Rifiuti: Analisi si, analisi no?
Quando effettuare un’ analisi su un rifiuto da classificare diventa obbligatorio? Qual è la sua validità temporale?
Queste sono le domande che molto spesso le aziende ci pongono all’interno di un quadro di consulenza in merito alla gestione di rifiuti pericolosi e non.
Sappiamo dalla pratica professionale che questo è uno dei maggiori problemi con il quale ci si scontra ogni qual volta in azienda si deve classificare un rifiuto e che il più delle volte la soluzione passa attraverso la richiesta dell'aiuto miracoloso del 'principio di precauzione'.
Nel merito, poi, la legislazione nazionale ed europea è molto complessa con punte di difficoltà interpretative notevoli, tanto è vero che risulta essere ancora pendente presso la Corte di Giustizia europea il rinvio pregiudiziale dalla Corte di Cassazione Penale, sez. III nel luglio 2017 (crf. Cass. Pen., Sez. III, ord. n. 37460 del 27 luglio 2017) relativo alle questioni legate alla classificazione dei cosidette rifiuti con codice 'a specchio', al principio di precuzione, ecc.
Il certificato di analisi: la norma
Per quanto riguarda l’obbligo di analisi dei rifiuti prodotti, il Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006) non disciplina puntualmente i casi in cui tale adempimento sia dovuto, imponendo esclusivamente un obbligo di risultato, consistente nella rispondenza al vero della classificazione del medesimo rifiuto. Alcune indicazioni sono state, tuttavia, introdotte con il D.L. n. 91/2014 convertito in seguito con L. 116 del 2014 il quale, tra le altre cose, ha introdotto delle nuove premesse all’allegato ‘D’ alla parte IV del TUA, le quali prevedono che:
“1. La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE.
2. Se un rifiuto è classificato con codice CER pericoloso ‘assoluto’, esso è pericoloso senza alcuna ulteriore specificazione. Le proprietà di pericolo, definite da HP1 ad HP15, possedute dal rifiuto, devono essere determinate al fine di procedere alla sua gestione.
3. Se un rifiuto è classificato con codice CER non pericoloso ‘assoluto’, esso è non pericoloso senza ulteriore specificazione.
4. Se un rifiuto è classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso, per stabilire se il rifiuto è pericoloso o non pericoloso debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede. Le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti:
a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso:
· la scheda informativa del produttore;
· la conoscenza del processo chimico;
· il campionamento e l’analisi del rifiuto;
b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso:
· la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi;
· le fonti informative europee ed internazionali;
· la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto;
c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo.
5. Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione.
6. Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso.
7. La classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione".
Da quanto sopra esposto, in via generale si desume che:
1. per i rifiuti con codici speculari (‘a specchio’) è esplicitamente previsto l’obbligo di effettuazione delle analisi;
2. per i rifiuti pericolosi “assoluti”, in talune ipotesi, è necessario procedere all’effettuazione delle analisi;
3. per i rifiuti non pericolosi “assoluti” in via generale non vi è uno specifico obbligo di effettuazione delle analisi.
Analizziamo però più in dettaglio i vari casi:
a) Rifiuti con codice ‘a specchio’
Il comma 4 delle premesse all’Allegato D prevede espressamente che “per stabilire se il rifiuto è pericoloso o non pericoloso devono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede”.
Pertanto, nel caso di rifiuto classificato con codice CER speculare, per determinare se effettivamente il medesimo sia pericoloso o non pericoloso, devono essere, in ogni caso, determinate le proprietà di pericolo dello stesso, attraverso specifiche indagini tra le quali, come visto, rientrano necessariamente le analisi del rifiuto.
In particolare, le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto con codice CER speculare possiede (e, quindi, per determinare se sia o meno pericoloso) sono le seguenti:
a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso:
· la scheda informativa del produttore;
· la conoscenza del processo chimico;
· il campionamento e l’analisi del rifiuto;
b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso:
· la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi;
· le fonti informative europee ed internazionali;
· la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto;
c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per veri care se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo.
b) Rifiuti pericolosi “assoluti”
Per i rifiuti pericolosi “assoluti”, nel rispetto del comma 2 delle citate premesse, dovranno comunque essere determinate le proprietà di pericolo dai medesimi possedute (oggi definite da HP1 ad HP15 ) al fine di procedere alla loro corretta gestione.
