Silicon Valley Bank e Credit Swiss: cosa succede alle banche?

Silicon Valley Bank e Credit Swiss: cosa succede alle banche?

Dopo un inizio d’anno che sembrava allontanare le nuvole nere che ci hanno accompagnato lungo il 2022, di recente alcuni avvenimenti nel settore bancario hanno riacceso l’attenzione sui mercati (e portato nuove correzioni nelle quotazioni), oltre a generare una nuova ondata di preoccupazione.

Il 10 marzo u.s. abbiamo assistito al fallimento oltreoceano della Silicon Valley Bank (SVB) e, a distanza di pochi giorni, al crollo della banca svizzera Credit Swiss. Da lì, nuove tensioni hanno agitato il settore bancario colpendo, in particolare, Deutsche Bank. I recenti eventi hanno riportato alla memoria il 2008, con i crolli di Bear Stearns e Lehman Brothers. La domanda è sorta spontanea: cosa sta succedendo al sistema bancario? Sono i segnali di un crollo generalizzato pronto a colpire l’intero sistema?

Con la premessa che ci troviamo in una fase ancora fluida, sebbene sembri che per ora la volatilità sia rientrata, possiamo condividere alcuni elementi.

Certamente le banche fallite erano entrambe soggetti deboli, tuttavia lo erano per motivi diversi, legati alla loro differente natura.

Cosa è successo alla Silicon Valley Bank?

SVB era una banca commerciale statunitense con sede a Santa Clara, in California. Essa rientrava nel novero delle cosiddette banche regionali statunitensi, (community banks, sono circa 200), anche se la sua dimensione, la sedicesima per importanza negli USA, era notevole. SVB operava in un settore di nicchia, rappresentato dalle società tecnologiche e informatiche stanziate nell’area della Silicon Valley, con una predilezione per le start up. Gli investimenti effettuati dalla banca erano garantiti attraverso l’acquisizione di titoli di Stato statunitensi a copertura dell’elevato rischio delle operazioni. Semplificando, i rischi presi dalla banca erano compensati “coprendosi” col capitale obbligazionario meno rischioso in circolazione: i fondi del tesoro statunitense.

Cosa ha portato allora al fallimento? La causa scatenante sono state le significative richieste di prelievo da parte dei depositanti, cui l’istituto ha fatto fronte vendendo i titoli obbligazionari in suo possesso per ottenere liquidità. Sono stati venduti sul mercato circa 21 miliardi di asset, a valori inferiori rispetto ai prezzi di acquisto (per effetto dell’enorme rialzo dei tassi di interesse cui abbiamo assistito nell’ultimo anno), realizzando una perdita di circa 2 miliardi sul valore nominale. Ciò ha portato la banca ad annunciare un aumento di capitale di circa 2,25 miliardi per coprire le richieste di prelievo. All’annuncio è seguita una reazione di panico che, il giorno successivo, ha spinto i correntisti al prelievo di circa 41 miliardi di dollari, portando al fallimento dell’istituto.

Va tenuto presente, inoltre, che il problema è sorto anche a causa della ridotta regolamentazione e dei controlli meno stringenti cui sono sottoposte le banche regionali statunitensi dal 2018, anno in cui negli USA è stata allentata la legislazione sui controlli bancari.

Credit Swiss è caduta per un effetto domino?

Il fallimento della banca svizzera ha seguito in ordine di tempo quanto accaduto a SVB; tuttavia, non si tratta di un effetto a catena. Il sistema bancario svizzero nell’ultimo decennio ha operato con tassi reali molto negativi, cui ha risposto accelerando su operazioni aggressive (e rischiose), e per Credit Swiss queste si sono concluse con perdite importanti. Credit Swiss era una banca sistemica (a differenza di SVB), ed ha chiuso gli ultimi due bilanci in rosso, con perdite per 2,7 miliardi di franchi nel 2021 e peggio ancora nel 2022, con una perdita prevista di oltre 7 miliardi. A peggiorare la situazione hanno contribuito la gestione opaca di molti affari, la scarsa comunicazione verso le autorità, fino al riciclaggio di denaro. Si era creata una crisi che andava avanti da parecchi mesi.

Il 13 marzo, la SEC statunitense (Securities and Exchange Commission, l’autorità garante dei mercati negli USA) ha messo in dubbio le comunicazioni della banca e chiesto nuove informazioni. Questo ha provocato un forte cedimento sul mercato, che ha virato definitivamente dopo le dichiarazioni del Presidente della Banca Nazionale Saudita, azionista per circa il 10% di Credit Swiss, indisponibile a partecipare ad un eventuale nuovo aumento di capitale.

Come hanno reagito gli attori del sistema bancario?

L’esperienza della Grande Recessione del 2008 ha insegnato a caro prezzo agli attori del sistema bancario l’importanza di prevenire la diffusione di un contagio nel settore finanziario globale a seguito di una crisi bancaria. Alla base del settore bancario la fiducia è tutto. Se la fiducia è compromessa, è difficile ripristinarla. Le risposte fornite da regolatori e governi rispetto ad entrambi i casi di fallimento sono assai significative da questo punto di vista. L’obiettivo, perseguito con modalità diverse, è stato fermare in modo rapido e deciso la temuta “corsa agli sportelli”.

Il rischio principale è che la perdita di fiducia dei depositanti possa provocare una fuga di capitali ed evolvere in un crollo della fiducia delle controparti. Si tratta, cioè, del rischio di chiamata alla liquidità da parte dei depositanti: se un numero significativo di persone chiedesse ad un istituto bancario di essere immediatamente liquidato dei propri depositi, tale richiesta metterebbe in seria difficoltà la sopravvivenza dell’istituto stesso.

