Seminario a Parma sulla Frode Alimentare 231

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Il delitto di frode in commercio

A conferma di quanto si va dicendo può richiamarsi la disposizione di cui all’art. 25-bis d.lgs. n. 231 a norma della quale “1. In relazione alla commissione dei delitti contro l’industria e il commercio previsti dal codice penale, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per i delitti di cui agli articoli 513, 515, 516, 517, 517-ter e 517-quater la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote; b) per i delitti di cui agli articoli 513-bis e 514, la sanzione pecuniaria fino a ottocento quote. 2. Nel caso di condanna per i delitti di cui alla lettera b) del comma 1 si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2”. La gran parte delle disposizioni codicistiche richiamate nella predetta previsione descrivono infatti fattispecie criminose aventi scopi di tutela e di sanzione di condotte criminali consistenti nella produzione e commercializzazione di alimenti non genuini.

Tale obiettivo di tutela può sicuramente riconoscersi relativamente al delitto di frode nell'esercizio del commercio disciplinato dall’art. 515 c.p., il cui primo comma dispone che “chiunque, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065”.

Quanto all'oggetto giuridico protetto dalla norma, la norma, pur operando in relazione ad un rapporto negoziale fra due soggetti determinati (venditore ed acquirente), non fa riferimento agli interessi patrimoniali delle parti ma alla buona fede negli scambi commerciali, a tutela sia del pubblico dei consumatori, sia dei produttori e commercianti. Può dunque sostenersi che nel singolo atto di scambio disonesto si tutela – similmente a quanto deve ritenersi con riferimento alla fattispecie di cui alla legge n. 283 del 1962 – un interesse collettivo ed in particolare l’interesse a che sia osservato un costume di lealtà e correttezza nello svolgimento del commercio[1], mentre è del tutto estranea la finalità di tutela del patrimonio dell’acquirente[2].

[1] MARINUCCI, Frode in commercio, in Enc. Dir., vol. XVIII, Milano 1969, 136.

[2] Cass., sez. III, 21 aprile 2006, Vessichelli, in Mass. Uff., n. 234333; Cass., sez. III, 4 novembre 2009, Nigi, in Mass. Uff., n. 245755.






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