Perché la NMO va riconosciuta come malattia rara

Perché la NMO va riconosciuta come malattia rara


In questo numero della nostra newsletter:  

  • Perché la NMO va riconosciuta come malattia rara
  • NMOSD: siamo rari, non invisibili - Inchiesta


Perché la NMO va riconosciuta come malattia rara 

di Maria Triassi 


Le NMOSD, le malattie dello spettro della neuromielite ottica, sono considerate malattie croniche, ma non sono universalmente classificate come malattie rare. Tuttavia, c’è un dibattito in corso. Se fossero ufficialmente riconosciute come tali, ci potrebbero essere alcuni vantaggi per i pazienti. Sicuramente, ci sarebbero maggiori risorse: le malattie classificate come rare spesso ricevono più attenzioni e conseguente interesse nella ricerca e nello sviluppo di trattamenti.  

Non solo: con il riconoscimento come malattia rara, potrebbero essere sviluppati trattamenti specifici e protocolli di gestione ad hoc per i pazienti. Inoltre, ci potrebbero essere incentivi per lo sviluppo di nuovi farmaci mirati e terapie innovative.  

In alcuni Paesi, poi, l’essere classificati come affetti da malattia rara può garantire l’accesso a programmi di assistenza finanziaria, sussidi, agevolazioni fiscali. Infine, il riconoscimento della NMOSD come malattia rara potrebbe portare alla formazione di una comunità più coesa di pazienti, familiari e caregiver, che potrebbe offrire un sostegno emotivo e pratico ancora maggiore.  

Tuttavia, è importante notare che la classificazione come malattia rara non garantisce automaticamente tutti questi vantaggi e che ci potrebbero essere sfide associate a questa classificazione, come la disponibilità limitata di risorse.

Inoltre, il riconoscimento formale della NMOSD come malattia rara potrebbe richiedere un processo normativo e burocratico che potrebbe richiedere del tempo.

Il costo della gestione di una malattia rara per la sanità, infatti, può essere significativo e può includere sia costi diretti che indiretti. I costi sanitari diretti includono i costi delle visite mediche, delle terapie, dei farmaci, degli esami diagnostici e degli interventi chirurgici necessari per gestire la malattia. Le terapie per le malattie rare spesso richiedono farmaci specializzati o trattamenti di alta complessità che possono essere molto costosi.    

Ci sono poi costi sociali ed economici: le persone con una malattia rara possono affrontare una serie di sfide, tra cui sostenere costi indiretti come la perdita di reddito a causa della disabilità, l’assunzione di caregiver o l’adattamento delle strutture domestiche per soddisfare le esigenze del paziente.    

La ricerca e lo sviluppo di trattamenti per le malattie rare possono essere costosi e richiedere notevoli risorse. Anche se esistono organizzazioni e istituti dedicati alla ricerca sulle malattie rare, il finanziamento spesso è limitato e può essere difficile ottenere risorse sufficienti per progredire nella comprensione e nel trattamento di ciascuna patologia.    

Le malattie rare spesso sono difficili da diagnosticare e richiedono specialisti altamente qualificati per la gestione e il trattamento. Questo può comportare costi aggiuntivi associati a visite mediche specialistiche, esami diagnostici avanzati e consultazioni multidisciplinari.

Ma quali sono gli effetti sul sistema sanitario? Le malattie rare possono porre una pressione aggiuntiva sul sistema sanitario a causa della necessità di cure specializzate e costose, nonché della gestione delle complicanze associate. Questo può portare a tempi di attesa più lunghi per i pazienti e a un maggiore carico di lavoro per i fornitori di assistenza sanitaria.

In sintesi, i costi sociali ed economici associati alle malattie rare possono essere significativi sia per i pazienti sia per i sistemi sanitari pubblici.  

Tuttavia, è importante notare che investire nella ricerca e nella gestione delle malattie rare può portare a miglioramenti significativi nella qualità della vita dei pazienti e a una migliore gestione delle risorse sanitarie nel lungo termine. Ed è su questo che dobbiamo puntare. 


