SE IL MADE IN ITALY NON FOSSE STATO COMPRATO DALLE HOLDING, CHE FILIERA AVREMMO?

SE IL MADE IN ITALY NON FOSSE STATO COMPRATO DALLE HOLDING, CHE FILIERA AVREMMO?

E se i grandi marchi della moda non fossero stati acquistati dalle holding? Il made in Italy che faccia avrebbe avuto? La filiera come sarebbe?

Oggi voglio immaginare il nostro settore, la pelletteria, e le produzioni di borse e scarpe come se trent’anni fa i grandi colossi del lusso e i grandi ordini non fossero entrati all’interno delle case di moda.

Mi immagino degli scenari perché, da un lato, mi aiuta a tenermi veramente impegnata in questo periodo di problemi, e dall’altro, mi aiuta a immaginare quali possono essere le possibili future opportunità che il mercato può offrire.

Partiamo col dire che fino a un trentennio fa le case di moda, come Gucci, Fendi, Dior e così via, appartenevano a gruppi familiari o comunque a famiglie che ne detenevano la proprietà, con tutti i pro e contro.

Era un mercato molto ricco, con tante opportunità. Chi ricorda quegli anni ricorda benessere e tanto lavoro.

Tuttavia, se guardiamo agli aspetti negativi, si diceva che nonostante tutto si era pagati male, che si veniva gestiti un po’ a gettone dai brand e che c’erano tutta una serie di problemi per cominciare a lavorare con loro ( conoscenze, few sul fatturato, ecc.)

Nonostante ciò, c'era talmente tanto lavoro che alcuni imprenditori di primo livello cercavano i propri fornitori ovunque, anche nei luoghi più impensabili.

Questa panoramica mi fa pensare che, a un certo punto, la moda italiana, e in particolare i brand, sono stati visti come un’ottima opportunità da parte della finanza per poter investire e far crescere esponenzialmente le loro holding e gli interessi dei loro finanziatori.

Qualche anno fa è stato fatto un documentario che parlava proprio della ex amicizia fra i fondatori di LVMH e Kering, che ha portato a una gara per l’acquisto di sempre più brand italiani.

Le danze sono state aperte da Gucci, anche se il gruppo LVMH era già proprietario di Louis Vuitton, che di base era un gruppo familiare. Mi concentro più sull’Italia e su come questa situazione ha morfologicamente cambiato il nostro settore.

Quindi, iniziano ad acquistare i brand, ma fino a 15 anni fa grandi cambiamenti non ci sono stati. I subappalti erano infiniti e i terzisti facevano fatica.

Poi, normative fiscali impongono restrizioni, anche se minime rispetto a quelle di oggi, e il settore comincia a cambiare.

Ma cosa succede?

Cominciano gli scandali. TV e giornalisti iniziano a interessarsi al settore e emergono scandali importanti che mettono in luce un sistema complesso.

Nei primi livelli c’erano fabbriche belle e ordinate, ma sotto di esse c’era l’inferno, con molte aziende illegali.

Da allora, i brand, poiché facevano parte dei grandi gruppi, iniziano a creare asset particolari per mettere in sicurezza la filiera, creando logiche di imperialismo e acquisizione del Made in Italy.

Cominciano a immaginare le loro produzioni come proprie, non di filiera.

Così, cominciano a proporre agli artigiani e agli imprenditori italiani di acquistare aziende importanti del settore.

Questo lo scopriamo anni dopo, quando i brand del lusso iniziano a promuovere le loro fabbriche a livello internazionale, dando sicurezza.

Poi arriva la pandemia le chiusure e tutto quello che conosciamo e le holding non tutelano la filiera Made in Italy ma tutelano i loro interessi e gli interessi dei loro finanziatori.

Come mi immagino il nostro settore senza le holding?

Molti brand sarebbero spariti, diventando prodotti licenziatari, come accaduto anni prima con vari brand, dove il prodotto in un mercato complesso si è diluito senza una leadership chiara e capace di presentarsi sui mercati internazionali.

Alcuni avrebbero seguito la strada di Moncler e Prada, fortificandosi e riassestando le filiere.

Oggi ci troviamo davanti a un mercato diverso, dominato dalle holding, che sembrano andare sempre di più in una direzione oligarchica, escludendo i piccoli produttori.

Ad esempio, Dior, saturata la sua produzione, potrebbe offrire di produrre anche per altri brand del gruppo, vendendo non solo prodotti, ma anche manifattura.

Per opporsi a questa tendenza, bisognerebbe creare una rete di impresa e fornire servizi qualificati.

I grandi gruppi hanno la possibilità di avere certificazioni ESG e la sicurezza di non essere chiusi, a fronte di imprese singole che non hanno lo stesso potere contrattuale.

Spero che questa riflessione possa essere da stimolo ad altri.

Condividimi la tua opinione.

Con Amore

Ornella

Sarebbe rimasto stile italiano e non questa ciofeca mondialista per conquistare il mercato cinese

Stefano Riccardo Natale

Vigilanza Privata e Servizi di Sicurezza, Attestato Safety & Sicurezza ---. lavoro presso AG. MISSION GROUP

4 mesi

Buonasera Ornella A. UN 'analisi di rilievo molto attenta io lavorato per tre decenni nella Moda con la Pandemia ho cambiato rotta. Devo dirti che la tua riflessione è ottima PRADA e Moncler si sono fortificati. Il patron Patrizio Bertelli, sta investendo molto ad AREZZO, ultimo affare a comprato un Palazzo storico, dove ci farà un resort. Cordialmente Stefano Riccardo Natale

Antonella Corrado

Manager pelletteria, sviluppo prodotto, industrializzazione, produzione .

4 mesi

Concordo!

Antonio Pisanello

Consigliere di amministrazione con delega alle attività imprenditoriali presso Verona Vale sr

4 mesi

Carissima Ornella analisi molto corretta anche se è difficile prevedere quali sarebbero state le conseguenze sulle filiere.

Leather Inspection

I’m not afraid to take responsibilities”

4 mesi

Looks good 👍

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