Philip Roth. Il teatro di Sabbath
Sessantaquattro anni di vita lo avevano liberato da un pezzo dalla falsità della ragione; e questo avrebbe dovuto consentirgli di affrontare meglio le perdite. Il che dimostra semplicemente quello che prima o poi impariamo tutti: l’assenza di una presenza può stroncare la persona più forte P(pag. 147)
Roth è uno dei più grandi scrittori americani viventi. Candidato chissà quante volte al Nobel per la letteratura, ma mai acciuffato.
Irriverente, cinico, a tratti perverso: questo è Sabbath, il protagonista, una sorta di ‘re nero’ che troneggia su crudeltà, vane aspettative ed illusioni del genere umano. Ma nello stesso tempo Sabbath racchiude tutti gli aspetti meno nobili dell’esistenza e li purifica dando voce a istinti e pulsioni. Verrebbe da dire: ‘innocente e senza malizia come un bambino’, ed in effetti è proprio così dato che l’uomo è rimasto bloccato all’anno 1944, poco più che bambino, quando perderà l’amato fratello maggiore in guerra. E questo lutto accompagnerà la vita di Sabbath per sempre, rispecchiandosi negli innumerevoli altri lutti che si troverà ad affrontare. In merito alla trama mi fermo qui. In merito alle suggestioni, è un romanzo da cui poter trarre innumerevoli spunti anche in chiave psicologica: tutto è incentrato attorno ad un lutto, ad una morte che avrà delle conseguenze su Sabbath e sul suo sistema familiare; le stesse scelte di vita di Sabbath, anche quelle più estreme, saranno condizionate da questo lutto irrisolto e dal fatto di essere sopravvissuto al posto dell’amato fratello; è quindi un libro sul lutto, ma oltre a questo anche sui conflitti di lealtà all’interno di un sistema familiare che ha vissuto un lutto, ed ultimo ma non ultimo sulle conseguenze che ereditiamo dalla nostra famiglia di origine. Più conosco Philip Roth, più lo userei come materiale di studio. Da leggere.
Psicologo, Psicoterapeuta - Adolescenti, Giovani adulti, Adulti ☎ 3460048917 (San Paolo, Metro B)
7 anniOttima presentazione!