Patria, a ognuno la sua.

Patria, a ognuno la sua.

Ricordate qualche rudimento di analisi del testo? Ricordate il tempo della storia e il tempo del racconto? Ricordate i concetti di ellissi e pausa? No? Meglio. Perché Aramburu con questo romanzo stravolge ogni logica narrativa creando un ritmo frenetico e incalzante che in una prima fase può addirittura sconcertare. La trama, di per sé, risulterebbe banale se non fosse per un intreccio caparbio, a tratti esasperato, che mescola storie, personaggi e ambientazioni.

Ho acquistato questo libro la scorsa estate, dopo un viaggio nei Paesi Baschi. Ed è proprio qui che la vicenda prende piede. Due famiglie, prima vicine poi irrimediabilmente lontane. Sullo sfondo il terrorismo, un nazionalismo cieco ed esasperato. Amicizia, vigliaccheria e redenzione. A volte tardiva, a volte risolutiva.

Aramburu prende il lettore e lo sbalza alla fine del racconto. Tutto è praticamente già accaduto. Ma questo il lettore non lo sa. Si impiegano diversi capitoli (brevi e sferzanti) per costruirsi un quadro, a delineare i personaggi, a capire da che parte stare. Salvo poi arrendersi alla bruciante realtà: piccoli pezzi di quei personaggi risiedono in tutti noi. Non è possibile parteggiare. Non completamente. I loro limiti sono anche i nostri, le loro sconfitte ci risultano familiari.

Patria non si apre con un preambolo a effetto. Non usa aforismi per incollare il lettore sin dalle prime pagine. Niente di tutto questo. Date tempo a questo libro perché lui ve ne regalerà indietro tanto, in termini di sensazioni e universi narrativi. Lasciate che l’intreccio vi avvolga. Lasciatevi trasportare a Guipúzcoa, nel profondo Euskadi (Paesi Baschi), una regione orgogliosa delle proprie origini e forse capirete perché «chiedere perdono richiede più coraggio che sparare, che azionare una bomba».

P.S.

HBO sta girando la serie TV tratta dal libro. Avrà un successo pari o addirittura superiore a La casa di carta? Chissà. Veritas filia temporis.

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