Soluzioni SENSATE al problema #povertà
Mi è capitato di assistere ad un convegno incentrato sul fenomeno della povertà, dove alcuni personaggi, accreditati come esperti del settore, proponevano le loro analisi del problema povertà, e le soluzioni per risolverlo messe in atto, comprese quelle programmate. Le analisi del fenomeno andavano dal vissuto più psicologico ed introspettivo, fino alla critica sociologica del sistema produttivo attuale, mentre le soluzioni adottate erano fondamentalmente riconducibili solo ed esclusivamente all’assistenzialismo, e spesso legate a specifiche condizioni di salute (assistenza ai disabili, assistenza domiciliare, ecc…).
Ho trovato questa esperienza decisamente surreale, come se chi parlasse non avesse ben chiaro cosa sia la povertà davvero, e non abbia mai davvero fatto “ricerca sul campo” (tanto per essere tecnici).
Dopo oltre dieci anni di esperienza nella realizzazione di servizi volti a superare la povertà in vari ambiti, lavorando “sul campo” con equipe multi specialistiche e referenziate, ritengo si possa proporre un modello d’analisi e d’intervento ben più attinente alla mutevole realtà odierna e ben più efficace nelle soluzioni. Partiamo dall’analisi del fenomeno povertà, che molti distinguono in mancanza di servizi, mancanza di opportunità, sensazione di sentirsi poveri e mancanza di denaro. Nella mia personalissima interpretazione, in un sistema collettivistico di stampo sovietico lo stato è tenuto a fornire i servizi essenziali alle classi più povere della popolazione, che devono accettare quanto offerto se vogliono sopravvivere. In un sistema liberale e democratico come il nostro, le persone povere devono essere messe in condizione di poter avere un reddito (da lavoro, per chi può lavorare) e poter utilizzare il proprio reddito per superare la povertà come meglio credono. Pur di non ammettere che il problema sia il reddito pro-capite, molte istituzioni offrono servizi scadenti, assistenza pochissime ore a settimana o sportelli aperti al pubblico quasi mai, che servono solo a dimostrare di “aver fatto qualcosa”, ma che mantengono le persone povere, e magari ricattabili in termini elettorali con servizi spot.
Utilizzando solo il semplice parametro del reddito, definirei povere le persone che dispongono di un reddito inferiore alla media per età, sesso e nucleo familiare. Queste persone possono non disporre del necessario reddito perché inabili al lavoro, o perché non lavorano (comprese le persone che svolgono lavori pagati al di sotto del suddetto reddito medio).
Le soluzioni al problema povertà possono dunque essere solamente due: assistenza adeguata alle persone inabili al lavoro, e opportunità lavorative adeguate per gli altri. Se ragioniamo in un’ottica assistenzialistica pura, sicuramente potremmo trovare soluzioni valide per la prima categoria di poveri (che spesso sono prima invalidi, e poi poveri), ma i secondi non hanno bisogno, e per certi versi nemmeno diritto, all’assistenza di alcun tipo. Le persone senza lavoro, o con lavori sottopagati, non dovrebbero in alcun modo essere supportati dai servizi sociali, ma dovrebbero rientrate nei programmi di sviluppo delle attività produttive che, invece di puntare sull’assunzione delle persone povere come dipendenti, dovrebbero incentivarne la creatività, lavorando sull’orientamento, e magari proponendo sostegni economici all’avvio di imprese e lavoro autonomo. In un’epoca dove il lavoro dipendente va via via scemando, sviluppare nuove imprese, magari grazie alle competenze e la buona volontà delle persone senza lavoro, potrebbe essere l’unica soluzione valida per recuperare un sistema produttivo ormai allo sfascio, che favorisce la creazione di nuovi poveri, e li mantiene tali con l’assistenza. Tra l’altro sono già attivi in Italia diversi strumenti di sostegno all’avvio d’impresa, che spesso sono sotto utilizzati, o nemmeno conosciuti dalla istituzioni locali. La povertà si combatte con il lavoro, e non con l’assistenza.
Dott. Alfonso DI GIUSEPPE
Psicologo