SPERANZA E FRUSTRAZIONE.
Il 22 settembre è un’importante giornata per il Venezuela. L’organizzazione no profit “Venezuela somos todos” consegnerà davanti alla Corte Penale Internazionale dell’Aia una lettera e un faldone gigantesco contenente più di 90 mila firme raccolte in tantissimi paesi del mondo per chiedere formalmente, appunto al tribunale internazionale con sede nei Paesi Bassi, di avviare finalmente le indagini contro il governo del Venezuela per violazione sistematica dei diritti umani e crimini di lesa umanità. E’ programmata una conferenza stampa e diverse attività per sensibilizzare ancora di più l’opinione pubblica.
Questa è la strada della speranza perché le cifre parlano da sole: 129 morti (riconosciute dal Ministero Pubblico, ma ufficiosamente si sa che la cifra arriva a 162) e 1.500 feriti in 120 giorni di proteste, più di 600 prigionieri politici civili di cui la maggior parte processati da tribunali militari. Più di 5.300 arresti (più di 1.000 sono ancora tra le sbarre), di cui 80% sono giovani e 60% studenti. 54% di bambini con deficit nutrizionale, di cui l’8% con denutrizione acuta. I prigionieri politici subiscono delle torture inimmaginabili: affogamenti, botte con bastoni, shock elettrico, soffocamento con sacchetti di plastica o sostanze chimiche, violazioni sessuali, crocefissione. Si pratica sistematicamente la cosiddetta tortura bianca, che non lascia tracce nel corpo bensì nel cervello perché cerca di spezzare la volontà del prigioniero provocando danni psicologici ed emozionali. Il modus operandi è: celle di 2x3 metri, esposizione del corpo a minime temperature, isolamento e perdita della nozione del tempo, privazione del sonno attraverso rumori assordanti, posizioni forzate del corpo, assenza di luce solare per lunghi periodi e informazioni false su morti e tragedie familiari.
Qual è la frustrazione? Che la situazione interna e politica del paese è troppo confusa. La crisi sociale non è cambiata, ma i politici, anche quelli dell’opposizione, sembrano essere sempre più lontani dalle necessità del popolo. Le ingiustizie sono all’ordine del giorno, nei mesi scorsi il regime si è accanito, direi di nuovo, contro i sindaci di diversi colori politici, persone che hanno alzato la loro voce contro il regime, che davvero sono state a fianco dei loro concittadini durante le manifestazioni camminando e respirando lacrimogeni , che hanno aiutato la popolazione in emergenza, hanno continuato a lavorare con vocazione e per la democrazia. La risposta del regime è stata la persecuzione. In due settimane, ad agosto, cinque sindaci sono stati perseguitati dal governo. Gli ultimi in ordine cronologico sono stati Ramón Muchacho e David Smolansky, giovani sindaci di due importanti comuni di Caracas. Il loro crimine è stato appoggiare le manifestazioni pacifiche e sono accusati di oltraggio alla corte per non aver tolto le barricate durante i giorni di protesta. Dall’inizio della prima ondata di crisi, cioè dal 2014, ci sono stati 21 sindaci in tutta Venezuela nel mirino del governo: Gustavo Marcano, Omar Lares, Carlos García, Warner Jiménez, Ramón Muchacho e David Smolansky hanno mandato di cattura e in questo momento sono in clandestinità o in esilio. Misure cautelari per: Jossy Fernández, José Rodríguez, Juan Peña, Carlos Ocariz e José Barrera. Antonio Ledezma, Delson Guárate, Alfredo Ramos e Daniel Ceballos in prigione. Antonio Goncalves, Enzo Scarano (agli arresti domiciliari), Lumay Barreto e Alicia Loreto destituiti. Adriana González e Ángel Ortiz Zabala hanno dei processi aperti per motivi non collegati alla politica. Questi sindaci sono stati eletti dai cittadini, ma siccome non condividono le idee del governo, il Tribunal Supremo de Justicia-TSJ (Consiglio supremo della magistratura) ha inventato delle accuse che in qualunque paese democratico sarebbero illogiche e anche illegali. È importante ricordare che il TSJ oggi non è un organo autonomo, bensì è completamente dipendente dal regime. I magistrati designati illegalmente nel 2015 dal Parlamento, che all’epoca era di maggioranza chavista, sono stati gli stessi che lo scorso 27 marzo hanno attribuito a Nicolas Maduro le facoltà dell’Assemblea Nazionale per legiferare e prendere decisioni civili, economiche, militari, penali, amministrative, politiche, giuridiche e sociali ed è la ragione per cui definitivamente il governo di Nicolas Maduro è un regime dittatoriale.
Sotto un regime dittatoriale si capisce che un sindaco o un parlamentario possano diventare il sassolino sulla scarpa. Si capisce anche che la “Resistencia” sia diventata l’obbiettivo da neutralizzare o che i militari ribelli siano i traditori della patria e rappresentino una vera minaccia, ma non è accettabile che semplici persone della società civile, studenti, professionisti, professori universitari, ecc. siano detenuti, in prigione e torturati. Ordinare l’arresto di una signora attivista dei diritti umani, di un ragazzo violinista, di una maestra di scuola, di un pensionato, di uno studente universitario è inammissibile. Il regime è così disperato che vede minacce dove non ci sono e non le vede dove realmente ci sono.
Il mutamento della situazione nel paese in questo momento con la messa in marcia della Costituente, le imminenti elezioni regionali, le minacce da parte degli Stati Uniti, ecc. stanno spostando i riflettori sulla situazione politica ed è frustrante come il mondo si stia dimenticando dei morti, dei detenuti, della fame, della mancanza di alimenti e medicine, dei malati, dei servizi che collassano giorno dopo giorno. E mentre Maduro fa il suo tour nei paesi islamici e il governo manda il suo aiuto agli sfollati degli uragani americani, il venezuelano letteralmente muore di fame e non riceve nessun aiuto. Vilma, Bernardo, Gustavo, Mayerlin, Karina, Luis Alberto, Marcos, Isabel, María Cristina, Juan Carlos, Ignacio, Martina, Enrique e i milioni di venezuelani disperati continuano a cercare cibo e prodotti di prima necessità nei supermercati, (il paniere è aumentato di un 339% da giugno 2016 a luglio 2017), medicine nelle farmacie e passano ore e ore senza elettricità, alcune zone del paese anche senza acqua e gas. Poi ci sono Antonio, Leopoldo, il Generale Vivas, i poliziotti di Chacao, Alfredo, Raul, Joselyn, David, Ramón, Steyci, Braulio, Lorent, Eduardo, Luis Henrique…. 5092 prigionieri… vite umane che aspettano… appese a un filo. Ed è per tutto questo, per tutti i venezuelani, liberi o in prigione, morti o vivi, che ogni singola firma in quel faldone che sarà consegnato il prossimo 22 di settembre è di vitale importanza e speriamo che questa speranza schiacci definitivamente la frustrazione e la rabbia che si respira nel area del Venezuela .
Per maggiore informazione sul 22 di settembre e su “Venezuela somos todos”:
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¡BASTA YA! ¡NO MÁS DICTADURA!