STIPENDIO ALTO? PENSIONE BASSA
La brutta notizia è che i ragazzi di oggi dovranno lavorare più a lungo. Quella pessima è che avranno pensioni più basse. Se proprio vogliamo essere ottimisti la notizia bella è che almeno lo sanno. Non è poco perché possono preparare le contromisure da subito, risparmiando il necessario o per uscire dal lavoro prima oppure per avere una pensione adeguata allo stile di vita al quale sono nel frattempo abituati.
Ma i numeri sono numeri e non mentono, soprattutto se sono della Ragioneria Generale dello Stato, che ha elaborato alcune previsioni su quello che forse è l’indicatore più importante tra quelli a cui guardare quando parliamo di pensioni: il tasso di sostituzione. Si tratta della porzione del salario che, se si fa conto solo sui contributi obbligatori, rimarrà nelle tasche dei pensionati dopo essersi ritirati. Ovvero, guardandola in un altro modo, misura quanto si perde pensionandosi.
A oggi, secondo l’Ocse, il tasso di sostituzione italiano lordo al momento della pensione di vecchiaia è del 76,1%, vuol dire che in media oggi tutti, uomini, donne, lavoratori con alti salari o con bassi salari, in qualsiasi settore lavorino prendono di pensione il 76,1% dell’ultimo stipendio se hanno avuto una carriera continua e si ritirano a 67 anni.
la spesa pubblica pensionistica italiana è e resterà la più alta del mondo in rapporto al Pil, dato che assorbe il 16,2% del prodotto interno lordo, cifra che arriverà al 17,2% nel 2035-2040 . E anche se non ci saranno tagli e riforme, i pensionati di domani guadagneranno meno (cioè avranno un tasso di sostituzione più basso dell’attuale) per la mera applicazione delle regole già in vigore, la principale delle quali è l’utilizzo sempre più ampio del solo criterio contributivo, cioè il calcolo dell’assegno pensionistico solo in base ai contributi versati, senza tener conto dell’ultimo stipendio percepito.
Un esempio concreto: com’era, com’è…e come sarà
La Ragioneria Generale dello Stato ha preso come esempio un dipendente del settore privato e ha misurato quanto gli rimarrà in tasca andando in pensione considerando diverse date. Ebbene: se il nostro lavoratore-tipo si fosse ritirato nel 2010 con 65 anni e 4 mesi di età e 38 anni di lavoro (si presume realisticamente una carriera discontinua), avrebbe ricevuto il 73,6% dello stipendio, e avrebbe goduto di un calcolo interamente retributivo. Come si vede dal nostro grafico nel 2020, invece, questa percentuale sarebbe scesa al 71,7%, e questo nonostante l’aumento dell’età di pensionamento a 67 anni. Perché? Perché tale dipendente, sempre con 38 anni di contributi, per le riforme Dini e Fornero avrebbe visto il suo assegno calcolato in parte con il sistema contributivo. Se poi avesse voluto approfittare di Quota 100 , varata nel 2019 (che consentiva di ritirarsi dal lavoro a 62 anni con 38 anni di contributi), gli sarebbe andata ancora peggio perché avrebbe incassato appena il 65,3% dell’ultimo stipendio. Questo per quanto riguarda il passato, per quanto riguarda il futuro le cose vanno peggio. Quelli che andranno in pensione nel 2030 (sempre con 38 anni di contributi e un’età di 67 anni e 4 mesi) percepiranno una somma mensile pari al 68,2% del reddito perché la maggior parte dell’assegno sarà calcolato sulla base dei contributi effettivamente versati (metodo contributivo) e non in base all’ultimo stipendio (metodo retributivo). Tra il 2030 e il 2040 (siccome la natura fa il suo corso) si “estingueranno” completamente i lavoratori che avevano cominciato la propria carriera prima del 1996 e il calcolo sarà solo contributivo per tutti. La Ragioneria ha ipotizzato che i pensionandi del futuro vorranno usare l’anticipo di tre anni rispetto al requisito di vecchiaia previsto dalla legge e quindi nel 2040 si ritireranno a 65 anni e 5 mesi (tre anni prima dei 68 anni e 5 mesi cui sarà arrivata l’età della pensione di vecchiaia) e riceveranno solo il 59,4% dell’ultimo stipendio, sia per l’effetto dell’anticipo che del calcolo interamente contributivo. Questa percentuale continuerà a scendere negli anni successivi e sarà del 59% nel 2050 e del 58,6% nel 2060 e 2070. I giovani di oggi prenderanno sempre meno anche se, nel frattempo, sarà cresciuta l’età minima di pensionamento: nel 2070, quando si ritireranno i ragazzi e bambini di oggi, la pensione di vecchiaia sarà di 70 anni e 7 mesi, e quella anticipata contributiva di 67 anni e 7 mesi.
Più fai carriera, più basso sarà l’assegno in proporzione allo stipendio
Le ipotesi della Ragioneria dello Stato naturalmente riguardano il lavoratore medio. Le cose cambiano se consideriamo alcuni casi differenti, e cambiano in modo anche paradossale. Poniamo il caso che un lavoratore riesca ad aumentare ogni anno il proprio stipendio dello 0,5% in più rispetto alla crescita media. Bene, si dirà. Invece no, male, perché il suo tasso di sostituzione diventa ancora più basso e nel 2070 riceverebbe un assegno pari solo al 53,7% dell’ultimo stipendio . Al contrario un lavoratore che avesse una progressione più lenta della retribuzione, diciamo dello 0,5% annuo inferiore alla media, prenderebbe di più: il 64%. La ragione è che il calcolo contributivo viene effettuato su tutti i versamenti nel corso della vita lavorativa e di conseguenza per il lavoratore di successo valgono per la determinazione della pensione anche i contributi dell’inizio della carriera, che erano molto bassi rispetto a quelli successivi alle varie promozioni.
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Esiste una soluzione?
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✔️ Matteo Fonti Consulente Finanziario - Personal Financial Advisor
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