Pensavo fosse visione, invece era crisi
Introduzione
Molte imprese stanno cercando di digitalizzarsi non per effetto di una chiara visione, ma come tentativo di limitare i danni derivanti dall’attuale crisi pandemica. In effetti, dopo mesi di forte instabilità alle spalle, c’è ancora molta incertezza sulle azioni da intraprendere per tornare ad essere competitivi nei mesi a venire. Come agire? La digital transformation è sicuramente una sfida da affrontare. Tuttavia, se prima del caos pandemico per molte imprese è stato complesso sviluppare una digital strategy, come riuscirci in tempi di crisi?
La percezione del tempo in fasi economiche e sociali discontinue
Il tempo è una risorsa preziosa, per definizione scarsa perché non rigenerabile, che guida le dinamiche competitive in moltissimi settori. Questa tesi era valida prima del coronavirus e lo è ancor di più adesso in tempi di crisi, soprattutto in riferimento al tema della digitalizzazione. Pianificare una strategia di digital transformation lungo un orizzonte temporale tra uno e tre anni oggi non è più possibile: gli anni diventano mesi e i mesi diventano settimane. Quando l’ambiente esterno diventa turbolento, la percezione del tempo cambia per l’insorgere di un nuovo senso di urgenza. Questa è una prima sfida manageriale da affrontare che, almeno in linea di principio, non dovrebbe risolversi con una semplice accelerazione dei tempi di esecuzione delle attività in corso. In tempi discontinui le logiche per la creazione di valore spesso cambiano, imponendo nuovi paradigmi di riferimento. Il tempo pandemico è un tempo discontinuo perché l’assenza di prossimità ha impatti sull’economia tanto nel suo lato produttivo quanto in quello dei consumi. Lo spazio e il tempo dell’incontro tra domanda e offerta, tra brand e consumatori, tra momenti di acquisto e di co-creazione del valore non sono più gli stessi del 2019 e molto probabilmente non torneranno più ad esserlo. In un contesto economico contact-free la soluzione per il restauro della competitività aziendale non può quindi consistere nel fare più velocemente qualcosa di disallineato, ma deve prevedere l’apertura al cambiamento per mettere in discussione logiche convenzionali consolidate negli anni.
Reattivi o proattivi? Il bisogno di sopravvivenza potrebbe non bastare
Nel giro di pochi mesi l’assenza di prossimità ha reso i canali digitali il principale (se non l’unico, in alcuni casi) modello di coinvolgimento dei clienti e l’automazione dei processi è diventata la base su cui sviluppare la business continuity sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione: dalla smart collaboration per i propri dipendenti, all’uso dei big data per ridurre la miopia manageriale e fino ad un nuovo concetto di flessibilità produttiva e distributiva. Affrontare questo cambiamento con successo implica riflettere su come interiorizzare nell’organizzazione la dimensione dell’agilità, sia nei tradizionali processi di management che nelle fasi attuative della strategia aziendale. Sembra una sfida impossibile perché la maggior parte delle imprese è ancorata a processi di management sviluppati su principi manageriali vecchi di oltre un secolo. Tuttavia, uno dei pochi aspetti positivi di questa crisi è l’aver messo in discussione tradizionali barriere gestionali come quelle esistenti tra il pensiero e l’azione e tra la sperimentazione e l’attuazione. Non è stato nulla di programmato, ma solo l’effetto indotto dal bisogno di sopravvivenza che, per le imprese che hanno saputo reagire meglio in questo periodo di crisi, ha comportato la ricerca di nuove modalità per apprendere più rapidamente, ad esempio attraverso una più efficace valorizzazione dei feedback derivanti dal mercato.
È tempo di essere agili
Se l’agilità non è già un driver della cultura aziendale, sarà difficile diventare agili in autonomia nel giro di poche settimane come questa crisi richiede. Se però si appartiene alla categoria dei CXO responsabili è possibile prenderne atto e questo già rappresenterebbe una grande conquista. L’agilità si può innestare con l’inserimento di nuove competenze, avviando progetti di cambiamento con il supporto di esperti o magari attraverso acquisizioni. Qualunque scelta venga presa non sarà indolore, ma la discontinuità indotta da questo cambiamento sarà comunque meno dolorosa rispetto ai danni che si potrebbero subire restando immobili o procedendo a piccoli passi. L’agilità deve diventare un modus operandi a tutti i livelli organizzativi e deve toccare ogni aspetto della gestione d’impresa: dalla ridefinizione dell'offerta aziendale per allinearla ai nuovi comportamenti di consumo, all’introduzione di nuovi modelli di business abilitati dalla digital transformation. Quando all’esterno tutto appare più complesso rispetto al passato, ogni sforzo manageriale deve condurre alla semplificazione e alla focalizzazione. Questo vale anche per i processi di apprendimento che, attraverso una rapida sequenza di test e raccolta di feedback, devono condurre a nuove forme di conoscenza, quelle necessarie per il next normal che verrà.
Sono una persona ambiziosa determinata e capace di lavorare in team, desiderosa di ampliare le sue competenze anche in altri ambiti
4 anniGrazie e buon 2021