Per fare un locale ci vuole la redditività
E per fare la redditività, che cosa ci vuole?
(tratto dall'intervista a Giacomo Pini pubblicata su Italia a Tavola, il quotidiano di enogastronomia, turismo, ristorazione e accoglienza).
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Come si misura la redditività di un piatto
«Calcolare la redditività di un piatto permette di fare valutazioni strategiche molto importanti a livello di ottimizzazione del menu e massimizzazione dei risultati economici del locale. In generale, per misurare la redditività di un piatto serve conoscere molto bene i costi diretti e indiretti per la produzione del piatto stesso, considerando quindi non solo il costo delle materie prime utilizzate, ma anche la manodopera coinvolta e le attrezzature impiegate. Queste voci di costo, sottratte al prezzo di vendita, permettono di calcolare sia il margine lordo, cioè la differenza tra prezzo di vendita e food cost, sia il profitto netto.
Mettendo in evidenza la capacità del singolo piatto di contribuire in maniera soddisfacenti alla generazione di utili, diventa più facile per un ristoratore capire se quel piatto dovrebbe stare o meno all'interno del menu. Ovviamente, prima di prendere decisioni definitive in questo senso, è importante non solo conoscere la redditività, ma anche contestualizzarla rispetto alla frequenza di vendita del singolo piatto, rapportandola così a una misura di popolarità».
Per aumentare la redditività bisogna applicare certe strategie
«Dal momento che la redditività tiene in considerazione tanto la parte del prezzo e delle vendite quanto quella dei costi, è possibile quindi utilizzare diverse strategie da mettere in atto per poter aumentare il valore di un piatto, che si muovono su entrambi i fronti.
Aumentare il margine lavorando sui costi
«Ovviamente, dal lato dei costi, per aumentare la redditività di un piatto serve avere il pieno controllo sui costi, il che significa, per esempio, tenere monitorato il food cost dei piatti affinché non superi un valore limite oltre al quale si sa già di perdere soldi a ogni vendita. Ciò si traduce in una scelta ponderata rispetto alle materie prime da utilizzare, alla ricettazione, alle porzioni, e poi in un costante impegno a ridurre al minimo gli sprechi. Sprechi di cibo, ma anche di risorse: organizzazione del lavoro ed efficientamento in cucina sono due parole chiave per un tipo di ristorazione che vuole avere sotto controllo i numeri e creare un vantaggio competitivo solido sul mercato.
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Aumentare il margine lavorando sui prezzi
«Dal lato dei prezzi, invece, il discorso si fa un po' più complicato. In questa dimensione subentrano fattori psicologici ed esperienziali, che guidano i princìpi di marketing nella determinazione di un numero che possa, allo stesso tempo, garantire sostenibilità al business e guidarlo nella crescita, essere competitivo rispetto al mercato, giustificare un valore reale rispetto a un valore percepito.
Migliorare la redditività di un piatto a partire dal prezzo significa attuare le migliori tecniche di pricing, impostare una strategia commerciale che punta alla vendita del piatto stesso, e ingegnerizzare il menu, per trovare la posizione migliore da dargli sulla carta».
Quanto conta la filosofia zero sprechi in un locale
«Avere una filosofia zero sprechi può portare notevoli benefici, soprattutto se si parla di redditività. Questo perché porta il ristoratore e tutto il suo team a entrare in un mindset, in una mentalità focalizzata sulla limitazione del consumo non necessario di risorse e quindi sulla riduzione di sprechi e sperperi. L'impegno nel raggiungere questo obiettivo comprende una serie di azioni che toccano più aree operative del locale stesso.
Dal processo di preparazione in cucina, che deve essere super organizzato e guidato da dati e analisi che permettano di tagliare ogni inefficienza, alla gestione del magazzino, che passa a sua volta dalla conservazione corretta degli alimenti e dall'applicazione di metodi come il Fifo (acronimo di first-in, first-out, ovvero ci si riferisce a un metodo di gestione dei flussi delle merci secondo cui gli articoli che entrano per primi in magazzino sono i primi ad uscire, ndr) o il Lifo (calcola il valore delle rimanenze ipotizzando che i prodotti che vengono acquistati per ultimi sono i primi che vengono venduti, ndr).
Dalla presa della comanda al tavolo, eseguita da personale formato per consigliare al meglio ogni commensale, al servizio della più semplice tazzina di caffè a fine pasto e allo sbarazzo, prestando attenzione a scegliere quanto più possibile automazioni e attrezzature a risparmio energetico per ridurre non solo lo spreco alimentare, ma anche per migliorare la sostenibilità da un punto di vista più ampio. In altre parole, un approccio zero sprechi è un valido aiuto per chi vuole migliorare la redditività dei propri piatti, non solo perché capace di attrarre clienti sempre più sensibili e consapevoli rispetto a queste tematiche, ma soprattutto per tenere sotto controllo i numeri e garantire risultati certi».
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