Parliamo di loro
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Parliamo di loro

Ma senza farne un esercizio di analisi politica. Forse è difficile e per questo, qui su LinkedIn nessuno ne parla. Ma vale la pena forzare questo tabù. Perché attualmente la nostra sanità, istruzione e welfare lo stanno pagando anche loro. Da destra a sinistra tutti lo sanno. Tuttavia manca un’analisi approfondita di cosa significhi avere un rapporto di prossimità con persone che provengono da una cultura differente dalla nostra.

In quanto a studi siamo piuttosto carenti, ma non solo in Italia. Diciamo pure che è una tara del sapere accademico: tende ad essere monoculturale. In pochissimi hanno verificato se i modelli con cui ora abitualmente spieghiamo il comportamento umano siano adattabili anche al di fuori della nostra cultura. Eh si ... per noi psicologi questa vicenda della distanza culturale è un vero cruccio, è una variabile difficile da considerare, tuttavia alcune cose le sappiamo.

Sappiamo ad esempio che la schizofrenia è presente in ogni cultura. Altre forme di psicosi sono invece più specifiche e si manifestano solo in determinate culture. Sappiamo che mentre nella cultura cristiana molte nevrosi si generano intorno al senso di colpa, in oriente, in Giappone in particolare, si sviluppano intorno al senso di vergogna.

Sappiamo che la manifestazione facciale delle emozioni è la medesima in pressoché tutto il mondo. Ma facciamo attenzione sto parlando solo della manifestazione facciale che è una parte dell’emozione non la sua totalità. Sappiamo anche che la lingua condiziona in parte il modo in cui pensiamo. Non è poca cosa quando penso di confrontarmi con uno che parla una lingua diversa dalla mia.

Proprio come in matematica, quando dobbiamo creare affiatamento in gruppi che sono culturalmente eterogenei, è importante fare leva su quegli elementi che sono comuni a tutti noi ed in cui tutti possiamo riconoscerci. Questo passaggio è alla base di un’organizzazione che riesce ad essere inclusiva, e non che si accontenti semplicemente di integrare:

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Diciamo pure che il timore ad essere inclusivi è quello di perdere la propria identità. Di venire in qualche maniera assorbiti da modelli comportamentali che magari consideriamo retrogradi. Ma questo problema si risolve approfondendo la propria di identità, riconoscendo le dinamiche hanno portato ai cambiamenti della nostra società. Sapere come eravamo noi, che parliamo la lingua in cui sto scrivendo, 40 anni fa ci è di importante aiuto per capire come confrontarci con chi arriva nella nostra terra.

Questo ci permetterà non solo di creare un clima più adeguato sul lavoro, anche di allargare il nostro potenziale target. Quanta pubblicità in Italia è mirata ad includere persone straniere nel suo target? Quanti prevedono claim specifici o cercano di strizzare l’occhio anche allo straniero? Facciamoci caso perché per cultura (appunto) abbiamo noi la possibilità di dare una lezione su questo campo.

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