Pensioni, il silenzio sull'Ocse

Colpisce il silenzio del dibattito politico intorno alle ricette che l'Ocse ha presentato per rendere più sostenibile il sistema pensionistico italiano. Un silenzio sia da parte della maggioranza che dell’opposizione, come se la maggior spesa per lo Stato fosse argomento periferico della sua politica economica, relegata nella coda dell’occhio.

Le vulnerabilità sono note e ribadite: una spesa pensionistica in costante aumento (anche se al lordo della tassazione), una transizione eccessivamente lunga dal retributivo al contributivo, le eccesso di anticipazioni dell’età del pensionamento, le pensioni d’oro che corrispondono a diritti acquisiti negli anni 70 e 80.

Rilievi che quasi stupiscono la classe politica italiana che ha da sempre utilizzato il tema pensioni come volano di marketing elettorale e creazione di consenso, scaricandone i costi sul debito pubblico. E sulle generazioni più giovani. Che sono sempre meno e che quindi si distribuiscono l’ònere su numeri inferiori, con pesi sempre maggiori. Per tutto ciò, cadranno anche questa volta nel vuoto le ricette dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ha il compito di confrontare «le esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l’identificazione di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed internazionali dei paesi membri».

Le correzioni caldeggiate dall’Ocse sono un po’ come i compiti per lo studente svogliato, che invece di programmare le pagine da studiare durante tutto il fine settimana, si riduce ad aprire i libri la domenica sera, mettendo a rischio il sonno e la capacità di comprendere ciò che si legge. Salvo poi, uscendo di metafora, incaricare un governo tecnico di operare un intervento draconiano che i governi politici non sono stati in grado di mettere in campo, per evitare di mettere a rischio il proprio consenso. Per poi demonizzare quel governo tecnico e chi a quella riforma diede il nome. Vedi alla voce Fornero.