Smartworking? Si ma quello libero!
Come è noto l’obbligo di isolamento imposto dalla diffusione della pandemia Covid-19 ha sconvolto per mesi non soltanto la nostra vita di tutti i giorni ma anche completamente il modo di lavorare.
Solo recentemente, grazie alla minore aggressività del virus, stiamo lentamente iniziando a venirne fuori.
Per regolamentare le attività professionali e produttive, il governo ha emanato una serie di provvedimenti legislativi tutti riferiti alla Legge 22 maggio 2017, n. 81 che ha istituito, nel nostro ordinamento, la formula del “lavoro agile”.
In ogni provvedimento (a partire dal DPCM 11 marzo 2020) il governo ha sempre suggerito e raccomandato come prima azione fondamentale per il contenimento del contagio nelle attività professionali e produttive: “il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza”.
Questo ha significato, dovendo rimanere in casa, lavorare forzatamente nella propria abitazione.
Ora bisognerebbe osservare che, diversamente da quanto viene da più parti dichiarato, questo non significa affatto smartworking.
La traduzione di smart è “intelligente”.
Attratti sempre più dall’utilizzo di termini anglosassoni che non sempre interpretiamo correttamente, abbiamo cominciato ad utilizzare il termine “smart” un po’ ovunque. Ovunque fosse possibile. Smarthome, smartbuilding, smartcity, smartworking.
E poi ammettiamolo, dire “smart” “fa figo”!
Ma dovrebbe essere chiaro a tutti che tale intelligenza esiste per l’applicazione delle tecnologie digitali impiegate attraverso computer che danno alla casa, all’edificio, alle città e anche al lavoro la capacità di autogoverno.
È proprio vero quindi che il significato ultimo di smart è quello di impiego diffuso di tecnologie ICT della informatica e della comunicazione.
Questo vale anche per il lavoro. Il lavoro intelligente è frutto di diversi fattori abilitanti. Per semplificare, da un lato la diffusione di sistemi di comunicazione mobile sempre più veloci e la conseguente possibilità di connessione indipendentemente dal luogo fisico di partenza e dall’altro la disponibilità di accedere, con un elevato livello di sicurezza informatica, all’infrastruttura dell’azienda dall'esterno.
Nel caso del lavoro, tuttavia, il termine smart non si lega tanto allo sfruttamento di una intelligenza digitale autonoma, quanto piuttosto alla libertà per il lavoratore di poter impiegare con flessibilità il suo tempo, non avendo più il vincolo di essere necessariamente in azienda o in ufficio per poter svolgere la propria attività.
Così il termine smart, quando attribuito al lavoro, viene tradotto con “agile” piuttosto che con “intelligente”.
Anche questa traduzione ha in se un grosso vulnus perché, il riferirsi al termine inglese agile che guarda caso è il descrittore di nuove metodologie di lavoro, di fatto non appare una scelta così felice.
Ma per quel che, invece, qui interessa il riferimento all’agile inglese è utile se consideriamo che a questo viene anche associato il carattere di libero.
Il lavoro agile, lo smartworking è, dunque, un lavoro libero.
Ma veniamo dunque al punto fondamentale.
È molto difficile trovare organizzazioni così distintive nelle quali il contributo dei lavoratori è valutato da loro stessi.
Si tratta solitamente di piccole aziende e, spesse volte, solo quelle dove le attività sono semplici e i risultati dello sforzo di ciascuno facilmente individuati.
Nelle aziende di medie e grandi dimensioni questa caratteristica esiste, da sempre ormai, in una sola funzione, quella commerciale.
I ruoli commerciali sono quelli che storicamente hanno spinto verso prestazioni basate su risultato. Fermo restando un parametro temporale, il risultato è presto concordato con misure oggettive: numero di contatti, numero di contratti, fatturato su contratti, etc.
E quindi la domanda da porsi è la seguente.
Le aziende sono pronte a lavorare per risultato? Sono pronte ad estendere il rapporto con i propri dipendenti verso lo smartworking anche in quelle funzioni che non possono essere misurate semplicemente con delle quantità?
In questo periodo, nel quale si stanno mettendo in atto le procedure per il graduale rientro in azienda, quasi tutte le realtà di media o grande dimensione stanno implementando sistemi attraverso i quali i lavoratori possono prenotare i servizi di supporto aziendali.
Noi di e-Metodi abbiamo sviluppato un sistema informativo di work place management al quale le immagini si riferiscono. Questo sistema consente tra l'altro: il calcolo delle postazioni disponibili attraverso un parametro di distanziamento interpersonale espresso in metri rispetto all’area di ciascun ambiente; la valutazione del rischio di ciascun ambiente attraverso la linea guida INAIL "Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione; la prenotazione di una gamma di servizi come: la navetta, l’auto, la postazione di lavoro, la mensa o il pasto, la sala riunione, etc. per permettere a tutti l’adeguato supporto ma in modo sempre controllato.
La nostra proposta sta piacendo ed abbiamo già i primi risultati di validità dalle aziende che la stanno implementando.
Essendo esperti di facility management ma molto esperti anche di sicurezza sul lavoro per noi è stato facile implementare una soluzione del genere. Si tratta, infatti, non tanto della semplice applicazione di tecnicismi hardware e software, ma di un ripensamento dei processi organizzativi.
Proprio per questo la nostra proposta non è mirata alla gestione dell’emergenza Covid-19 quanto piuttosto ad iniziare un processo di trasformazione dell’organizzazione per consentire ai lavoratori di trasformarsi in smartworkers.
