Quando il Coaching non basta
L’attività di Corporate Coaching è, per sua definizione, un processo di crescita personale che mira al potenziamento delle competenze di un professionista. Il suo obiettivo è quello di supportare il professionista nel proprio contesto aziendale allo scopo di sviluppare competenze assenti o carenti per fargli raggiungere importanti traguardi professionali e focalizzandolo sui risultati con un approccio rigoroso e sistematico.
Ciò è in generale valido quando l’attività di consulenza verte su temi che non scuotono nel profondo la persona e che, comunque, non lo pongono potenzialmente di fronte alla necessità di superare elementi ostativi, anche di natura psicologica, che possono trasformarsi in veri e propri malesseri esistenziali.
Talvolta può accadere che il tipo di intervento da eseguire su alcuni dei dipendenti, sebbene abbia come scopo ultimo quello di potenziare le loro competenze – e, in questo senso, inquadrarsi come un’azione di Coaching – debba anche affrontare temi più profondi.
Quanto attiene alla sfera relazionale, e soprattutto a quella della leadership, spesso più che essere un problema di ordine “tecnico” nasconde problematiche più “intime” che hanno più a che fare con la storia dell’individuo piuttosto che con le dinamiche esistenti in Azienda. Sovente i conflitti che si generano tra le persone sono conflitti legati a programmazioni educative ed esperienziali che le stesse hanno assorbito nel corso della loro vita; convinzioni e credenze che le persone hanno del “mondo” e sul “mondo”.
In questi casi, è possibile supporre che il tipo di attività da prevedere per taluni, assuma connotati più vicini al Counselling che al Coaching.
Il Counseling è infatti un intervento socio-pedagogico orientato alla prevenzione e al superamento di un malessere individuale che, sebbene non patologico, ha criticità che richiedono strumenti di verifica e supporto che non possono essere ricondotti solo a un generico “piano di sviluppo di competenze” ma a prassi e tecniche di settings che affrontano il problema da diverse prospettive – ivi comprese quelle che hanno a che vedere con le programmazioni ereditate nel corso della sua storia.
Quando viene poi eseguito all'interno di un contesto aziendale, e diventa quindi Corporate Counselling, la sua azione diventa ancora più sistemica e gli obiettivi generalmente duplici:
- Supporta il singolo all'interno del sistema, valutando con lui la strategia più idonea per riconquistare benessere ed equilibrio personale – anche di fronte a elementi che profondamente lo scuotono mettendone in discussione alcuni dei suoi assiomi esistenziali – e per attuare un cambiamento e uno sviluppo professionale coerente con la cultura aziendale.
- Supporta il sistema nel suo complesso a trovare un assetto flessibile che, a fronte di un cambiamento – eventualmente imposto anche dall'esterno – salvaguardi la bontà di produttività, performance clima e benessere collettivo.
In estrema sintesi è possibile affermare che il Counseling opera nel malessere ed il coaching nel benessere.
Per essere più' chiari, quando mi capita di parlare di cosa distingue il Counseling dal Coaching e, nel farlo, a spiegare perché per diventare Counselor sono necessari ben tre anni di formazione con un numero di ore di training e pratica molto superiore a quello richiesto per diventare Coach, proietto la seguente slide:
Un’immagine che sostanzialmente afferma che i Counselor sono per l’appunto allenati, con la loro formazione, ad affrontare problematiche ad un livello più' profondo, andando ad esplorare anche difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi e rinforzare capacità di scelta o di cambiamento.
Un livello che li vede chiamati a
- cogliere, dai dettagli espressivi e comportamentali del cliente, se esistono elementi di criticità che vanno ben oltre una dinamica risolvibile solo con un settings mirato all'incremento di competenze;
- intercettare l’esistenza di un malessere o segnali di malessere prima che essi degenerino in un disturbo o, peggio, in una patologia;
- aiutare il cliente a ristabilire un livello accettabile di benessere e, solo quando a questo stato si è pienamente raggiunto, a stabilire con il diretto interessato se sia opportuno lavorare e/o sviluppare competenze che si dimostrano assenti o carenti trasformando così la sua azione in una azione di coaching.
Alessandro Onelli
Counselor Trainer, PCM® Trainer & Coach, Amministratore SynaptoGenesis S.R.L. | Cell +39 348.2316307 | alessandro.onelli@synaptogenesis.it
www.synaptogenesis.it
Pierpaolo Muzzolon assolutamente d'accordo con tutti i concetti che hai condiviso. Grazie del contributo.
🎤 L’esperienza di un boomer potenziata dall’IA | Business Coach I EMCC Italia, Membro del Consiglio Direttivo
8 anniLa convinzione che il Counselor si occupa del malessere ha prodotto due risultati: una guerra dell'Ordine degli Psicologi - praticamente vinta, a guardare le sentenze, e una non accettazione delle aziende di una figura assimilata al psicoterapeuta. Ho letto tanti articoli in cui si distingueva con precisione chirurgica tra Counselor e Coach. Io non ci vedo tutte queste differenze. Io credo che le competenze di counseling siano preziosissime a un Coach. Se le ha.
Un post scritto da un altra persona può essere criticato, giudicato, condiviso o non condiviso; può essere arricchito con nuove idee in una dialogica, si spera, costruttiva e tesa a far nascere nuove idee a chi lo legge. Un commento che è un insulto resta solo un insulto. Segno di superficialità?, frettoloso giudizio - facile sui social -? Compulsivo rumore di fondo di ordine emotivo, tipo burnout da social? Banale presunzione e maleducazione? Non sta a me rispondere. Quindi carissimo ed espertissimo Ugo Micoli se Lei, come dice, da oltre 30 anni fa coaching con l'arroganza con cui commenta i post di altri, posso solo essere istintivamente rattristato per i suoi clienti. Non la conosco e quindi non la giudico, ma i toni lapidari con cui si è espresso mi inducono a interrogarmi: "questo tizio, sarà certamente un ottimo consulente aziendale, ma il suo modelling avrà veramente fatto diventare i suoi clienti persone migliori?" Lascio la risposta a questo interrogativo a lei e al confronto con il suo supervisore; ammesso, naturalmente, che lei con la sua seniority ritenga di averne ancora bisogno. Passo e chiudo. Alessandro Onelli.
PROFESSIONAL INDEPENDENT MANAGING CONSULTANT SINCE 1986
8 anniConcordo con il pensiero di Ugo Micoli.