oggetto:
· La permanenza e la stabilità dell’oggetto fisico ci permettono di percepire un prima e un dopo nella nostra relazione con esso, di storicizzarla e di accumulare esperienza
· La tendenziale singolarità del compito supportato dal catalogo cartaceo favorisce un approccio più dilatato al tempo, improntato all’agio e al raggiungimento di obiettivi di efficacia.
La mutevolezza del digitale e la molteplicità dei compiti abilitati dalle applicazioni digitali ci fanno invece vivere il tempo dell’infosfera come un insieme puntuale di istanti singoli, accelerati verso un obiettivo finale. In questa sorta di corsa attraverso un imbuto, l’efficienza è il metro di misura principale. La differente esperienza del tempo informa di sé la diversa idea di produttività suggerita dal fisico e dal digitale. È la differenza che passa fra un luogo in cui si sosta, perché è già la meta, e un luogo attraverso cui si passa, perché la meta è sempre altra e oltre.
Oltre alla percezione quantitativa e qualitativa del tempo, fisico e digitale condizionano anche la nostra esperienza e il nostro giudizio sull’attrito, cioè sulla forza che un elemento oppone al fatto di essere dimenticato, accantonato a favore di un altro simile o superato dall’urgenza di un nuovo compito.
Il maggiore attrito esercitato dal fisico ha risvolti positivi in termini comunicativi e funzionali. Quando è compresente, il catalogo cartaceo occupa spazio, rimane sotto i nostri occhi ed è a portata di mano: nella sua fisicità è un promemoria potente a iterarne la consultazione. Il catalogo web, invece, rimane nascosto sotto la superficie del dispositivo, del suo software di base e dell’applicazione digitale che lo ospita: dobbiamo essere noi a ricordarcene e a richiamarlo attivamente. È uno svantaggio sensibile, che le aziende cercano di controbilanciare con azioni di e-mail marketing (per esempio newsletter periodiche personalizzate) e con lo sviluppo di app native dotate di sistemi di notifica push, in grado di farsi notare attivamente dall’utente, “alzando la mano” per segnalare novità, offerte, ecc. Per quanto vasta sia la nostra biblioteca, ognuno di noi può attingere a un bacino pur sempre limitato di cataloghi prodotto fisici, il cui incremento richiede tempo e sforzi. La semplice presenza di un determinato catalogo stampato sul tavolo o nella libreria del nostro ufficio rappresenta una barriera di protezione dalla concorrenza dei cataloghi assenti… almeno fino a quando non decidiamo di passare all’infosfera per colmare il gap. Infine, quando interagiamo con il catalogo cartaceo, dedicandoci al singolo compito per cui è pensato (svolgimento dell’attività cognitiva) siamo meno soggetti a distrazioni e a passare repentinamente ad altre attività. Tendiamo a restare incollati alle pagine fino a completamento del compito (comprendere se e come i prodotti/servizi proposti possano rispondere alle nostre esigenze operative), differendo nel tempo e nei luoghi lo svolgimento di eventuali attività di collegate (l’invio di una richiesta di offerta o di un ordine; l’acquisto presso il punto vendita più vicino o sull’e-shop, ecc.).
Per converso l’attrito fisico limita l’ampiezza delle informazioni accessibili e l’agilità nella concatenazione di compiti logicamente collegati. In ciò sta il suo limite, che il digitale compensa in modo eccellente.
Il punto di forza del catalogo prodotti stampato è l’efficacia di esecuzione del singolo compito cognitivo, non tanto l’efficienza, intesa come rapidità di completamento e di concatenazione di attività messe a sistema. Il catalogo web e le applicazioni digitali puntano invece sull’efficienza e implicano una valutazione sostanzialmente negativa dell’attrito. La storia dell’evoluzione dell’usabilità di siti web e app va tutta in direzione della progressiva eliminazione dei punti di frizione: velocità di funzionamento; riduzione del numero di clic necessari per portare a termine un compito; interfacce standardizzate per dispensare l’utente dalla necessità di riflettere sulle operazioni da compiere (il “don’t make me think” di Steve Krug); ruolo attivo degli agenti digitali come suggeritori di informazioni e azioni; attuazione silente di opzioni impostate una tantum dall’utente, ecc.
