Se non ti fermi qualche volta, rischi di dimenticarti perché stai correndo così tanto.

Se non ti fermi qualche volta, rischi di dimenticarti perché stai correndo così tanto.

C’è una sostanziale differenza tra il vivere a Londra, in Inghilterra, e il vivere in un paesino sperduto nella provincia di Barcellona: la Velocità della Vita. No, non è un errore di battitura: ho scritto apposta velocità e non qualità. Perché mentre la qualità è soggettiva (in effetti a qualcuno piace davvero vivere nel grigio di Londra!), la velocità è un metro di misura un po’ più oggettivo. Non si può negare, ad esempio, che a Londra entri in un bar ed esci esattamente 7 secondi dopo con il tuo cappuccino da asporto in mano, mentre qui entri nel bar, scambi due chiacchiere con il titolare, ti siedi (sei praticamente obbligato), aspetti 5-10 minuti il tuo caffè, lo bevi mentre parli con il ragazzo seduto due tavoli più in là (anche a questo non puoi sottrarti!), vai alla cassa a pagare, dove parli nuovamente con il titolare, e finalmente esci. Dopo 20 minuti. In effetti, all’inizio più che un caffè mi sembrava una Via Crucis. 

E ovviamente non è così solo al bar: è lo stesso al supermarket, al Comune, al fruttivendolo, ovunque insomma.

Dire che io abbia fatto fatica ad abituarmici è un eufemismo: all’inizio ero traumatizzato, poi innervosito, poi disperato, infine rassegnato: se ho scelto di vivere qui, mi sono detto, mi dovrò abituare a vivere così, più lento.

Ma proprio quando ho smesso di combattere contro quello che qui è il flusso naturale della vita, qualcosa di straordinario è successo: ho iniziato a ricordare chi sono. Ad esempio, ho iniziato a ricordare che mi piace passare del tempo con gli amici davanti a un caffè, e che mi piace anche molto chiacchierare con le persone in generale. Mi è tornato in mente che adoro i tempi morti, perché li posso riempire con un buon libro, o scrivendo due righe. Mi sono persino ricordato che a volte passeggiare senza una meta e senza uno scopo ha il potere di liberare la mente e abbattere lo stress. 

All’inizio è stato un processo involontario, non mi stavo davvero rendendo conto di quello che stava succedendo, ma più entravo nell’ordine di idee di seguire questo flusso più lento, e più era come se mi stessi riappropriando di qualcosa di mio che avevo perduto. Finché mi sono reso conto che tutta questa frenesia con la quale mi ero abituato a convivere, mi aveva in realtà allontanato dalle cose davvero importanti per me. Mi sono sentito come un pilota di Formula 1, che per via dell’alta velocità non può permettersi di guardarsi in giro e apprezzare ciò che c’è intorno, solo che almeno nelle gare c’è un traguardo ben preciso, nella vita invece l’alta velocità diventa spesso un correre nella ruota come i criceti; o come cantavano i REM: sono solo “daily races going nowhere”

Guardandomi intorno mi rendo conto che non sono il solo: la società in cui viviamo praticamente ci impone ritmi forsennati, tra lavoro, straordinari e altri impegni. E ancora di più se hai dei figli. Ma il problema più grande non è la società, siamo noi, che senza accorgerci ci abituiamo a questa frenesia fino al punto di non chiederci più se esiste un altro modo di vivere, e spesso non ricordiamo neanche più perché abbiamo scelto o ci siamo ritrovati a vivere in questo modo. Lo facciamo e basta, con il pilota automatico. 

Così questa vita di corsa diventa come una droga, e possiamo diventarne così assuefatti, che i momenti per noi stessi diventano sempre di meno, e quando li abbiamo li occupiamo rispondendo alle email con il cellulare.

Mi sono chiesto il perché noi esseri umani ci siamo ridotti così, ma non ho saputo trovare una risposta che mi soddisfi davvero. Però se non altro ho capito il perché si fa così tanta fatica ad uscirne: per paura. Paura di guardarti dentro e scoprire che hai corso per anni dietro a qualcosa che non è poi così importante per te. Paura di aver buttato via un sacco di tempo che non tornerà mai. Paura di fermarti e renderti conto di non sapere più chi sei e cosa vuoi. 

E allora puoi continuare a correre, sperando che un giorno ti torni in mente, oppure puoi tirare il freno a mano, e iniziare a goderti il paesaggio, e chissà che là, oltre le nuvole, tu possa finalmente intravedere la vita che ti appartiene. 

Edgardo Rossi

Essere Vivente facente parte della specie Homo

5 anni

Sono d'accordo, il nostro stile di vita dipende dalle scelte che noi facciamo.

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