Siamo tutti in ostaggio! (parte prima)
Oggi siamo tutti in ostaggio di due dispositivi mentali.
Provo a spiegarmi facendo riferimento a due fatti recentissimi:
1) le nomine del “nuovo” management nelle partecipate statali;
2) il “mea culpa” di Geoffrey Hinton, considerato uno dei “padrini” della attuale AI-intelligenza artificiale (cfr. l’intervista a Hinton su The Guardian).
Nel primo caso, si è avuto un inserimento massiccio di ex CFO (Chief Financial Officer) provenienti da aziende private, con conseguenze che saranno pesantemente impattanti.
Un “economista” negli ultimi 25-30 anni ha smesso di studiare qualsiasi disciplina che non sia “marketing” ed “economia aziendale” (con il relativo corredo di numeri, tabelle, schemi, che diventano il solo criterio di valutazione e legittimazione possibile) eliminando tutto ciò che vi era di “umanistico” nella propria formazione.
Ricordo che – ancora negli anni Ottanta – chi frequentava la facoltà di “Economia e commercio” studiava “Storia dell'economia”, “Storia del pensiero economico”, “Diritto pubblico”, “Sociologia”, “Filosofia della scienza”: tutte discipline oggi eliminate in nome della “tecnica” (del «pensiero calcolante», direbbe uno dei miei maestri) e della specializzazione esasperata. Va da sé che gli economisti così formati - che hanno dimenticato quel poco di filosofia che hanno fatto al liceo e che hanno disimparato a scrivere - ignorano le “materie della vita”, il pensiero pensante, e purtuttavia governano le imprese [aggiornamento del 7 maggio: è curioso come oggi su Le Monde Thomas Piketty titoli il suo elzeviro "Et si les économistes devanaient moins bêtes" ("E se gli economisti fossero stati meno stupidi", in cui bêtes letteralmente significa anche "bestie")]
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Come possiamo pensare di cambiare la situazione attuale se il paradigma (di fatto una ideologia) è questo? Una ideologia che bolla come utopico, illusorio, favolistico, ogni altro tipo di approccio di pensiero, là dove invece si dà la necessità di avere persone che sappiano pensare in modo complesso un mondo che è negli ultimi tre anni cambiato profondamente.
Il manager non è una figura umana, è un dispositivo di pensiero: è l'idea che una persona conosca le via per risolvere i problemi. Pensiamo invece che il manager sia il problema, e non la soluzione. Oggi il management è l'ideologia vincente del XXI secolo: mentre nel XX la partecipazione e la democratizzazione erano il segno di serietà e di qualità, di una azione, di una comunità, oggi se si vuol fare un “qualcosa di serio” (e quindi ovunque) bisogna mettersi nelle mani di un manager, Ecco perché è ideologia e non più prassi, è un modo di intendere la vita che va ben al di là della tecnica.
Ora, un mio grande maestro mi ha sempre detto che alla descrizione di un problema deve seguire sempre una possibile via d’uscita: ci provo!
Cercando una strada ho ripreso il cosiddetto “ultimo Engels”, quale autore di un'opera incompiuta pubblicata soltanto nel 1925 in URSS con il titolo Dialettica della natura (rielaborata continuamente tra il 1845 e il 1878 e mai portata a termine): fin dalla prefazione la “dialettica” diventa la legge di sviluppo fondamentale del mondo e della storia attraverso un indirizzo metodologico che analizza in termini complessi la realtà. Il questo quadro, il termine «dialettica» esprime la consapevolezza della dinamica interconnessione tra i processi e dell'universalità del mutamento: qualsiasi ente è soggetto ad un processo di autotrasformazione, dovuto al fatto che il suo contenuto è costituito da forze in opposizione; ciascuna cosa si muta costantemente in qualcosa di diverso da sé. Verosimilmente, dovremmo confidare in altri soggetti: non nei manager, negli imprenditori e nei politici; è nella prassi che si dà il mutamento: sono i differenti comportamenti economici (la “struttura”, si sarebbe detto una volta) che cambiano le idee. Oggi le persone forse ascoltano di più i ragionamenti sulla economia alternativa perché sono cambiati i comportamenti, il modo di venti/trent'anni fa di consumare e vivere il pianeta, i rapporti, le città, è obsoleto. Forse dovremmo provarci, tutti insieme però altrimenti si rimane in ostaggio, ipnotizzati e congelati in una sorta di "Sindrome di Stoccolma" per cui simpatizziamo con i nostri carnefici.
(il secondo caso - il “mea culpa” di Geoffrey Hinton - lo illustrerò nel prossimo post)