Abbiamo quindi il desiderio di incontrare realtà capaci di intuire il vero cambiamento.
Questo non può essere inteso attraverso la ricerca di un vantaggio in termini di costo di funzionamento se si tengono i lavoratori a casa. Ma invece deve essere considerato come possibilità nuova di intendere il talento interno delle proprie risorse umane.
Come fare? È semplice!
La stessa legge 81/2017 sopra richiamata all’art. 19 prevede il diritto alla disconnessione: “L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
È esattamente quello che le aziende virtuose devono fare.
Separare il “lavoro” dal “non lavoro”.
È questa una necessità se si vuole trasformare l’azienda attraverso un’idea di contributo creativo e di appartenenza del lavoratore.
Lo ha dimostrato l’esperienza nel periodo cruciale dell’emergenza sanitaria.
Dopo i primi giorni di diffusione della pandemia e dell’obbligo di rimanere chiusi in casa, incredibilmente, è apparso un fatto strano.
Si è palesata una netta distinzione per le condizioni dei lavoratori.
Molti di questi, per i motivi più diversi, hanno condizioni familiari o abitative che non consentono di svolgere serenamente il lavoro a casa. Questi hanno sofferto molto la condizione segregata e non vedono l’ora che tutto torni esattamente come prima.
In realtà tra questi ci sono anche tutti coloro che per i più diversi motivi, anche in assenza dei problemi ai quali abbiamo appena accennato, hanno prodotto una minore quantità e qualità di lavoro.
D’altra parte, sembra che questa situazione si sia dimostrata completamente inversa per altre persone.
Moltissimi lavoratori, infatti, hanno riscoperto in questi mesi alcune realtà che proprio la pervasività del tempo di lavoro nella vita delle persone aveva diluito fino ad annebbiare.
L’intensità dei rapporti familiari e la bellezza di condividere interamente la propria giornata con le persone più vicine. Non dover sopportare di rimanere per ore chiusi in automobile intrappolati nel traffico o salendo e scendendo da una serie di mezzi pubblici sovraffollati. Ma anche la comodità di vestire sempre casual o di non doversi per forza truccare, insomma tutti quegli aspetti per i quali l’andare in ufficio rappresentano comunque un "dover apparire". E così via.
Questo secondo gruppo di lavoratori è costituito da tutti quelli che hanno sentito l’appartenenza alla loro organizzazione e hanno voluto contribuire a migliorarla e a coinvolgerla nella loro vita privata. Quando è successo? Esattamente nel momento nel quale erano così lontani dalle loro stesse aziende. Come è successo? Hanno dimostrato in moltissimi casi che lo sforzo era lo stesso e in molti casi anche superiore a quello profuso precedentemente stando perennemente in azienda.
E adesso? Cosa sta accadendo?
Per molte persone c’è il desiderio di uscire definitivamente da un vero e proprio incubo.
Per altri invece, sempre più numerosi, sono bastati pochi mesi per ricominciare a sentirgli dire che qualche cosa della vecchia routine mancava. Chi desiderava rivedere i colleghi, chi desiderava non avere poi i figli sempre così attaccati. Chi rivoleva provare il piacere di ritornare alle comodità del lavoro in ufficio. Chi addirittura è comunque sempre attratto dal rombo della propria auto sportiva.
Infine, ci sono tutti quelli ai quali ritornare in azienda proprio non va.
Beh? Ci risiamo. Tutti vorrebbero poter scegliere, in libertà.
Le strategie messe in atto dalle aziende sembrano invece sempre le stesse.
Da un lato è un fatto assodato che le aziende realizzano risparmi, anche considerevoli in alcuni casi, lasciando i lavoratori a casa. Sempre pronte ad adottare strategie tese unicamente alla riduzione dei costi, in molte aziende si sta operando per capire come sfruttare l’esperienza pandemia per ottenere ancora in futuro lo stesso beneficio.
Dall’altro le organizzazioni funzionano ancora distribuendo il lavoro in modo parcellizzato con lo scopo di controllarlo e di ottenere la visibilità dei risultati solo da parte dei vertici apicali.
E quindi le aziende sono pronte a concepire una nuova forma di lavoro?
Noi di e-Metodi siamo pronti a dare supporto alle aziende che stanno percependo quali sono le vere sfide suggerite fortemente dai recenti eventi. Vogliamo operare insieme per implementare nuovi sistemi organizzativi basati sulla valorizzazione dei talenti e supportati da nuove metodologie di automazione di processo.
Si può fare e già adesso!
Sistemi in grado di assicurare il monitoraggio di due fattori in particolare.
Il primo è quello degli effetti della disconnessione del lavoratore verso il suo diritto al non lavoro, al fine di stimolare la sua creatività nel poter ripensare alla sua attività proprio in momenti completamente propri e per questo liberi da ogni sollecitazione o disturbo.
L’altro è quello di mettere in luce quali motivi spingono i lavoratori ad allontanarsi dal senso di appartenenza e considerare le occasioni di distanza come occasioni di non impiego e non impegno.
Opportunità uniche per chi conduce le aziende. Opportunità che possono realmente condurre verso formidabili incrementi di efficienza e produttività molto superiori alle sole miopi strategie di risparmio dei costi o di controllo del lavoro.
Grazie dell’attenzione.
Condividete il vostro punto di vista. Anche se siete in disaccordo con quanto affermato. Ogni contributo, infatti, è essenziale per temi così importanti come quelli trattati.
Chi invece avesse necessità di ulteriori informazioni può scrivermi un messaggio. Sarà un piacere per noi darvi ogni tipo di risposta.
Vi aspetto.