Prevenire o gestire la crisi d’impresa? Questo è il problema. Una prima disamina operativa di come impostare gli adeguati assetti ex
art. 3 CCII

Prevenire o gestire la crisi d’impresa? Questo è il problema. Una prima disamina operativa di come impostare gli adeguati assetti ex art. 3 CCII


Milano 9 luglio 2022

 

A cura di Massimo Talone

Membro del Comitato Scientifico della Fondazione Dottori Commercialisti di Milano

 

Nel mio precedente articolo, pubblicato su Linkedin il 23 marzo 2022, ho cercato di dare un primo inquadramento, normativo ed operativo, al tema degli “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili” di cui all’art. 2086 del Codice civile e dei “segnali d’allerta”, così come erano stati definiti dallo schema di decreto legislativo del 17 marzo 2022 recante modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in attuazione della direttiva (UE) n. 2019/1023.

Con questo nuovo articolo, approfondiamo sul piano operativo il tema degli “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili” di cui all’art. 2086 del Codice civile e dei “segnali d’allerta”, alla luce del nuovo decreto legislativo n. 83 del 17 giugno 2022 recante modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in attuazione della direttiva (UE) n. 2019/1023 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1° luglio 2022.

Innanzitutto, bisogna premettere che dal 15 luglio 2022 entra finalmente e definitivamente in vigore, dopo un iter a dir poco tormentato e tortuoso, il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza che manda “in soffitta”, dopo 80 anni di “onorato servizio” la vecchia legge fallimentare.

In realtà, in questo Codice molto ancora rimane del vecchio corpo normativo e solo la prossima riforma dei reati fallimentari - che poi come si vedrà di “fallimentare” avranno ben poco dovendo disciplinare per lo più comportamenti omissivi e di mala gestio – ne decreterà il definitivo superamento.

Ma vediamo quali sono le principali novità del nuovo Codice, in particolare per quanto concerne le “nuove regole di gioco” che ogni imprenditore, individuale e collettivo, dovrà scrupolosamente rispettare a pena di responsabilità diretta.

Un primo aspetto lo potremmo definire “paradigmatico”.

A parziale deroga, infatti, del ben noto principio generale, più volte richiamano in dottrina e in giurisprudenza, di ispirazione liberista anglosassone e noto col nome di business judgment rule, si contrappone, adesso con grado superiore di prevalenza, il più “calvinista” principio che qui potremmo definire, parafrasando il precedente, stakeholder judgment rule.

In forza di questo nuovo paradigma normativo, l’imprenditore, sia esso individuale o collettivo, sarà sempre libero di organizzare nel modo che più ritiene utile e vantaggioso i fattori di produzione (come è ovvio che sia in una economia liberista) ma nel rispetto imprescindibile degli interessi di tutti coloro che hanno un interesse diretto ad una sana ed equilibrata gestione d’impresa e alla continuità aziendale nel medio-lungo termine (stakeholder).

In altri termini, il suo rischio d’impresa non potrà più essere trasferito surrettiziamente e soprattutto “a titolo gratuito” alle diverse classi di portatori d’interessi aziendali senza il pagamento di un giusto prezzo.

La tutela anzi degli stakeholder, quale interesse pubblico, diventa addirittura prevalente rispetto all’interesse privato alla libera iniziativa.

Questo principio generale impone ad ogni imprenditore, nel limite del principio di proporzionalità, di rispettare scrupolosamente il vincolo gestionale di esercitare l’impresa adottando “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili”.

Questo vicolo gestionale, in verità sempre esistito sul piano operativo, ora trova un puntuale riconoscimento giuridico ed una chiara declinazione normativa.

Il nuovo articolo 3 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, così come riformulato dal decreto legislativo n. 83/2022, e rinominato “Adeguatezza degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa”, così recita:

Ai fini della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa, le misure di cui al comma 1 [misure idonee alla rilevazione tempestiva dello stato d’insolvenza da parte dell’imprenditore individuale, N.d.R.] e gli assetti di cui al comma 2 [assetti organizzativi, amministrativi e contabili che deve istituire l’imprenditore collettivo, N.d.R.] devono [non, “possono”, N.d.R.] consentire di:

a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore (leggi: introdurre processi interni di valutazione sull’adeguatezza reddituale, finanziaria e patrimoniale);

b) verificare la non sostenibilità dei debiti e l’assenza di prospettive di continuità aziendale per i dodici mesi successivi e i segnali di allarme di cui al comma 4 (leggi: introdurre sistemi di tesoreria su base non solo rendicontale ma anche previsionale);

c) ricavare le informazioni necessarie a seguire la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui al comma 2 dell’articolo 13” (leggi: di fatto introdurre sistemi di pianificazione aziendale e controllo dei rischi d’impresa).

Ma come già ho avuto modo di rilevare nel mio precedente articolo, lo stesso articolo 3 specifica cosa debba intendersi per “segnali di allarme” (ovvero d’allerta), risolvendo in questo modo, ancora una volta in modo definitivo e “non interpretabile”, l’annosa questione (molto dibattuta in dottrina e tra gli studiosi della materia) di cosa si debba intendere per eventi premonitori di crisi d’impresa e quali viceversa devono considerarsi segnali di insolvenza (conclamata o meno).

