Ricomincio da tre. In difesa dell'innovazione incrementale.
Nella retorica dell'innovazione si è fatto largo il mito della tabula rasa, nelle spoglie del cosiddetto "cambio di paradigma" (disponibile anche nella version new-age "salto quantico" e in quella filosofico bachelardiana "rottura epistemologica). Nella descrizione di un'innovazione, infatti, si procede sempre da una caratterizzazione negativa dello status quo, i cui connotati negativi sono ritratti in maniera così funesta che appare indispensabile la consueta invocazione finale a una demolizione per ricostruire su premesse migliori, il mito della tabula rasa, appunto.
Lo riscontriamo sistematicamente, per esempio quando si parla di leggi: non si parla più di riforme o di aggiustamenti, al primo sostantivo è sempre necessario aggiungere l'aggettivo "radicali" (almeno), al secondo si preferiscono "rivoluzione", "cambiamento" e affini. L'idea di operare per migliorare l'esistente senza annichilirlo sembra non solo inutile e oziosa ma anche reazionaria.
Nel mio lavoro rinvengo il medesimo atteggiamento ogni volta che mi viene presentato un progetto di innovazione, in due possibili varianti:
- Prometeo: molti innovatori sono travolti da un delirio di titanismo prometeico e amano rappresentarsi come i portatori del fuoco. Prima c'era il deserto, l'umanità viveva in tribù di cacciatori/raccoglitori che veneravano oscure divinità, poi loro hanno portato il sacro fuoco. Sono quelli che alla domanda "ha valutato i competitor?" rispondono "non esistono competitor, nessuno fa quello che faccio io".
- Torquemada: questi produrrà non solo un interminabile elenco delle peggiori nequizie dello scenario (che si tratti di competitor, di condizioni normative, di fantasiosi scenari geopolitici) ma da questo stato dell'arte fosco trarrà ancora più funeste previsioni cui l'umanità non potrà sottrarsi se non adottando la sua innovazione. Quando si tratta di progetti tecnologici questa categoria fa ampio ricorso a tabelle nelle quali il 90% dei parametri è valutato con suggestivi (e molto soggettivi, per usare un eufemismo) criteri qualitativi e solo il 10% (e pecco d'ottimismo) ha una misurazione quantitativa più o meno precisa: e quello è proprio il parametro fondamentale per il nostro Torquemada, ça va sans dire.
Ora, questo atteggiamento a mio avviso nasconde diversi vulnera che andrebbero presi in considerazione. Certamente esso risponde a quell'entusiasmo un po' infantile che costituisce in molti casi la vera virtù fondamentale dell'innovatore: EUREKA! Va benissimo, purché passato l'entusiasmo iniziale, asciugata l'acqua traboccata dalla vasca, il nostro Archimede si dedichi a strutturare il suo progetto. A questo elemento ne aggiungo uno decisamente più grave: la scarsa conoscenza del contesto e dello scenario cui non si cerca di ovviare (e qui si passa dal peccato veniale a quello mortale!) con una seria ricerca, una volta definita l'idea. In moltissimi casi, infatti, quando l'idea viene sottoposta a qualcuno con vere competenze nel settore questi sarà in grado di sciorinare una serie di altre soluzioni al cui cospetto l'idea perde buona parte del suo appeal innovativo o, caso ancora peggiore, l'esperto dimostrerà come l'innovazione sia stata pensata per intervenire in uno scenario, su un problema, che è molto diverso da come se l'è rappresentato l'innovatore.
Questi due limiti hanno certamente la facoltà di affondare un progetto di innovazione e, magari, l'innovatore. A me interessa, però, fare un ulteriore passo in avanti e segnalare come dietro questa retorica dell'innovazione radicale possa (e sottolineo possa, lungi da me il misconoscere l'importanza dell'innovazione radicale) allignare un atteggiamento preoccupante: l'idea che le cose non si possano migliorare, che la società non si sia evoluta attraverso moltissimi aggiustamenti successivi, spesso contraddittori, ma sistematici, ma solo attraverso grandi traumi epocali. Credo che sia giusto, invece, conferire nuova e piena dignità al ruolo del "miglioratore", di quell'innovatore i cui sforzi si concentrano sul superare i limiti di una tecnologia, in un dato momento, o sul perfezionamento degli equilibri di una legge. Azzerare tutto e ripartite dal principio ogni volta è un modo molto dispendioso di progredire. In principio era il Verbo. Piuttosto che mutare Verbo ogni volta potremmo provare ad aggiungere soggetto e complementi e vedere come va.
Software Analyst Programmer / Process and Automation Consultant
5 anniAssolutamente no: ci sono cose e nemmeno poche che non si risolvono con il cambiamento locale e graduale. Business process reengineering anyone, giusto per nominare una cosa? I falsi miti dei tempi moderni e la paralisi che tutto attanaglia....
Facilitatrice di Educazione Biocentrica presso Scuola di Formazione. Ricerca nei mutamenti di qualità.
6 anniSono d'accordo anche perchè è la conferma delle mie ultime percezioni. Ho sempre rifiutato gli eccessi,subendo anche forti disapprovazioni. Dopo aver letto: L'algoritmo definitivo di Pedro Domingos, non so come per ora, cercherò di imparare a costruirne uno che vada a sostituire gli eccessi con una maggior saggezza. Non è detto che ci riesca......
Head of International Relations and Institutional Affairs
6 anniLa chiamerei: la pedagogia dell'innovazione...
Marketing Strategico | Divulgazione | Sales Trainer | Imprenditore
6 anniuna riflessione veramente importante! direi dal valore strategico