Maria Trassi, epidemiologa e igienista, è stata la prima donna Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli. Dirige il Dipartimento ad Attività Integrata di Sanità Pubblica, Farmacologia e Dermatologia dell’AOU Federico II di Napoli, ed è Presidente onoraria del Cirmis, il Centro interdipartimentale di ricerca su management e innovazione in sanità dell’ateneo campano.


NMOSD: siamo rari, non invisibili 

di Ambra Notari 


Un percorso diagnostico complesso e prolungato; una presa in carico interdisciplinare; un approccio integrato; attacchi gravi e riprese incomplete; pesanti manifestazioni sintomatiche. E poi la gestione delle ricadute lavorative, scolastiche, sociali. È questo l’iter al quale sono sottoposte le persone con NMOSD, le malattie dello spettro della neuromielite ottica, malattie autoimmuni del sistema nervoso centrale che interessano prevalentemente il nervo ottico e il midollo spinale. 

A lungo considerate varianti della SM, a partire dagli anni Duemila la ricerca, grazie all’individuazione di un anticorpo specifico marcatore di malattia, l’acquaporina-4 (AQP4), ha permesso di distinguere, al momento della diagnosi, le NMOSD dalla sclerosi multipla.  

Si stima che, in Italia, siano 1.500-2.000 le persone con NMOSD, con un quadro diagnostico diverso e spesso più severo di quello della SM. Nonostante ciò, a oggi la NMO ancora non è riconosciuta come malattia rara: è questo uno dei primi obiettivi che si è data la giovanissima AINMO, l’Associazione italiana neuromielite ottica, nata nel marzo del 2023 in seno ad AISM. 

«Negli ultimi anni il desiderio di AISM e FISM di dar voce a questa patologia correlata si era fatto sempre più insistente. Cominciavamo a essere tanti, nella nostra rarità, chiusi nelle nostre paure: avevamo chiaro il bisogno di unirci, creare un nucleo, tessere una rete. Finalmente, il 1° marzo 2023 abbiamo firmato il nostro ‘certificato di nascita’ – racconta Elisabetta Lilli, Presidente e Socia Fondatrice di AINMO –. Eravamo quattro sconosciute accomunate da una patologia rara che stavano firmando l’atto costitutivo di un’Associazione che, giorno dopo giorno, cresce con noi, ‘protetta’ dal mondo AISM, che ci supporta costantemente anche grazie alla capillare rete di centri sul territorio, sui quali ci appoggiamo».  AINMO nasce con questo scopo: portare avanti istanze condivise, trasformarsi in megafono per tante voci fino a pochi anni fa isolate nel panorama sanitario italiano. «Per ora la nostra malattia è riconosciuta come cronica, non come rara, escludendoci dunque da tutta una serie di facilitazioni che aiuterebbero molto sia noi, sia le persone che si prendono cura di noi. Perché raro non significa trascurabile». 


Il non essere riconosciuti come malattia rara, spiega Lilli, «ci impedisce di accedere a servizi che ci spetterebbero di diritto, a cure adeguate anche molto costose. Senza dimenticare la grande eterogeneità sul territorio: sono pochi i centri clinici che, a oggi, posso garantire una presa in carico adeguata». A tracciare il quadro è Carla Tortorella, neurologa dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma: «Sono i centri Sclerosi Multipla (oggi definiti centri “SM e malattie correlate”) che si occupano e preoccupano della presa in carico di queste patologie. Questo garantisce percorsi collaudati, per quanto perfettibili perché da riadattare – almeno in parte – in base alle peculiarità di queste patologie rispetto alla SM. Le malattie dello spettro della neuromielite ottica richiedono talora setting diversi rispetto alla SM, in particolare nelle fasi acute quando è spesso necessario il ricovero ospedaliero per l’accesso ad alcune terapie dell’attacco».

Come detto in apertura, la presa in carico di una persona con NMOSD deve essere multidisciplinare: il direttore d’orchestra è il neurologo, che armonizza tutta una serie di professionalità: il neuroftalmologo, il neuroradiologo, il fisiatra, il logopedista, l’immunologo, i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, il personale infermieristico qualificato, e possibilmente il case manager. «Importantissima poi è la collaborazione con i laboratori specialistici per la testistica di laboratorio, in particolare anticorpi anti-acquaporina e MOG, indispensabili per una corretta diagnosi». 