Rispetto al catalogo web, il catalogo prodotti cartaceo intrattiene un rapporto diverso non solo con l’attrito, ma anche con la finitezza. I contorni fisici dell’oggetto “libro” ci suggeriscono l’estensione in sé conchiusa del percorso cognitivo proposto dall’autore. La “finishability” del catalogo stampato – la sua predisposizione a essere non solo iniziato, ma anche finito –, è il presupposto della soddisfazione che proviamo quando portiamo a compimento il percorso cognitivo, in tutto o in una parte in sé finita. Passata l’euforia iniziale, la tendenziale infinitezza del catalogo web, accentuata dalla scarsità di indicatori relativi alla sua reale estensione, fa germogliare in noi un senso di frustrazione, alimentato alla percezione che il compito che ci attende è senza fine apparente. È questo uno dei motivi per cui le applicazioni digitali controbilanciano l’estensione dei loro cataloghi con filtri applicati proattivamente dagli agenti digitali o applicabili attivamente dall’utente in caso di necessità.
L’interfaccia
L’interfaccia del catalogo prodotti stampato è fruibile in modo immediato, poiché è un’interfaccia fisica. Per accedere all’infosfera dobbiamo interagire invece con vari livelli di mediazione, materiali e immateriali: il dispositivo, il suo software di base, l’applicazione web o la app, la palette delle funzioni che possiamo usare attivamente, gli agenti digitali proattivi nei nostri confronti, ecc.
Mentre l’interfaccia del catalogo cartaceo è passiva, quella del catalogo web è attiva. La persona è l’unico agente nei confronti dell’oggetto “libro”, mentre sull’applicazione digitale gli agenti sono due: noi e l’agente digitale, cioè il software che presiede al funzionamento dell’applicazione. Noi agiamo e reagiamo al comportamento dell’agente digitale, così come l’agente digitale reagisce al nostro comportamento e agisce in modo proattivo in base a criteri fissi o dinamici, riconducibili anche a tecnologie di apprendimento automatico (“machine learning”) tipiche dell’intelligenza artificiale.
Permanenza e stabilità caratterizzano il funzionamento dell’interfaccia fisica del catalogo, che non modifica il suo comportamento né nel tempo, né in relazione alla persona che lo consulta: chi è, qual è il suo comportamento attuale e passato, quali sono le sue preferenze, quali sono le sue relazioni sociali, ecc. Per contro, le interfacce digitali variano nel tempo – in quanto soggette per definizione a sviluppi evolutivi – e in relazione all’utente, inteso come parte di un insieme omogeneo o, sempre più spesso, come singolo individuo.
In quanto focalizzata su un solo compito, l’interfaccia del catalogo stampato risulta meno distraente rispetto a quella del catalogo web. Gli attuatori fisico-digitali rappresentano una potenziale fonte di distrazione, ma il loro influsso è mitigato dalla loro passività e dallo sforzo che dobbiamo compiere per attivarli. Nell’infosfera per azionare un attuatore basta un clic, mentre attivare un attuatore fisico-digitale, per esempio un codice QR, richiede una serie di azioni: prendere smartphone/tablet, inquadrare il codice, attivare il link, consultare la risorsa di destinazione. Senza considerare che l’attuatore fisico-digitale se ne sta lì silente sulla pagina, non ci fa fretta, ma attende paziente, finché non siamo noi pronti ad attivarlo. Passività e attrito sono fattori positivi o negativi a seconda del punto di vista: fanno sì che restiamo incollati al catalogo, ma impediscono di balzare agilmente a risorse integrative e a compiti correlati/concorrenti.
