Paura?

Paura?


Ma esattamente cosa è?

L’abbiamo provata tutti, almeno una volta nella vita, e in quel momento ci siamo sentiti fragili, vulnerabili ed impotenti. 

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Eppure è una di quelle emozioni primarie che potremmo definire altamente funzionali ed adattive, un motore potente e anche un alleato prezioso: senza paura non ci mettiamo in salvo, non aggiustiamo il tiro, non ritroviamo comodità. Ancestrale e molto intensa, mette in moto una miriade di trame nelle quali il confine fittizio fra fisico e mentale si annulla: può essere attivata allo stesso modo sia da un evento mentale, come un ricordo, che da un evento reale come una minaccia concreta.

Come funziona?

L’emozione della paura mette in moto sistemi fisiologici e biochimici che agiscono a livello respiratorio, sanguigno, muscolare, gastrico, neurologico e nervoso che si intrecciano fra loro in trame che appaiono inestricabili e che a loro volta riversano il loro effetto sui pensieri. Nella nostra esperienza di vita ci viviamo immersi con diverse modalità, origini e sfumature: abbiamo paura di perdere il controllo, di soffrire, di cambiare, di vivere per sempre in una dimensione di dolore, di perdere le nostre comodità, di essere abbandonati o di abbandonare. Ciascuno ha le proprie.

Che reazioni sviluppiamo nei confronti di questa emozione?

Molto spesso ci vergogniamo di avere paura, della nostra fragilità, della nostra preziosa umanità che ci rende unici e speciali. Proviamo a nasconderla, aggirarla, mimetizzarla e a tenerla a freno. E’ come se ciascuno di noi creasse una stanza, una sorta di “sgabuzzino” della nostra mente, quel luogo nascosto e segreto, dove conservare, mettere da parte, nascondere e accatastare le esperienze ingombranti, le emozioni difficili o dolorose, i pensieri incompiuti, incompresi o sospesi, nella speranza di dimenticarcene o nell’attesa di potercene occupare in seguito, in un “dopo” che non arriva mai. Ci neghiamo di sperimentare la nostra fragilità semplicemente perché crediamo fermamente che non sia normale avere paura.

Ci sentiamo piccoli, fragili ed inadeguati e queste emozioni influenzano il modo in cui pensiamo a noi stessi: iniziamo a pensare di non essere “abbastanza” qualcosa e guardiamo al mondo che ci circonda con queste “lenti” attraverso le quali tutto risulta deformato. Come mai all’improvviso gli altri ci appaiono più forti? Perché ci sentiamo minacciati?

E’ possibile che ci siamo creati una identità ideale nella quale le emozioni difficili, come la paura, non sono contemplate?  

Quando questi “ospiti indesiderati” si presentano, rompendo tutte la barriere che abbiamo costruito, siamo portati a credere che la nostra identità sia inevitabilmente compromessa, sviluppando un senso di perdita ed inadeguatezza che danneggia la nostra autostima, l’opinione che abbiamo di noi stessi.

Attribuiamo alla paura significati che di per sè non ha, dimenticando la sua funzione adattiva e salvavita.

La paura al tempo del Covid-19

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In questo periodo così duro e difficile, in un contesto storico senza precedenti, la paura è salita alla ribalta delle nostre scene, cogliendoci di sorpresa e aggirando tutte le nostre consolidate strategie per evitarla o tenerla a bada. 

Tutto ciò che fino pochissimo tempo fa ha rappresentato la nostra rassicurante routine adesso è improvvisamente oggetto di pericolo e richiede la massima attenzione il contatto sociale, da sempre fonte di conforto e sostegno emotivo, è diventato "minaccia".

I nostri parametri di sicurezza ed equilibrio sono saltati e si è spalancata la porta di quello “sgabuzzino”: tutto ciò che nella nostra vita avevamo pazientemente occultato, le nostre insicurezze e la paura di incontrarle ci sono piombate addosso tutte insieme sull'onda potente di un attivatore esterno, un pericolo reale: un virus sconosciuto ed invisibile

Pensiamo che nelle nostre vite non possa esserci spazio per la difficoltà, per il dolore, per le emozioni e le esperienze scomode, nella granitica convinzione che sia impossibile sopravvivere a queste emozioni. Capita spesso allora, che ci si affanni disperatamente nel forsennato tentativo di trovare una via di uscita, una strada che ci consenta di evitare queste difficoltà o modi di agire che diano rapido sollievo o immediato oblio.

In questo baillamme c’è chi si trincera a casa, ostaggio del terrore e chi si tuffa appieno e senza remore in una fantasia di ritorno alla “normalità”

Ma c’è anche chi rimanendo sospeso a interrogarsi su quanto accaduto trova il coraggio di aprirsi ad una nuova possibilità di vivere e dare un senso differente alla paura e alle emozioni che ha provato, perchè provare paura è assolutamente naturale ed è ciò che ci rende sani e coraggiosi.


La paura come alleato

Se in alcuni frangenti la paura ci spinge a scappare, a correre lontano, in altri, invece si rivela l’alleato più prezioso che abbiamo: quando ci spinge a fermarci e a chiederci una volta e per tutte cosa ci sta accadendo e perché. Questo è il momento più difficile e al contempo più illuminante che possiamo avere in dono: è il momento di svolta di chi è stanco di vivere dominato dalla paura e sceglie di affrontarla, di capirla e in poche parole di “starci insieme” per scoprire quali storie ci sta narrando su di noi.

Non è una strada facile ma è davvero piena e ricca di potenzialità: è grazie alla paura che scopriamo chi siamo e come funzioniamo.

E’ sull’onda di questa difficile emozione che spesso riusciamo a prendere scelte sagge, come quella di chiedere aiuto. In questo preciso spazio di osservazione possiamo scoprire che in realtà ciò che continua a metterci in difficoltà non è la paura in sè ma i significati che le attribuiamo.

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Il senso della paura in terapia

Chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta è il primo passo di chi non si arrende, di chi non vuole scappare ma nemmeno soccombere.  E’ il sano gesto di chi vuole scoprire l’innata saggezza che possiede per imparare a metterla a disposizione della propria vita.

Aprire la porta di uno studio di psicoterapia è un gesto saggio che parla del coraggio che solo chi ha paura riesce a trovare.

Ed è proprio alla paura che io apro la porta quando accolgo chi ha fatto questa scelta coraggiosa.

Accoglierla non significa lasciare che domini la scena rendendoci schiavi; accoglierla significa ascoltarla e restituirle il senso, ricondurla nel proprio alveo di appartenenza ricordandone l’origine e la natura: è una delle emozioni di base che contribuiscono al buon funzionamento dell’essere umano.

La paura è la prima ad entrare e quando viene accolta ha tanto da raccontare e da insegnare.

E' allora che la paura diventa coraggio e dona forza.

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