Si badi bene, di crisi d’impresa non d’insolvenza, in quanto eventi riconducibili a quegli early warning che, nel Quaderno SAF n. 71, pubblicato nel lontano ottobre 2020, avevo definito “anomalie rilevanti” e che qualificano il concetto di “fattori determinati della crisi d’impresa”.

Si tratta di mancati o ritardati pagamenti nei confronti dei principali stakeholder aziendali (e non di squilibri patrimoniali che viceversa qualificano lo stato d’insolvenza).

Costituiscono, in particolare, segnali di allarme per gli effetti di cui al comma 3:

a) l'esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;

b) l'esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;

c) l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni (introducendo un concetto di past-due più restrittivo di quello bancario che, come è noto, è di 90 giorni, con evidenti conseguenze nel rapporto banca-imprese) o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti (vale a dire, dei fidi accordati) ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni (vale a dire, si badi bene, dei fidi utilizzati);

d) l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’articolo 25-novies, comma 1 (vale a dire, nei confronti dei così detti creditori pubblici qualificati: erario, enti previdenziali, agenti della riscossione).

Cosa ci insegna il nuovo articolo 3 del CCII?

Che la prevenzione e cosa diversa dalla gestione e tale precetto è particolarmente vero quando si parla di crisi d’impresa e d’insolvenza.

Corollario: coloro che si specializzano in “prevenzione” ovvero in processi di diagnosi, controllo e monitoraggio dell’adeguatezza reddituale, della liquidità, della struttura finanziaria e del livello di patrimonializzazione (adeguati assetti) devono necessariamente distinguersi da chi si specializza in gestione della crisi d’impresa e dell’insolvenza (procedure concorsuali).

L’aver creduto che avvocati e “concorsualisti” (vale a dire, liquidatori, commissari e curatori) da un giorno all’altro potessero diventare specialisti di finanza aziendale e di normativa e tecnica bancaria e creditizia è forse stato il principale errore commesso dal Legislatore italiano.

Il parziale fallimento del nuovo strumento stragiudiziale denominato “composizione negoziale della crisi d’impresa” lo dimostra palesemente.

Il nuovo Codice, nella versione emendata dal decreto legislativo n. 83/2022, in qualche modo “corregge il tiro” prevedendo, a fianco e forse in alternativa dell’elenco degli esperti indipendenti, il nuovo elenco dei gestori della crisi d’impresa e dell’insolvenza, palesando, anche sul piano legale, una marcata differenziazione di ruoli (e quindi di specializzazioni professionali).

Insomma, un medico rianimatore e cosa ben diversa da un anatomo-patologo.

Ma torniamo all’articolo 3 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Dal 15 luglio tutte le società, ripeto tutte le società non soltanto quelle in situazioni “problematiche”, dovranno adottare adeguate procedure di controllo e monitoraggio dei rischi d’impresa nell’ambito di quelli che si definiscono “controlli di 2° livello”.

Attenzione: non si confondano queste procedure di controllo con quelle, che vanno sotto il nome di “controllo di gestione”, del tutto volontarie, interne e destinate non agli stakeholder ma all’imprenditore (shareholder: amministratore o socio), funzionali alla efficiente ed efficace gestione aziendale.

Tantomeno “ci azzeccano” stravaganti quanto improprie metodologie di controllo strategico, di derivazione anglosassone (tipo Balanced Scorecard e simili) che, pur utili sul piano operativo interno, non rientrano nei modelli “compliance” previsti dal Legislatore.

In tal senso, un minimo di chiarezza nella tassonomia e dei modelli operativi da utilizzare sarebbe stato utile almeno nella Relazione Illustrativa al decreto legislativo in questione.

Ma vediamo in concreto, cosa dovrà essere fatto da una ipotetica società di capitale (S.p.A. o S.r.l) per assolvere agli obblighi degli adeguati assetti di cui all’art. 3 del CCII:

1.   L’organo amministrativo, inquanto destinatario degli obblighi normativi in questione, dovrà provvedere a redigere tempestivamente un regolamento interno delle procedure di valutazione interna sull’adeguatezza reddituale (adeguato livello di autofinanziamento), delle liquidità (posizione di tesoreria stabilmente in equilibrio ovvero DSCR > 0), della struttura finanziaria (ovvero della posizione finanziaria netta non superiore ad un ragionevole multiplo dell’EBTDA), del livello di capitalizzazione (uguale o superiore al buffer patrimoniale necessario alla coperture di tutte le perdite inattese derivanti dal rischio d’impresa). Al regolamento interno dovrà essere allegato il manuale delle procedure di diagnosi, controllo e monitoraggio.

2.   Il regolamento interno dovrà essere approvato dall’organo amministrativo con il parere favorevole dell’organo di controllo (sindaco unico o collegio sindacale).

