Previdenza complementare. Perché non decolla....
In Italia tutti ne parlano (Stato, assicuratori, consulenti, media, società di risparmio gestito....) ma nessuno se ne occupa veramente.
Si privilegia la sostenibilità del sistema pubblico (vedi adeguamenti automatici dovuti a speranza di vita e Pil) piuttosto che affrontare in modo opportuno il tema delle pensioni adeguate.
E gli esiti di ciò sono palesi.
La coperta della pensione pubblica sarà sempre più stretta.
La previdenza complementare è una delle pochissime frecce che abbiamo a disposizione per costruirci una pensione adeguata.
Ma nonostante qualcuno si dice convinto che la pensione futura sarà inadeguata, a fine 2017 i dati ci danno questa rappresentazione:
- 7.6 milioni sono il numero di iscritti alla previdenza complementare (+6,1% rispetto al 2016)
- 1,8 milioni (il 23,5%) ha interrotto la contribuzione
- i contributi medi annui per singolo iscritto sono stati l’anno scorso pari ad appena a 2.620 euro e un quarto degli iscritti (25,1%) ha effettuato versamenti inferiori a 1.000 euro.
In merito al tema versamenti contributivi è opportuno fare due riflessioni.
1) siamo sicuri che il totale dei contributi versati riesca a colmare il gap previdenziale?
2) prima di decidere quanto versare alla previdenza complementare abbiamo verificato i dati/proiezioni contenuti nella “busta arancione”. Magari potrebbero essere delle proiezioni ottimistiche
Voglio fare una veloce precisazione. Cosa è il gap previdenziale?
E’ la differenza percentuale tra il primo assegno pensionistico (cioè la nostra pensione futura) e l’ultimo stipendio percepito da lavoratore.
Quindi, più questa differenza (gap) è ampia, più la pensione che percepisco è minore.
Per queste ragioni è importante conoscere qual’è il gap previdenziale e quali azioni mettere in campo per colmarlo.
Oggi un giovane trentenne rischia un gap previdenziale di circa il 45%. In parole semplici significa che percepirà un assegno pensionistico di circa la metà del suo reddito. Un quarantenne avrà un gap di circa il 40%.
Un 25enne che inizia oggi a lavorare molto probabilmente, perdurando l’attuale dinamica di crescita dell’aspettativa di vita, l’andamento del Pil, …
- andrà in pensione a 71 anni e mezzo (cioè dopo 46 anni di lavoro)
- avrà un assegno pensionistico di € 1.424 (se lavorerà senza interruzioni) e di € 905 (se avrà dei buchi contributivi)
Quindi, non verificare attentamente questo dato comporta non solo una pensione futura molto diversa, ma questo avrà anche un impatto sul tenore di vita quando si deciderà di ritirasi dal lavoro.
Qualcuno sostiene che questa bassa adesione è causata da alcuni fattori:
- la maggior parte delle persone si dice spaventata principalmente dal fatto di dover sostenere il costo immediato del fondo pensione per poi ottenere un vantaggio che viene percepito come ancora molto lontano.
- altri non si fidano dello "strumento" fondo pensione
- qualcuno pensa che è troppo giovane per pensarci
- c’è chi non vuole fare delle scelte che considera ‘irreversibili’
Leggendo queste cose, la riflessione che faccio è che la verità è che la previdenza complementare non è solo un tema di contenuti, ma anche di percezione e di comunicazione NON improvvisata.
Tutti siamo coinvolti dalla necessità di integrare la nostra pensione pubblica con una pensione complementare.
Ma dobbiamo tener presente anche un altro aspetto.
Il più grande tesoro che abbiamo è il Tempo. Prima iniziamo meglio è, prima iniziamo meno ci costa, prima iniziamo più accantoniamo e più otteniamo.