Focalizzazione su un solo compito, passività, permanenza e stabilità fanno sì, che l’interfaccia del catalogo cartaceo richieda meno attenzione e un investimento minore nell’apprendimento/ri-apprendimento all’uso, supportando meglio il senso dell’orientamento di noi esseri fisici. Nel caso dei non nativi digitali, anche il fattore culturale, dato dalla maggiore dimestichezza con le interfacce fisiche, gioca a favore del minore sforzo richiesto dall’interazione con la carta stampata. Questo elemento storicamente determinato tenderà a essere superato con l’avanzare delle generazioni nate a cavallo tra mondo fisico e infosfera. Per contro, le attuali interfacce digitali costano ancora strutturalmente un sforzo maggiore all’utente a causa della molteplicità di compiti supportati, della loro volatilità e mutevolezza, dell’immaterialità degli appigli che offrono al senso dell’orientamento, ecc.
Maggiore immediatezza, permanenza e stabilità si applicano non solo a interfaccia fisica e contenuti stampati, ma anche alle informazioni apposte dal fruitore: segnalibri, sottolineature, note. Sulla carta è più facile inserirle e ritrovarle, mentre l’infosfera è imbattibile quando si tratta di condividerle con altri, aumentando l’ampiezza della audience e la contemporaneità delle persone raggiungibili.
I contenuti
Esattamente come l’interfaccia, a parità di edizione, anche i contenuti del catalogo prodotti stampato rimangono sempre visibili, permanenti e stabili, favorendo il senso dell’orientamento e il ritrovamento delle informazioni già consultate. La permanenza agisce anche a favore della sedimentazione della memoria storica dei contenuti, cui il digitale contrappone in linea di principio la sovrascrittura in modifica delle informazioni e quindi la preferenza del sempre nuovo.
Secondo una convenzione storicamente determinata, i contenuti stampati sono disposti in sequenza, aderenti allo sviluppo logico proposto dall’autore, che il lettore accetta implicitamente di seguire nel suo personale percorso di ri-costruzione della narrazione e di donazione di senso, fatto di comprensione, riflessione ed elaborazione. Accettare di cedere il timone all’autore predispone il lettore alla “serendipity, al felice incontro casuale con contenuti inattesi. Oltre che nell’articolazione e nell’esposizione delle informazioni, la sequenzialità è insita nell’oggetto “libro” in quanto tale: nella sua finitezza, cioè nel fatto di avere inizio e fine; nel verso di sfoglio della pagine e in quello di lettura; nelle informazioni di contesto mostrate in intestazione e piè di pagina; nella presenza di rubricature a scalare, ecc.
L’esposizione e la fruizione sequenziale dei contenuti sono funzionali al nostro personale percorso di costruzione di senso, ma risultano molto meno efficienti per condurre ricerche per approssimazione successiva, ovvero nella fase precedente all’approfondimento, in cui abbiamo bisogno di individuare attraverso un processo iterativo qual è l’informazione/il prodotto/il servizio in grado di soddisfare le nostre esigenze. Questo accade, per esempio, quando abbiamo un problema, ma non sappiamo né se vi è un’entità che lo risolve, né qual è la sua denominazione, né chi la propone. Che il catalogo cartaceo richieda la compresenza per poter essere consultato e sia irriducibilmente distinto da ogni altro catalogo, opponendosi quindi all’interoperabilità, limita strutturalmente l’estensione della ricerca e la possibilità di comparare le fonti nel mondo fisico.
Collocandosi nel solco di una tradizione editoriale, le cui buone pratiche si sono distillate nel corso di molto tempo, il catalogo prodotti stampato sfrutta a vantaggio del fruitore la finitezza della pagina, intesa come unità minima, storicamente determinata, della pubblicazione. L’autore articola lo spazio della pagina per creare insiemi in sé compiuti di contenuti (non dissimili dai “topic” della comunicazione tecnica), per collegarli logicamente ad altri (affini, più generali, più specifici, ecc.) e per guidare il processo di comprensione, riflessione ed elaborazione di chi legge.