Ebbene, si ritiene che per determinare le proprietà di pericolo di un rifiuto pericoloso debbano essere svolte le medesime indagini espressamente previste dal comma 4 per la qualificazione di un rifiuto avente un codice CER speculare, tra le quali, come poc’anzi visto, sono previste anche le analisi del rifiuto. Pertanto, da quanto sopra argomentato si evince che anche per i rifiuti classificati pericolosi “assoluti” (analogamente a quanto previsto per quelli aventi codici CER speculari) debbono essere svolti degli esami analitici.
Difatti, anche per i rifiuti di cui si conosce la natura pericolosa, tale test rappresenta l’unico strumento idoneo ad attestarne e verificarne in maniera univoca la concentrazione delle caratteristiche di pericolo.
In conclusione, quindi, per tali rifiuti, pur non sussistendo un espresso obbligo in tal senso, in alcuni casi, per poter procedere alla loro corretta gestione, risulta comunque necessario effettuare le analisi dirette all’individuazione delle relative caratteristiche di pericolo.
c) Rifiuti non pericolosi assoluti
In determinati casi anche per i rifiuti non pericolosi assoluti può rendersi necessaria l’effettuazione delle analisi, per necessità connesse alla gestione del rifiuto medesimo e soprattutto laddove imposto da una specifica normativa di settore.
A tal fine, evidenzio, infatti, che un obbligo di effettuazione delle analisi per i rifiuti non pericolosi “assoluti” è espressamente previsto dai seguenti provvedimenti:
D.M. 27 settembre 2010 (Definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica)
D. Lgs. 36 del 2003 (Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti)
D.M. 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate)
ai quali si rimanda per un approfondimento.
Che durata ha un certificato di analisi in termini di validità?
Per quanto riguarda la validità temporale delle analisi, non esiste un termine generale fissato dal D.Lgs. 152/2006. Si possono però avere delle indicaioni precise nel merito dopo aver preso visione delle seguenti norme:
a) Rifiuto con destinazione diretta in Discarica:
Se il rifiuto è destinato alla discarica, il DM 27.09.2010 all’art. 2, comma 3 statuisce:
“la caratterizzazione di base è effettuata al primo conferimento e ripetuta ad ogni variazione significativa de processo che origina i rifiuti e, comunque almeno una volta all’anno.
b) Rifiuto con destinazione in impianti di recupero con autorizzazione in regime semplificato:
“Il campionamento e l’analisi sono effettuate a cura del titolare dell’impianto dove i rifiuti sono prodotti, almeno in occasione del primo conferimento all’impianto di recupero e , successivamente ogni 24 mesi (DM 05.04.2006 nr. 186 – art. 8, comma 4 – Rif. Non pericolosi), ogni 12 mesi (DM 12.06.2002 nr. 161 – art. 7, comma 3 – Rif. Pericolosi) e comunque ogni volta che intervengono modifiche sostanziali nel processo di produzione”.
c) Rifiuto con destinazione in impianti di stoccaggio/trattamento in ordinaria:
Se il rifiuto ha una destinazione diversa dalla discarica e da un impianto di recupero in regime semplificato, chi determina la periodicità delle analisi sono le Provincie o le Regioni quando rilasciano le autorizzazioni agli impianti di smaltimento (stoccaggio/trattamento).
Le Provincie in particolare spesso provvedono a restringere ulteriormente le prescrizioni nazionali.
Difatti alcune Provincie italiane impongono nelle autorizzazioni che rilasciano agli impianti situati sul loro territorio un tempo di validità analisi che varia dai 6 mesi all’anno (non di più).
Rapporto produttore rifiuto/laboratorio analisi
Una riflessione in tema di analisi deve essere indirizzata anche al problema del rapporto produttore/laboratorio di analisi, sottovalutato da molte aziende.