 «Focalizzando l’attenzione sull’Italia centrale, l’accesso per la diagnosi è garantito in tutti i centri SM. I servizi e le figure professionali disponibili, però, possono cambiare da centro a centro, e anche quelli più grandi possono non avere tutte le facilities – ammette Tortorella –. Ecco perché ‘utilizzare’ le risorse in rete e creare percorsi condivisi potrebbe essere utile per una migliore gestione. Le malattie dello spettro della neuromielite sono malattie tempo dipendenti, è indispensabile un “fast track” in caso di ricadute. Le ricadute sono repentine e spesso gravi, motivo per cui va prevista la possibilità di un accesso anche alla degenza ospedaliera per specifici trattamenti».

In una fase più avanzata, come per la SM va implementata la telemedicina, così come l’assistenza domiciliare per garantire una medicina di prossimità a chi ha difficoltà a raggiungere il centro per i controlli necessari.  


«Sicuramente – aggiunge Marco Capobianco, neurologo dell’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo – l’ideale sarebbe creare una rete territoriale a partire dalle Case di comunità affinché il paziente, soprattutto se con esiti invalidanti importanti, possa essere seguito nella prossimità del domicilio. In questi casi la telemedicina può venire in aiuto, con il centro specialistico che può fornire indicazioni precise al medico di medicina generale o al neurologo del territorio per una migliore gestione del paziente stesso. Ci sono poi tutte le necessità ‘sociali’: sarebbe necessario, come AISM per la SM ha già fatto, avere un documento tecnico che possa essere d’aiuto ai medici certificatori INPS per le richieste di invalidità».

Come diceva anche Lilli, sono diversi gli ostacoli che una persona con NMOSD si trova ad affrontare, oltre a quelli prettamente legati alla malattia: la riabilitazione, per esempio, rappresenta un problema in molte realtà per le sempre esigue risorse a disposizione: «Indubbiamente il nostro territorio ha difficoltà a rispondere a questo tipo di richieste e dunque sì, molte persone scelgono di rivolgersi al privato, magari tra una presa in carico e l’altra» conclude Tortorella. Quello che sicuramente si nota sono anche le differenze nella formazione del personale sanitario, che spesso non sa come muoversi e dà risposte in tempi lenti, quando il paziente avrebbe solo bisogno di accelerare diagnosi e trattamento». È questo uno dei problemi – forse IL problema – di tutte le patologie: più rare sono, più è difficile che la massa degli operatori ne abbia contezza. Negli ultimi anni, dai centri SM è partita un’informazione capillare. Se i grandi centri contano una decina di pazienti con malattie NMOSD, uno piccolo ne avrà uno e farà, ovviamente, più fatica a garantire l’experience necessaria. «Essendo una malattia rara, è impossibile che possa essere seguita in tutti gli ospedali e in tutte le neurologie. Ecco perché i centri di coordinamento devono essere punti di riferimento per le strutture più piccole. È quello che abbiamo fatto in Piemonte: qui la rete dei centri SM è una rete diffusa, ma all’interno ci sono centri a più alta specializzazione cui spesso vengono riferiti i pazienti più delicati e difficili da seguire, in particolare pazienti con NMO o MOGAD. Una delibera regionale ha definito i centri autorizzati alla prescrizione dei nuovi farmaci immunomodulanti per il trattamento della neuromielite ottica: è indispensabile che questi pazienti vengano riferiti a questi centri affinché possano beneficiare di tutte le potenziali terapie che oggi abbiamo a disposizione. A livello più generale – dice Capobianco – servirebbe partire dal formare e sensibilizzare oculisti, oftalmologi e neuroradiologi, tra i primi che potrebbero rintracciare sintomi, per poi passare a gastroenterologi, medici di base, medici di medicina generale: questo per riuscire a riconoscere sintomi ‘sospetti’ e arrivare tempestivamente a una diagnosi corretta». 