Mentre nel catalogo stampato il susseguirsi delle singole pagine dà vita a una sequenza logica, che indica al fruitore il percorso cognitivo da compiere, nell’infosfera “every page is page one” secondo la felice definizione di Mark Baker. Il vantaggio di questo approccio, tipico del digitale, sta nel fatto che l’utente può essere paracadutato sulla pagina saltando l’eventuale sequenza espositiva del tema. Ciò accade normalmente, quando accediamo a una pagina web provenendo dai risultati di un motore di ricerca o seguendo un link diretto, proposto – per esempio – nel post su un social network. L’impostazione secondo cui “ogni pagina è pagina uno” è indice del fatto che nel digitale le informazioni sono finalizzate non tanto alla costruzione di un quadro generale, quanto alla loro fruizione puntuale e all’attivazione entro il più breve tempo possibile di una o più azioni collegate. Sono inform-azioni, informazioni orientate preminentemente all’azione, che hanno nei suoi confronti un valore strumentale, ancillare. Il punto debole dell’approccio “every page is page one” sta nel minore supporto che offre al senso di orientamento dell’utente e alla sua capacità di costruire un percorso cognitivo personale, in mancanza di quadro generale forte che l’autore propone sulla carta, ma non nell’infosfera.
Non va però dimenticato, che le buone pratiche della comunicazione su carta si sono distillate nel corso dei secoli, diventando di pari passo una seconda natura per noi. A dispetto della sua velocità evolutiva, l’infosfera è pur sempre un mondo giovane, per cui occorre dargli e darci tempo per puntare a raggiungere un livello analogo di confidenza reciproca.
Riguardo al rapporto fra autore e contenuti vi è un curioso paradosso evidenziato da David Sax. Benché i contenuti digitali siano tecnicamente molto più facili da modificare di quelli analogici, essi hanno un aspetto così “satisficing” e definitivo, che siamo meno propensi a rielaborarli rispetto alle note manoscritte, che ostentano tutta la loro provvisorietà. Quando prendiamo appunti o schizziamo un bozzetto a mano tendiamo a concentrarci di più sul nocciolo della questione, senza lasciarci sviare da dettagli formali, né subire condizionamenti dati dal modo in cui funziona l’applicazione che stiamo usando. Libertà espressiva e predisposizione all’iterazione del ciclo autoriale sono due aspetti per cui vale la pena non abbandonare del tutto carta e penna, quando agiamo come autori… magari usando uno di quei sistemi di scrittura smart, che integrano il meglio dei due mondi, carta e digitale.
L’autore
Quando scegliamo un autore – che nel caso del catalogo prodotti coincide con l’azienda editrice –, implicitamente decidiamo di riconoscerne l’autorevolezza (fino a prova contraria) e di aprirci al dialogo con le sue proposte contenutistiche e formali.
Nel caso del libro e del catalogo cartaceo, questo atteggiamento di fiducia è alimentato, in modo più o meno consapevole, anche dal riconoscimento del percorso di valorizzazione economica rappresentato dal binomio autore-pubblicazione. Ieri come oggi, realizzare una pubblicazione, stamparla e distribuirla sono attività costose, che abbiamo imparato a considerare come solida barriera di ingresso e sigillo di garanzia preliminare della qualità della proposta.
Mentre nel mondo fisico la distinzione tra autore e lettore/fruitore rimane netta, l’infosfera è l’ambito dell’autorialità diffusa, grazie all’economicità e semplicità degli strumenti di creazione, pubblicazione e distribuzione dei contenuti. Le barriere di accesso all’autorialità sono minime, il che comporta una maggiore difficoltà a riconoscere le professionalità di spicco, nonché un abbassamento generale della propensione a riconoscere l’autorevolezza degli autori.
