Qualche osservazione su algoritmi e previsioni

Riporto qui sotto un estratto dall'articolo ALGORITMI E PREVISIONI pubblicata con Angelo Vulpiani su Sistemi Intelligenti n.1 (aprile 2023) nel quale cerchiamo di distinguere l'uso degli algoritmi di machine learning nella scienza da quello nella società.


Le previsioni sono una componente centrale dell’attività scientifica. Attraverso di esse la comunità contribuisce da un lato alla creazione di conoscenza, e dall’altro alla sua trasmissione alle istituzioni preposte alla decisione pubblica. Dalle misure economico-finanziarie a quelle di salute pubblica, tutte le decisioni importanti per la società si basano (auspicabilmente) su un qualche tipo di previsione (scientifica).

In larga parte queste previsioni sono di natura probabilistica. Non ci dicono cioè cosa succederà, ma ci indicano il grado di probabilità con cui possiamo aspettarci di osservare l’evento in questione. Poiché non tutte le previsioni sono uguali dal punto di vista metodologico, è necessario esercitare molta cautela nel loro utilizzo per la decisione.

La cautela di cui parliamo raramente si accompagna all’entusiasmo, in larga parte motivato e comprensibile, per i notevoli successi ottenuti nell’ultimo decennio dall’intelligenza artificiale (AI) e in particolare dagli algoritmi di apprendimento meccanico di ultima generazione che sottendono i sistemi di deep learning. Opportunamente addestrate con grandissime quantità di dati e implementate su processori (GPU) con capacità di calcolo senza precedenti, le reti neurali profonde, hanno contribuito all’ingresso dell’IA in una nuova stagione. Il motore di questa fase rivoluzionaria è così descritto dai suoi principali fautori:

 

The conventional option is to hand design good feature extractors, which requires a considerable amount of engineering skill and domain expertise. But this can all be avoided if good features can be learned automatically using a general-purpose learning procedure. This is the key advantage of deep learning. (LeCun et al., 2015).

 

Per quanto si tratti di un’area avvezza a eccessi di ottimismo, e conseguenti ritirate fragorose, l’attuale “primavera dell’AI” poggia su basi apparentemente solide: il volume di investimenti che è stata in grado di generare. Un esempio su tutti è l’acquisizione nel 2014, per circa sei- cento milioni di dollari, di Deep Mind da parte di Google. A proposito dell’ottimismo e dell’ambizione che anima il settore il motto di Deep Mind è Solving intelligence to advance science and benefit humanity.

La comunità scientifica ha dato credito a Deep Mind per aver compiuto un passo avanti significativo nel problema di predire il folding delle proteine. The game has changed, titolava Science il 30 novembre 2020, raccogliendo testimonianze di biologi che per decenni hanno lavorato, senza ottenere il successo di AlphaFold, a questo problema. Da lì a poco, Deep Mind ha suggerito che i suoi modelli di apprendimento meccanico avrebbero potuto essere di notevole aiuto nel processo di scoperta matematica (Davies et al., 2021). Nemmeno un anno e Deep Mind ha guidato un team che ha mostrato l’applicabilità dei metodi di deep reinforcement learning al problema di controllare il plasma nella fusione nucleare (Degrave et al., 2022).

Davanti a risultati che poco più di un decennio fa sembravano eccedere qualsiasi ottimismo, viene naturale chiedersi se il concetto di conoscenza scientifica, la sua produzione e il suo trasferimento alla società siano già in fase avanzata di aggiornamento, per usare un eufemismo. È forse troppo presto per dare risposte compiute -- rinviamo al saggio aggiornato e accessibile di Contucci (2023). Tuttavia ci sembra opportuno, mentre aspettiamo che i frutti stagionali maturino, tenere distinte due questioni che si sovrappongono in questo modo di formulare la domanda. Per semplicità le chiameremo l’impatto scientifico e l’impatto sociale dei sistemi di intelligenza artificiale. Alla luce di questa distinzione ci concentreremo poi su un aspetto specifico del problema, quello dell’automatizzazione delle previsioni.

