Qual è la struttura finanziaria ottimale delle imprese per contrastare la pandemia
di Carlo Bellavite Pellegrini
Esiste una struttura finanziaria ottima per le imprese industriali? La finanza aziendale ha provato a rispondere a questa domanda descrivendo la struttura finanziaria ottima come quella che minimizza il costo del capitale e che quindi, a parità di flussi, massimizza il valore corrente dell'impresa. Le strutture finanziarie delle imprese hanno sempre attirato l'interesse di economisti, aziendalisti e anche degli storici dell'economia, dal momento che variano significativamente nei vari paesi, nei diversi settori economici e oscillano, fra diverso ricorso al capitale di rischio e a quello di debito, a seconda dei momenti storici. Le motivazioni che sono state, nel corso del tempo, addotte per spiegare le strutture finanziarie delle imprese, hanno preso in esame in un primo momento gli aspetti fiscali, successivamente i costi del dissesto e, in tempi più recenti, i costi di agenzia e le asimmetrie informative. Queste riflessioni sono state anche prodromiche agli studi di corporate governance.
Esiste una struttura finanziaria ottima delle imprese per contrastare la presente pandemia? Quali sono concretamente gli strumenti che possono aiutare le imprese a fronteggiare il momento presente? Per quanto riguarda gli strumenti di debito, sarebbe importante aiutare le imprese a potere emettere strumenti obbligazionari con scadenze molto lunghe e a tassi bassi, grazie alla politica monetaria sostenuta dalle banche centrali. Con specifico riferimento alle società a responsabilità limitata che hanno registrato una crescita numerica tumultuosa a partire dalla Riforma Vietti, quest'ultima aveva contemplato la possibilità, all'articolo 2483 del Codice Civile, di emettere titoli di debito. In altre parole, si tratta della possibilità di emettere strumenti non dissimili dalle obbligazioni da parte delle società a responsabilità limitata. Tuttavia tale strumento non è quasi mai stato utilizzato dalle stesse, per la necessità che tali titoli «possano essere sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali», come previsto dallo stesso articolo 2483. Tale previsione concretamente si traduce con la richiesta a un intermediario di fornire garanzia del debito emesso. Nei termini sopra descritti, per le società a responsabilità limitata tanto vale chiedere un affidamento direttamente all'intermediario o dotare, da parte dei soci, la società con capitale di rischio. Sia ben chiaro: non riteniamo che esista in Italia un mercato obbligazionario per titoli emessi da piccole imprese che sperimentano concretamente una quasi totale dipendenza dal credito fornito dagli intermediari. Non diversamente avviene per le società per azioni, caratterizzate peraltro da dimensioni maggiori e da assetti organizzativi più consolidati, che intendono emettere i cosiddetti mini bond. Crediamo tuttavia che una semplificazione di tale norma, anche a costo di assumere qualche piccolo rischio in termini di tutela del risparmio, permetterebbe almeno agli stessi soci delle società a responsabilità limitata di conferire capitali a titolo di debito alle stesse con scadenze molto lunghe. In modo analogo, per le società per azioni, anche il debito convertibile, di fatto un'opzione call con una cedola, può rivelarsi uno strumento molto utile, data l'alta incertezza e volatilità del quadro macroeconomico che tale strumento è in grado di sopportare meglio rispetto ai titoli di debito puro. Per quanto riguarda gli strumenti finanziari partecipativi, la Riforma Vietti ha introdotto agli articoli 2346, 2348 e 2350 del Codice Civile la possibilità di emettere, da parte delle società per azioni non quotate, azioni senza diritto di voto o a diritto di voto limitato a specifici stati del mondo. A oggi il ricorso a tali strumenti è stato molto limitato per due ordini di ragioni: da un lato la difficoltà anche dottrinale di definire un prezzo di equilibrio per tale tipologia di strumenti, che di fatto si configura come una percentuale di sconto rispetto ai titoli one share-one vote; dall'altro una cronica e non ingiustificata diffidenza verso gli strumenti del cosiddetto quasi equity.
Anche in questo caso non riteniamo che esista un effettivo mercato di tali strumenti per società per azioni non quotate, ma parimenti questi si rivelano molto utili nel complessivo design della struttura finanziaria delle imprese soprattutto in determinati momenti della vita delle stesse, quali il turnaround o i passaggi generazionali. Per questo motivo sarebbe interessante potere incentivare gli azionisti a investire nelle loro stesse imprese mediante una più vasta gamma di strumenti finanziari, peraltro già disponibili, rispetto a quelli correntemente usati. Da questo punto di vista, la mobilitazione delle disponibilità dei soci di società per azioni e società a responsabilità limitata verso le proprie imprese rappresenta uno strumento necessario, ma non sufficiente per permettere a queste imprese di superare i tempi duri che ci aspettano. Anche se non sufficiente, sarebbe già parecchio..! (riproduzione riservata)