Quale opportunità dalla crisi Covid19?
In questo momento di emergenza si dibatte da più parti sul tema del data protection e sul rapporto tra nuove tecnologie, strumenti di sorveglianza e controllo, diritto alla privacy. Forse fin troppo?
L’utilizzo di tecnologie quali app, big data, social network pone diverse domande sulla riservatezza delle informazioni condivise: chi può accedere a questi dati? Per quanto tempo? Se un malintenzionato entrasse nel sistema, quali potrebbero essere le conseguenze? Interrogativi legittimi, ma non possiamo dimenticare che il nostro Paese sta affrontando la più grande crisi dall'ultimo dopoguerra: una situazione straordinaria non può essere risolta con mezzi ordinari e probabilmente si è già perso troppo tempo, non sfruttando risorse e soluzioni che sono a portata di mano.
Secondo NortonLifeLock, leader nella fornitura di software di sicurezza, l’83% dei consumatori italiani sono convinti di avere perso ogni controllo su come le proprie informazioni personali vengano raccolte e utilizzate dalle aziende. Tuttavia i risultati del NortonLifeLock Cyber Safety Insights Report (NLCSIR) indicano anche che il 51% confessa di accettare alcuni rischi per la propria privacy online, pur di ottenere delle agevolazioni.
Da questi dati emerge in modo chiaro l’importanza della definizione di regole chiare e garanzie concrete da parte delle istituzioni pubbliche, per evitare il rischio che le opportunità dell’universo digitale aprano la strada ad un fenomeno di sorveglianza di massa.
Ma un altro aspetto salta agli occhi. Se la metà dei consumatori italiani è disposto ad accettare alcuni rischi per la propria privacy pur di ottenere delle agevolazioni, esiste un’agevolazione più importante della propria salute?
L’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19 è il primo, vero, banco di prova per verificare come la complessa regolamentazione europea in materia di protezione dei dati personali reagirà ad una crisi che impone, in una maniera o nell’altra, la compressione di alcuni diritti per salvaguardarne altri.
Di certo c’è, infatti, che l’utilizzo dei dati e delle nuove tecnologie per analizzare e combattere la diffusione del Coronavirus dovrà comportare un prezzo da pagare per non vanificare gli sforzi di chi sta combattendo l’epidemia in prima fila. E questo sarà evidentemente rappresentato da una certa limitazione dei diritti personali connessi alla privacy, per la quale ritengo che ci stiamo, forse, preoccupando troppo.
Sarebbe più utile, invece, spostare l’attenzione su alcuni temi legati all’utilizzo di piattaforme di condivisione di dati, che avrebbero meritato un adeguato approfondimento prima dell’arrivo della pandemia, ma che ora non potranno essere più rimandati.
Tra gli altri penso a piani ben definiti per la gestione dei dati in caso di lavoro da remoto della PA, per verificare quali sistemi possano essere accessibili a distanza; piani di emergenza per coloro che non possono accedervi; verifica delle strategie di data protection per valutare eventuali lacune, nel caso in cui i dipendenti cambino la destinazione del salvataggio dei dati; verifica che le policy aziendali siano comunicate e comprese da tutti i dipendenti e che tutti comprendano i rischi associati all’archiviazione dei dati su dispositivi non protetti.
Lo so, stiamo pur sempre parlando di un Paese in fondo a tutte le classifiche europee di trasformazione digitale ma costretto da un mese a sopravvivere grazie a internet…
Sono però anche altrettanto convinta che dovremo cogliere questa tragica opportunità emergenziale non per ripartire da dove eravamo, ma per fare quel salto in avanti di cui parliamo da anni.