Nel mondo fisico prevale l’apertura di credito nei confronti dell’autore con cui scegliamo di volta in volta di dialogare, mentre nell’infosfera lo scetticismo rispetto all’autore va di pari passo con la fiducia nella capacità di generare conoscenza collettivamente. È la comunità nel suo insieme a essere autorevole, non tanto le persone prese singolarmente: questo, nella presupposizione che l’intelligenza collettiva sia in grado di distillare la “verità media” su un determinato tema, marginalizzando errori e posizioni estreme.
Scegliere un autore, riconoscerne l’autorevolezza, accordargli fiducia, implicano anche la predisposizione ad affidarci al percorso cognitivo che ci propone e a valutare in modo preliminarmente positivo il filtro operato dall’autore e quindi la finitezza intrinseca alla pubblicazione stampata.
Nell’infosfera, le possibilità tecnologiche e l’autorialità diffusa, ancorché debole, fanno sì che sia la non-finitezza a prevalere. A prescindere dall’appezzamento teorico di avere accesso a un catalogo “infinito”, l’interazione pratica tende a disorientarci e ad affaticarci, tant’è vero che sempre più le applicazioni digitali integrano non solo strumenti utilizzabili dall’utente, ma anche agenti digitali in grado di filtrare proattivamente informazioni e azioni in base all’interlocutore e al suo contesto operativo.
L’autore in carne e ossa, estromesso dall’intelligenza collettiva, ritorna sotto forma di agente digitale.
In base al suo punto di vista su un settore, l’autore opera una selezione, che propone a tutti coloro che decidono di aprirsi al dialogo con lui. Si tratta di un filtro i cui criteri sono esplicitati dall’autore, un filtro uguale per tutti gli interlocutori e stabile nel tempo – almeno nell’ambito della stessa versione/edizione della pubblicazione. Gli agenti digitali, invece, elaborano e applicano filtri diversi per insiemi omogenei di utenti o per singoli utenti, filtri mutevoli nel tempo e il cui funzionamento ci resta perlopiù oscuro.
Quando dialoghiamo con una pubblicazione stampata percorriamo una strada che dall’affidamento va verso l’autonomia: prima scegliamo un autore e ascoltiamo la sua storia; poi – attraverso il processo di riflessione ed elaborazione – facciamo nostra la sua storia e la trasformiamo in base al nostro contesto, cognitivo e operativo.
Il nostro atteggiamento nei confronti delle risorse digitali sembrerebbe improntato a un’autonomia molto maggiore: siamo noi a cercare le varie fonti, a compararle, a selezionarle e ad attribuire loro un certo grado di autorevolezza. Eppure, per come funzionano i software che ci abilitano a tutto ciò (motori di ricerca, siti di comparazione, social media, applicazioni web, app, ecc.), il percorso è molto più eterodiretto da agenti digitali dal comportamento opaco, che dalla nostra autonomia di giudizio e di decisione.
Senza trascurare che affidarsi all’altro aumenta la predisposizione e la possibilità di fare scoperte inattese. Il fatto di partire da sé, rafforzato dal modo in cui funzionano gli agenti digitali, rende invece più probabile l’incontro con l’atteso, innescando un processo di auto-avveramento e rafforzamento dei pre-giudizi, che va in una direzione tendenzialmente contraria rispetto al percorso cognitivo.
Ecco, una piccola ode ai cataloghi prodotto stampati, che – a dispetto della loro apparente inattualità – hanno molte buone ragioni per continuare a esistere, ponendosi in una prospettiva non subalterna di dialogo e di integrazione con i cataloghi web e con le applicazioni digitali in genere.
Autore: Petra Dal Santo | dalsanto@keanet.it
Project Manager at KEA S.r.l. - Soluzioni per la comunicazione tecnica
6 anniConcordo Davide! Molte grazie per il bel link!
Comunicazione tecnico-scientifica
6 anniOde alla carta anche per correggere: https://wp.me/pYL2M-nl