«Chi ha avuto sintomi prima dell’avvento delle cure è più grave, perché abbiamo cominciato dopo – tardi – a essere curati in maniera adeguata. La mia diagnosi risale al 2004, 20 anni fa, ed era una diagnosi di SM, diventata diagnosi di NMOSD solo una decina di anni dopo – ripercorre Elisabetta Lilli –. Il mio primo sintomo risale al 1992, etichettato dai medici come colpo di freddo a un occhio. Ne sono seguiti tanti altri». Problemi alle gambe, una neurite ottica, il singhiozzo per 6 mesi: «Quando arrivò la diagnosi di SM mi sentii quasi sollevata. Finalmente quello che avevo aveva un nome. Ma mi sentivo bene, continuai con la mia vita. Le cose precipitarono tra 2013 e 2014: per un mese non vidi nulla, fu il periodo peggiore della mia vita. E poi continue ricadute, una dietro l’altra, finché arrivarono i primi biomarcatori». Lilli è romana di nascita e pisana d’adozione ma, in quel periodo, tutti i medici che la videro – e che, con alterne fortune, riuscirono a decifrare i suoi sintomi – le suggerirono di andare a Milano, uno dei pochi centri – forse l’unico – in grado allora di fornirle un supporto adeguato. «Mi dicevo: chissà se qualcuno soffre della mia stessa malattia. Ho cercato in maniera indefessa, cercavo conforto, spunti, confronto. E ho conosciuto 4 donne, tutte con una patologia simile, tutte con una malattia dello spettro della neuromielite, diagnosticate anche prima di me, a partire dal 2008». 


Il bisogno di confrontarsi, di sapere di non essere soli, sono le stesse motivazioni che hanno spinto l’anconetano Andrea Montella a cercare, per anni, in maniera indefessa, qualcuno che potesse gettare un po’ di luce sulla situazione che stava vivendo sua figlia Ilaria, oggi 32 anni. «Ilaria aveva una diagnosi di neurolupus, pensavamo che tutti i problemi fossero legati a quello. Poi, però, si manifestarono sintomi ‘strani’ e, andando sempre a più a fondo con gli esami, scoprimmo che era positiva agli anticorpi anti-acquaporina 4. Era la diagnosi di neuromielite. La cosa peggiore fu che ci venne consegnato questo foglio in inglese, incomprensibile, e nessuno ci spiegò niente. Inutile dire che andammo nel panico».

Come in apnea, Andrea cerca in rete, sui social una risposta alle loro infinite domande. Nel frattempo, Ilaria inizia la terapia per la cura del LES, il Lupus Eritematoso Sistemico, malattia cronica autoimmune che colpisce principalmente la popolazione giovane di sesso femminile e si caratterizza per la produzione di anticorpi diretti erroneamente verso vari organi e tessuti dell’organismo. «Con grande costanza – racconta il padre –, sui social cerco persone con NMOSD. Una prima ragazza mi parla di Genova, poi ne conosco una seconda che ci dà le prime informazioni, poi una terza, e anche lei ci parla di Genova e Milano. Lì comincia il nostro pellegrinaggio che ci porta fino al dottor Gianluigi Mancardi, neurologo anche di AISM, che finalmente ci apre una speranza: ‘Conosciamo questa malattia. Possiamo aiutarvi’».  

Poi, però, arriva la pandemia che, con troppe domande ancora senza risposta, chiude in casa una famiglia con una figlia immunodepressa. «Ilaria, in quel periodo, ha una grave recidiva, ma è forte e si rialza. Subito dopo la pandemia, partiamo alla volta di Pavia per incontrare il dottor Matteo Gastaldi, anche lui in orbita AISM. In viaggio con noi anche un’amica di Ilaria con una diagnosi di MOGAD». Per trovare il farmaco migliore per la cura di Ilaria – come per tutte le malattie di questo tipo – si va per tentativi, con l’obiettivo prioritario di evitare ricadute. «Cominciamo una terapia a Pavia, stiamo là 9 giorni. Il quadro della patologia di Ilaria comincia a delinearsi. Gastaldi ci suggerisce di rivolgerci alla dottoressa Raffaella Cerqua dell’Ospedale Torrette di Ancona, per continuare la terapia vicino a casa. Oggi il farmaco viene somministrato ogni 14 giorni in day hospital a Ilaria, che lì ha anche festeggiato il suo compleanno. Le hanno fatto una bellissima torta. È molto amata, siamo davvero fortunati. Per quanto ne sappiamo, a oggi lei è la prima donna con una diagnosi di NMOSD nelle Marche: spero tanto sia anche l’unica». 