In questi giorni, documentandomi sull’accaduto, mi sono imbattuta in un paragone che ritengo molto efficace: possiamo immaginare cosa accadrebbe ad un uomo di sana e robusta costituzione se gli venisse effettuato un prelievo di sangue di quattro litri? Anche un soggetto in ottime condizioni di salute non ne uscirebbe indenne.

Per quanto riguarda SVB, il fallimento della banca ha visto un primo intervento della FED a garantire tutti i depositanti (indipendentemente dall’entità del deposito), ed un secondo intervento a garantire liquidità al settore bancario attraverso diversi canali. Le banche sistemiche da parte loro hanno agito a protezione delle banche regionali: sotto la regia della FED, sono intervenute le principali banche americane a ricapitalizzare con oltre 30 miliardi di dollari First Republic Bank, un’altra banca regionale in forte difficoltà. Il messaggio al mercato è stato chiaro: le banche più importanti si fidano della solidità della First Republic Bank tanto da depositarvi i propri capitali. Un significativo spostamento dei depositi verso banche di primo livello più grandi e più stabili avrebbe, infatti, ripercussioni sulla solvibilità degli istituti più piccoli.

La crisi svizzera è stata gestita diversamente, con un approccio forse non privo di conseguenze nella percezione dell’affidabilità del sistema. Il terrore di un crollo di Credit Swiss e delle sue conseguenze, potenzialmente devastanti per il settore, in considerazione della sua natura di banca sistemica, ha fatto agire regolatori e governo svizzeri nell’arco di un fine settimana vista l’accelerazione dei prelievi dalla banca. La soluzione che ha prevalso, in un accordo progettato da regolatori e governo svizzeri, è stata l’acquisizione dell’istituto da parte di UBS. L’operazione è avvenuta attraverso l’acquisto per 3 miliardi di franchi svizzeri (pagando 0,76 franchi svizzeri per azione, il 59% in meno rispetto al prezzo di chiusura di venerdì) e l’azzeramento di 16 miliardi di franchi di debito Credit Swiss. Si è trattato di un intervento non ortodosso, per ben due motivi: il salvataggio di emergenza della banca sistemica è avvenuto senza la votazione da parte degli azionisti, e attraverso la completa svalutazione delle obbligazioni Additional Tier 1 (una possibilità prevista in realtà dai regolamenti delle emissioni di Credit Suisse), riconoscendo un valore seppur ridotto alle azioni. Si tratta di due azioni che hanno suscitato forti timori sui mercati, preoccupati dal fatto che possono costituire dei precedenti. Su questo punto l’Autorità Bancaria Europea (EBA, con il compito di sorvegliare il mercato bancario europeo) e la Banca Centrale Europea hanno voluto essere molto chiare per rassicurare i mercati rispetto alla scelta effettuata dalla Svizzera. Christine Lagarde è intervenuta subito ed ha dichiarato che “la Svizzera non fissa gli standard in Europa”, ribadendo come le regole di risoluzione del sistema bancario europeo siano ben diverse da quelle adottate dal paese elvetico. Ha lanciato un chiaro avvertimento nel tentativo di calmare le tensioni: “la cassetta degli attrezzi della BCE è pienamente equipaggiata per provvedere liquidità di supporto al sistema finanziario dell’area Euro, se necessario”. La BCE ha, inoltre, richiamato in un comunicato la gerarchia del capitale di rischio: in caso di default i primi a pagare saranno gli azionisti. Solo dopo toccherà ai portatori di bond.

Nella notte di domenica 19 marzo, Fed, BCE, Bank of Canada, Bank of England, Bank of Japan e Swiss National Bank hanno annunciato il proprio soccorso ai mercati. Le sei banche centrali hanno annunciato “un’azione coordinata volta a rafforzare l’erogazione di liquidità attraverso le linee swap in dollari”. Il mercato sembra aver apprezzato questi chiarimenti.

Cosa posso aspettarmi dal settore bancario per i miei risparmi?

Una delle preoccupazioni più comuni tra gli investitori è quella di sapere cosa succede ai propri investimenti e ai depositi di conto corrente in caso di fallimento della banca presso cui sono stati aperti.

È bene sapere che, in base ad una Direttiva europea (bail-in), dal 2016 l’imposizione delle perdite di un istituto bancario ad azionisti e creditori segue specifici criteri. Sono identificati chiaramente gli strumenti e l’ordine di coinvolgimento nel fallimento bancario.

Inoltre, gli investimenti diversi da azioni e obbligazioni della banca sono separati dal bilancio dell’istituto. Ciò significa che in caso di fallimento, la banca non può toccare gli investimenti dei clienti per ripagare i propri debiti.

Nel contesto attuale il consiglio è quello di prestare attenzione ad una serie di elementi:

·      la solidità dei propri istituti bancari;

·      gli strumenti di investimento in portafoglio (caratterizzati da un diverso grado di rischio);

·      la diversificazione del proprio patrimonio;

·      le regole di risoluzione delle crisi bancarie.

Alcune valutazioni possono essere effettuate sulla base del buon senso, altre richiedono una preparazione finanziaria, altre la disponibilità di informazioni.

Se lo ritieni utile per te o per qualcuno di tua conoscenza, sono disponibile ad aiutarti mettendo a disposizione le mie competenze professionali. Contattami!

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altre pagine consultate