Prima però, è utile fare una precisazione terminologica. Ci riferiamo qui a “sistemi di intelligenza artificiale” per includere sia l’intelligenza artificiale propriamente detta, sia l’apprendimento automatico (machine learning). Anche se sono spesso identificate, soprattutto nel discorso pubblico, non sono la stessa cosa. Intesa come la teoria volta alla meccanizzazione dei processi e dei comportamenti che secondo gli standard scientifici del momento richiedono capacità cognitive tipiche degli esseri umani, l’intelligenza artificiale è successiva all’apprendimento meccanico. Questo ha infatti le sue radici metodologiche nel cosiddetto pattern recognition, avviato tra gli altri da Wiener nel 1948 nell’ambito della cibernetica. Il nome “intelligenza artificiale” è invece stato coniato nel 1956 in occasione della conferenza organizzata a Dartmouth, tra gli altri, da John McCarthy e Claude Shannon. Come osservato da uno dei pionieri dell’apprendimento meccanico non supervisionato, il machine learning è una delle tecnologie che confluiscono nell’IA, ma non è corretto identificarle, né attribuire al machine learning intenti programmatici o teorici specifici (Jordan, 2019). In questo senso è anche utile ricordare che gli obiettivi teorici dell’IA sono in continua evoluzione, perché ogni successo alimenta obiettivi sempre più ambiziosi, in un crescendo senza fine. Viceversa, la performance degli algoritmi di apprendimento automatico è valutabile (secondo metriche ben definite) alla luce di problemi specifici. Questo permette di dichiarare “risolto” il problema particolare che si è posto. La distinzione tra IA e machine learning, che come detto risale alla seconda metà degli anni 50 del secolo scorso, non è una partizione – a partire dai contributi di Turing l’idea che le macchine potessero imparare dagli esseri umani ed eventualmente superarli intellettualmente è parte integrante della cultura dell’intelligenza artificiale. Si tratta di una distinzione per molti aspetti analoga a quella tra scienza e tecnologia, ambiti che spesso convivono in modo molto proficuo, ma che non coincidono. Questa analogia ispira la distinzione tra impatto scientifico e impatto sociale dei sistemi di intelligenza artificiale che ora passiamo a illustrare.

Impatto scientifico

 L’impatto scientifico dei sistemi di IA riguarda ciò che la combina- zione di machine learning e intelligenza artificiale propriamente intesa può contribuire, come ambito di ricerca scientifica, alla ricerca scientifica stessa. Qui gli orizzonti sono aperti, e sono costituiti dalla collaborazio- ne, più o meno strutturata e consapevole, tra persone e macchine. Non si tratta di una novità: sono infatti decenni che quasi nessun ambito di ricerca è pensabile senza l’ausilio di computer. Ma, come accennato, stiamo assistendo a un cambio di passo senza precedenti.

Dopo aver illustrato i vantaggi del calcolatore elettronico, e aver identificato nella memoria il collo di bottiglia tecnologico, Alan Turing si chiedeva in una celebre lezione del 1948 presso il National Physiscs Laboratory inglese se un giorno non troppo lontano le macchine si sarebbero affrancate dalla schiavitù delle persone che le programmano per arrivare a esserne collaboratrici (Wilkinson,1980). Nel 1952 Bruno de Finetti, probabilista e attuario, curò una dettagliata rassegna delle “Macchine ‘che pensano’ (e che fanno pensare)” per la rivista Tecnica e organizzazione, che si chiude con “l’augurio che il problema di dotare l’INAC di una calcolatrice elettronica possa trovare prossimamente la via verso la soluzione” (de Finetti, 1952). Mezzo secolo dopo, nella sua relazione di commiato da presidente dell’AAAI Association for the Advancement of Artificial Intelligence, Yolanda Gil ripercorre la lunga tradizione che mette l’avanzamento della ricerca scientifica al centro degli obiettivi dell’IA e chiede se la scrittura dei lavori scientifici sarà presto compito dei sistemi di intelligenza artificiale (Gil, 2022). In pochi decenni si è dunque passati dalle speculazioni del genio visionario di Turing, alla presa di coscienza dell’insostituibilità del supporto dei sistemi di intelligenza artificiale nel processo di costruzione della conoscenza scientifica.

Ad oggi la comunità scientifica si trova, con alcune eccezioni, in largo accordo sul fatto che gli algoritmi di machine learning sono soggetti a limitazioni importanti. Tra queste ricordiamo

  • l’enorme quantità di dati che servono per allenare le reti neurali;
  • la difficoltà (per gli umani) di analizzare le reti allenate con con- seguente difficoltà di spiegazione e l’interpretazione del loro output;
  • la mancanza di scalabilità e robustezza dei risultati così ottenuti, che in genere sono molto legati al dominio specifico di apprendimento.

L’ultimo punto è spesso addotto a giustificazione da chi ritenere  che i notevoli successi degli algoritmi di classificazione non conducano all’apprendimento dei concetti, condizione necessaria alla comprensione di livello umano (Mitchell, 2021). Si tratta di un altro modo per porre la distinzione tra gli obiettivi scientifici dell’IA da una parte, e quelli tecnologici dell’apprendimento automatico dall’altra. Abbiamo ampia evidenza del fatto che in problemi specifici i sistemi di AI sono in gra- do di raggiungere, e a volte superare, la capacità umana di elaborare previsioni, ma raramente questo si accompagna a una comprensione del motivo per cui quegli stessi modelli funzionano.