La chat di gruppo, fino a oggi, ha messo in contatto 36 persone, tutte giovani donne. «Ne faccio parte anche io – sorride Andrea –, provo a portare la mia esperienza di caregiver. In questi anni abbiamo provato molte emozioni ma, in primis, direi che ci siamo sentiti soli e abbiamo avuto paura. Fare rete è l’unica cosa che conta, ci nutriamo vicendevolmente di esperienze e informazioni. Non si tratta solo di terapie e farmaci: si tratta anche di lavoro, per esempio». Ilaria con la Legge 68 ha trovato lavoro in un’azienda: «I titolari sono persone fantastiche, alla prima recidiva, nonostante l’ufficio del lavoro avesse detto che poteva essere impiegata per determinati lavori, le hanno cambiato mansione. Le garantiscono una postazione adeguata, sono comprensivi e flessibili. Ma non tutti sono così».

Come per la SM, anche per le NMOSD uno dei sintomi è la stanchezza, una stanchezza che non passa dormendo né riposando sul divano: e, come per la SM, è uno dei sintomi invalidanti che meno viene compreso dai datori di lavoro. «Io Ilaria non la lascio sola. Oggi convive con il suo ragazzo, sono felici. A loro ho detto: "Voi fate la vostra vita, a tutto quello che è medico penso io". Sono un militare dell’Aeronautica e, nei miei superiori, ho sempre trovato tanta comprensione. Ho cambiato mansioni, riesco a conciliare il lavoro e la cura di mia figlia. Ma chi non può permetterselo, che fa? E quando noi non ci saremo più, che succederà? Lei ormai è capace e sa come muoversi, ma ci sono tante persone che hanno e avranno sempre più bisogno di sostegno. Ecco perché sono così felice che, vicino ad AISM, sia nata AINMO, a cui auguro di essere sempre più forte, presente, diffusa, dinamica».

«AISM ci ha subito proposto di creare una ‘casa’ tutta nostra – sottolinea Lilli –, e ci ha anche dato gli strumenti per partire. Insieme siamo stati al Parlamento Europeo per votare il Manifesto delle persone con disabilità, insieme abbiamo dato vita alla 1ª Giornata dedicata alle persone con NMO e MOGAD, il 6 aprile a Milano». Prossimi step, visitare tutte le Sezioni AISM per farsi conoscere e avviare una raccolta fondi che possa permettere all’Associazione di investire in ricerca e formazione.

A livello pratico, c’è l’impegno per permettere più agevolmente il rinnovo della patente e per sostenere l’inserimento lavorativo e il mantenimento del lavoro delle persone con una malattia NMOSD: «Come nella SM, a essere più colpite sono le giovani donne tra i 30 e i 40 anni, con tutta una vita davanti, sociale, familiare, lavorativa. Io per quasi 5 anni sono stata costretta a fermarmi e, per rientrare nel mondo del lavoro, ho scelto i concorsi pubblici che, grazie alla Legge 68, mi hanno consentito di trovare un impiego. Ma le opportunità sono ancora poche e distribuite in maniera non omogenea sul territorio. Potendo poi sognare in grande, vorremmo portare il nostro modello a livello europeo, magari dando vita a una piattaforma unica e sovranazionale che metta in rete le persone con NMO, MOGAD e patologie correlate. Siamo destinati a essere sempre di più, basti pensare che le diagnosi di NMO e MOGAD, in uno anno, si sono triplicate grazie all’individuazione degli anticorpi che provocano le patologie. Come dimostra la storia di Ilaria, in questa nostra avventura non siamo soli, al nostro fianco ci sono i caregiver, che spesso soffrono più di noi: perché, alla fine, noi che portiamo questo fardello lo facciamo proprio bene. Siamo fragili ma sappiamo reagire, siamo forti e non molliamo. Mai, nemmeno di un millimetro».


Gli articoli sono tratti dal numero 2/24 di smitalia, la rivista bimestrale dedicata ai nostri soci.

Mario Rusticali

Pensionato presso Amadori

7 mesi

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