3.   L’amministratore dovrà nominare un professionista di comprovata esperienza a cui affidare la funzione di Rating Advisor con il compito di effettuare l’attività diagnostica, di controllo e monitoraggio. Quest’ultimo sarà tenuto a rendicontare periodicamente (su base almeno trimestrale) sia all’organo amministrativo che ai sindaci.

4.   In forza del principio di proporzionalità, le società maggiori e più strutturate saranno tenute a predisporre un piano aziendale almeno su base triennale da far approvare all’organo amministrativo con il parere vincolate dell’organo di controllo. Tale piano dovrà essere utilizzato dal Rating Advisor nelle attività di monitoraggio e di riscontro tra i target del piano ed i risultati conseguiti.

Per le società minori sarà sufficiente predisporre un piano di tesoreria a 12 mesi ed eventualmente un bilancio pro-forma su base estrapolativa tendenziale corrente al 31/12 sulla base delle situazioni contabili infra-periodali (31 marzo, 30 giugno, 30 settembre).

 In questo modo, si assolveranno a tutti i vincoli legali imposti dall’art. 3 (adeguati assetti e verifica dei segnali di allerta automatici) con esimenza di responsabilità per amministratori, sindaci e, laddove presenti, revisori legali.

 In caso di significativo squilibrio reddituale, finanziario o patrimoniale, così come in caso di anomalie di pagamento rilevanti (ritardati pagamenti nei confronti di una o più classi di stakeholder, nei limiti e termini di cui al punto 4 dell’art. 3), il Rating Advisor dovrà senza indugio informare l’organo di controllo (sindaci) il quale avvierà la fase di escalation (allerta interna) con comunicazione formale all’organo amministrativo.

 Quest’ultimo a sua volta, se non vorrà incorrere in pesanti responsabilità patrimoniali (e forse, alla luce dei nuovi reati fallimentari, anche penali) dovrà predisporre un contingency plan e ricorrere, in funzione del grado di squilibrio e di avanzamento della crisi, ad uno degli strumenti previsti dal Codice: composizione negoziale o quadri di ristrutturazione.

 Non sarà facile ma tant’è.

Giovanni Emmi

𝕕𝕠𝕥𝕥𝕠𝕣𝕖 𝕔𝕠𝕞𝕞𝕖𝕣𝕔𝕚𝕒𝕝𝕚𝕤𝕥𝕒 | Innoviamo PMI e studi professionali con soluzioni digitali e Intelligenza Artificiale | Consulenza organizzativa e direzionale

2 anni

Molto chiaro Massimo, complimenti

Giovanni Colucci

Presidente Banca Popolare Commerciale - Dottore Commercialista - CFO - Titolare di GestioneTesoreria.it

2 anni

Ottima e puntuale sintesi… soltanto la figura del “Rating advisor” mi lascia perplesso, sia nel nome che induce all’esistenza di una gradazione che mi sembra che invece non sia prevista, sia nella esclusività, poiché credo che tali processi/adempimenti “possano”, sussistendone le attitudini, essere svolte dai collegi sindacali. Verissima e giustissima la dicotomia ben rappresentata dalla differenza tra anatomia-patologo e rianimatore: Sarebbe molto interessante se si creasse anche un processo di formazione continua per i primi dei due. Seguirò come sempre i Suoi ulteriori approfondimenti

Liana Gabriela Rotariu

Founder/CEO di SEMPI | #FAB50 Premio Gamma Donna | Autrice libro METODO SEMPI®| CMC APCO

2 anni

Direi era ora anche se non dovrebbe essere una legge dove obbliga l’imprenditore a gestire controllare e rettificare la sua impresa, ma purtroppo evidentemente deba esistere. Sarebbe utile farla un pochino meno difficile alla comprensione della gente comune. Lei ha fatto una chiara e precisa spiegazione ma quanto potrebbero capire ???

Gianluca Imperiale

Pianificazione e Gestione Impresa. Fondatore bpexcel.it

2 anni

Complimenti finalmente una spiegazione chiara su quello che e il.monitoraggio che tutte le aziende dovranno istituire al proprio interno

Edmondo Petrozzi

Economista D'Impresa/Dott.Commercialista| Ambassador Finance Atena #AI| WeInvest

2 anni

Come sempre puntuale e preciso Massimo you know you can! . Aggiungo e condivido: Il business plan nasce o dovrebbe nascere naturalmente come esigenza interna di ogni azienda, minimamente strutturata, che alla luce dell’adozione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili (cfr.art.2086 c.c.) intenda prefigurare l’evoluzione della gestione, non soltanto in chiave di previsione delle crisi d’impresa. Ed è singolare notare che proprio mentre la Suprema Corte di Cassazione sancisce che “dove c’è piano non c’è concessione abusiva di credito”, molte banche e quasi tutte le imprese ritengano il BP una fastidiosa incombenza. No business plan, no fido: una rivoluzione per banche e imprese E’ una vera e propria rivoluzione di cui si è parlato poco finora. Una rivoluzione che riguarda il sistema bancario e il mondo delle imprese, tra cui quelle meno attrezzate ad affrontare il cambiamento sono sicuramente le piccole e medie realtà aziendali.✌🌎👋

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