Perché il derby di Roma è una lezione di vita
“Derby magister vitae”. Non diceva così Cicerone?
Se la locuzione latina non è propriamente quella riportata, si può dire che il derby di Roma è da sempre un appuntamento unico, che contribuisce a formare e rafforzare le identità dei tanti laziali e romanisti che durante quei 90 minuti hanno perso diversi anni di vita.
Personalmente, due episodi, entrambi legati al derby, hanno segnato indelebilmente la mia adolescenza.
L’incubo
21 novembre 1999, Roma-Lazio. All’epoca avevo 8 anni e ricordo che ero andato a vedere la partita a casa di mio zio romanista, uno dei pochi privilegiati ad avere la pay tv. All’epoca il derby era anche tra emittenti, con Stream che era il punto di riferimento per le romane, mentre Telepiù trasmetteva tutti match di Juventus, Milan e Inter.
La partita è un incubo, con i giallorossi che dopo mezz’ora sono avanti 4 a 0, guidati dallo straordinario duo Delvecchio-Montella, che in pochi anni avrebbe messo a segno 17 gol nelle sole stracittadine. Io, attonito, unico laziale in mezzo a 15 persone, se escludiamo una lontana parente la cui fede biancoceleste è paragonabile all’attaccamento di Cristiano Ronaldo per l’Al Nassr. Nonostante le premure di mio zio - che ad ogni gol esultava e poi mi baciava sulla fronte per dimostrarmi comunque la sua empatia da tifoso (“ti capisco mio caro nipote, ti sono vicino, ci sono passato anche io, ma quanto godo!”) – provavo una sensazione di disfatta personale, di assoluta impotenza e trattenevo a stento le lacrime cercando di mostrarmi grande ad una platea composta quasi esclusivamente da adulti. La partita finisce 4 a 1 e ancora oggi ricordo quell’episodio come un trauma infantile, tra i più intensi nonostante si parli pur sempre di calcio.
L’apoteosi
16 ottobre 2011, derby Lazio-Roma. Questa volta mi sento più forte e posso affrontare la più grande delle sfide: vedere il derby con gli amici giallorossi nonostante non vinciamo una stracittadina da 885 giorni. È la Lazio mediocre, ma combattiva, di Edy Reja contro la Roma de “l’hombre vertical” Luis Enrique e del nuovo proprietario James Pallotta, che avrebbero dovuto portare la squadra sulla Luna, ma si sarebbero fermati a Coccia di Morto, chiudendo la prima parentesi americana dei lupacchiotti con zero trofei.
La partenza sembra rispecchiare quel derby di 12 anni prima, con Osvaldo che dopo 5 minuti mette la palla in rete ed esibisce la maglietta “Vi ho purgato anch’io”, in omaggio (?) al capitano della Roma assente quella sera. Ricordo ancora la sensazione di amarezza nel vedere le esultanze dei miei amici, ma c’era qualcosa di strano nell’aria, come se quell’episodio fosse il preludio ad un’altra storia dove non è Cappuccetto Rosso ad averla vinta sul lupo. Il primo tempo scorre con attacchi da una parte e dall’altra (cosa insolita per un derby della capitale), ma nel secondo tempo succede di tutto. Al 5° minuto Brocchi si invola verso l’area di rigore e, toccato da Kjaer, cade a terra guadagnando il penalty e provocando l’espulsione per il difensore della Roma. Hernanes segna e da qui inizia un calvario che dura fino al 93esimo, quando Klose raccoglie palla in mezzo all’area e chiude una partita perfetta. 2 a 1 per noi.
In quel momento un sentimento di rivalsa mi pervade, potendo gioire e scherzare davanti ai miei compagni giallorossi che minimizzano la disfatta avvenuta contro “una squadretta”.
È meglio vincere o perdere?
Domanda strana ma che ha un senso.
Il calcio, e per noi romani il derby, è un mondo dove il tifoso vive tutto il variegato insieme di emozioni che poi ritroverà in ogni ambito della sua vita. La delusione per una sconfitta, con la rivale cittadina in piena lotta per lo scudetto, lascia un senso di ingiustizia e annichilimento paragonabile al momento in cui si conclude una storia d’amore. Diversamente, la gioia provata al gol di Di Canio in un derby della Befana del 2005 può avvicinarsi alla soddisfazione che ho vissuto quando al Liceo presi 7 e mezzo alla versione di Latino.
Insomma, nel corso della nostra esistenza proviamo stati d’animo di natura differente e spesso opposta, che però ci aiutano a formare la nostra personalità e a renderci più forti di fronte alle inevitabili difficoltà che incrociamo lungo il cammino, che spesso è fatto di salite, discese e numerose buche (soprattutto per le strade della Capitale). Per imparare a guidare in questa giungla è dunque fondamentale vivere le grandi delusioni, rialzarsi e camminare più forti di prima.
Ecco, in questo senso il derby è forse una delle migliori palestre di vita per un tifoso, perché insegna come si può passare dalle stelle alle stalle in soli 90 minuti. Ogni vittoria va vissuta al massimo sfottendo i rivali cittadini, mentre le sconfitte devono essere digerite nel minore tempo possibile, cercando di sopravvivere ai clacson dei festeggiamenti che si sentono per tutta la città. È vero, le partite in Champions League regalano un'atmosfera magica forse ineguagliabile, ma il derby ti pone di fronte al tuo rivale storico in un confronto per il predominio cittadino.
Noi laziali, ad esempio, ricordiamo il 5 a 1 del 2002 come una delle pagine più nere della nostra storia, anche perché qualche mese prima i cugini ci avevano "scucito lo scudetto dal petto". Ma ci riteniamo fortunati se pensiamo che dall’altra parte c’è chi ha vissuto la catastrofe del 26 maggio…