Le limitazioni del machine learning che abbiamo appena ricordato, per quanto importanti, non sono di ostacolo all’uso sempre più pervasivo dei sistemi di intelligenza artificiale nella ricerca scientifica. Anzi, in molti casi questi sistemi consentono di correggere errori e superare le limitazioni squisitamente umane. Questo non toglie che a volte il contributo del machine learning nella ricerca scientifica sia scarsamente utile o addirittura dannoso. Ma in fondo i rischi che ne derivano sono facilmente arginabili. Dopo secoli di esperienza, la comunità scientifica dispone infatti di una sorta di polizza di assicurazione contro l’esposi- zione creata dai rischi intrinseci al suo funzionamento: qualsiasi attività è costantemente passata al vaglio della comunità stessa. Se qualcosa va storto con l’uso del machine learning nella produzione di conoscenza scientifica, la comunità probabilmente se ne accorgerà e auspicabilmente porrà rimedio prima dell’insorgere di conseguenze pratiche negative. Si veda, a titolo di esempio il workshop organizzato all’università di Princeton nel luglio 2022 dal titolo The reproducibility crisis in ML-based science.

Questo ci permette di concentrarci su un’asimmetria importante, ma a nostro avviso sottovalutata, nel discorso pubblico sull’IA: gli errori che possono scaturire dalla nostra attuale scarsa comprensione del funzionamento delle tecniche più sofisticate di machine learning genera rischi generalmente tollerabili per la comunità scientifica. Le cose sono molto diverse quando le applicazioni di queste stesse tecniche siano rivolte direttamente alla società.

 Impatto sociale

Oltre a costituire una cornice sempre più rilevante entro la quale si svolge attività di ricerca scientifica, i sistemi di intelligenza artificiale sono, come anticipato in apertura, oggetto di notevole e sempre crescente investimento privato. Dopo i successi commerciali delle tecniche di machine learning registrati tra gli anni 90 e i 2000 da Amazon, Netflix, e Facebook, documentati per esempio in (Polson e Scott, 2018), si è rapidamente diffusa l’idea che ciò che ha (letteralmente) pagato in ambito di sistemi di raccomandazione, prevenzione delle frodi e previsione di consumo, avrebbe potuto applicarsi a una grande varietà di problemi: dalla diagnosi e terapia medica alle indagini giudiziarie, passando per la produzione di energia pulita. Si è così creato un ambito ibrido composto in parte (relativamente minoritaria) dalla comunità scientifica, in parte da investitori privati, e in parte da soggetti pubblici, come ospedali, tribunali e istituzioni deputate alla governance. In questo contesto, che non ha precedenti nella storia, si può facilmente arrivare a mettere nelle mani di persone non particolarmente esperte del loro funzionamento strumenti molto potenti, e potenzialmente molto pericolosi.

Nella campagna elettorale dell’estate 2022, il conservatore britannico Rishi Sunak ha promesso l’introduzione “dell’intelligenza artificiale” per abbattere il carico di lavoro del corpo docente delle scuole. Questo a due anni dallo scandalo degli A-levels. Si tratta di uno dei molti esempi in cui è evidente che i sistemi di intelligenza artificiale amplificano in modo significativo le disuguaglianze e le discriminazioni sociali. La letteratura su questo è ormai vasta e conta già alcuni classici, tra cui (O’Neill, 2016; Nowotny, 2021; Crawford, 2022).

L’impatto sociale riguarda quindi le molte forme in cui, come tecnologia, i sistemi di AI, soprattutto nella loro componente di machine learning, trovano impiego in un insieme di ambiti tra loro molto diversi e che vanno dalla governance alla salute pubblica, dall’economia alla giustizia. Nella roadmap ventennale curata nel 2018 dall’AAAI, si identificano aspirazioni importanti che includono la riduzione del costo della salute pubblica, l’istruzione personalizzata universale, e la difesa e sicurezza nazionali. Queste applicazioni, com’è immediato osservare, vanno molto oltre l’ambito di esercizio della comunità scientifica. Dunque la “polizza di assicurazione” contro i rischi derivanti dall’uso di sistemi di intelligenza artificiale per questi problemi non è esercitabile. Ecco dunque in azione l’asimmetria tra ambito scientifico e sociale. Nel primo caso il peggio che può succedere se le cose vanno male è la mancata accelerazione della conoscenza scientifica. Nel secondo invece, alle grandi opportunità di sviluppo si associano pericoli dai contorni ancora difficili da definire proprio perché molte domande scientifiche sui sistemi machine learning rimangono aperte, mentre le sue limitazioni, ricordate sopra, sono ben note, importanti, ma spesso sottovalutate.

Riassumendo quanto detto fin qui, nella sfera sociale bisogna esercitare molta cautela perché (i) la posta in gioco è molto più alta, (ii) l’incertezza è molto difficile da quantificare, e (iii) non è chiaro che il meccanismo di “autocorrezione” che fa da paracadute alla comunità scientifica abbia qui alcuna controparte. Nel resto di questa nota concentreremo la nostra attenzione sul punto (ii) e in particolare sulle difficoltà intrinseche alle previsioni elaborate algoritmicamente. A nostro parere una consapevolezza diffusa di queste difficoltà costituisce un tassello fondamentale per costruire una cultura dell’intelligenza artificiale. Questa è necessaria alla convivenza proficua tra persone e macchine, e auspicabilmente, a un uso lungimirante delle risorse economiche destinate all’ambito. 

 (L'articolo completo è disponibile sul sito della rivista https://www.rivisteweb.it/doi/10.1422/106991)


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