Posto che la predisposizione e l’uso di un certificato di analisi di rifiuti falso – sia che sia relativo a rifiuti pericolosi che non pericolosi - è espressamente sanzionata dall’art. 258 comma 4 del D. Lgs. 152/2006 (con la sanzione penale prevista all’art. 483 Cp – falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico), è quantomeno opportuno che il produttore presti particolare attenzione alle modalità con cui viene eseguita la classificazione dei rifiuti e, in particolare (quando occorre) la pertinente certificazione analitica.
Conseguentemente, nell’ambito del processo di analisi dei rifiuti, inteso in senso lato, è certamente consigliabile, in primo luogo, che il produttore predisponga delle procedure interne che prestabiliscano le specifiche modalità di effettuazione del campionamento del rifiuto, in quanto è evidente che tale fase andrà necessariamente ad incidere direttamente sugli esiti strettamente valutativi dell’analisi, ricordando ad esempio che il campione non può e non deve essere diluito (cfr. art 187, comma 1 - D.Lgs. 152/2006)
In secondo luogo, il produttore ha l’onere di valutare l’idoneità del laboratorio prescelto, nel senso che:
· quest’ultimo deve essere in grado di eseguire concretamente le analisi richieste;
· le analisi devono, in ogni caso, essere adeguate in relazione agli elementi conoscibili ed esigibili dal laboratorio medesimo. Ed invero,
Secondo costante giurisprudenza, l’inidoneità del laboratorio e/o delle procedure di analisi poste in essere, rappresentano importanti indizi circa la falsità del certi ficato analitico.
A tal fine si rammenta, infatti, che l’omesso controllo del produttore - nei confronti del laboratorio d’analisi – può essere considerato elemento sintomatico del concorso nella falsità del certificato analitico.
Posto quanto sopra, si evidenzia inoltre che, attraverso un certificato falso possono venire trattati rifiuti non previsti nell’autorizzazione del gestore (dell’impianto) configurandosi cosi il reato di gestione di rifiuti non autorizzata di cui all’art. 256, comma 1 del TUA che, sotto il profilo oggettivo, è riferibile al titolare dell’impianto, salvo che quest’ultimo non riesca a dimostrare l’assenza della propria colpevolezza.
Infatti in tale ipotesi, il produttore, in virtù del noto principio della corresponsabilità , potrebbe concorrere nel reato qualora, seppur estraneo al falso, abbia omesso il doveroso controllo nella scelta del laboratorio e nello svolgimento della sua attività rispondendo, in tal caso, per culpa in eligendo o vigilando.
Rifiuti e ADR
Anche l'Accordo internazionale sul trasporto di merci pericolose via strada prende in esame il problema della classificazione dei rifiuti pericolosi che in seguito dovranno essere trasportati secondo la normativa.
Al paragrafo 2.1.3.5.2 la norma prevede: "se questa determinazione non è possibile (riferendosi alla determinazione esatta dei pericoli e delle caratteristiche chimico-fisiche di una sostanza e/o miscela, ndr) senza costi o prestazioni sproporzionati (per esempio per alcuni rifiuti), la materia, soluzione o miscela deve essere classificata nella classe del componente che presenta il pericolo preponderante."
Al paragrafo 2.1.3.5.5 si dice invece che "se la materia da trasportare è un rifiuto, la cui composizione non è esattamente conosciuta (quindi no analisi, ndr), la sua assegnazione a un numero ONU e a un gruppo d’imballaggio conformemente a 2.1.3.5.2 può essere basata sulle conoscenze del rifiuto che ha lo speditore, come pure su tutti i dati tecnici e dati di sicurezza disponibili, richiesti dalla legislazione in vigore, relativa alla sicurezza e all’ambiente". "In caso di dubbio, deve essere scelto il grado di pericolo più elevato."
Come dire, per la fase del trasporto, l'ADR, sembra venire incontro alle necessità di semplificazione del processo chieste dalle aziende!