Subject: Feedback.
Una cara amica mi ha chiesto cosa fosse un feedback.
Non vi nego il disagio iniziale: prima di tutto perché non parliamo del mio ambito di studi; in secondo luogo, perché ero chiamato a definire un singolo aspetto che di norma si inserisce organicamente in tematiche HR ampie e complesse, come il sistema di Performance Management, i piani di sviluppo individuali e collettivi, il Talent Management e il Team Management. Ma consapevole dell’importanza di questo momento di scambio con lei, ho provato a riordinare le idee. Dopodiché, abbiamo concordato di allargare la platea.
Fortuna vuole che abbia fatto ottimi incontri nella mia vita, che vorrei citare, un po’ per dare merito a chi ne sa di più e un po’ perché gran parte di ciò che dirò qui sotto, e che considero delle verità, è una sintesi delle loro lezioni.
Prima, però, una definizione di feedback. Vale a dire quello strumento relazionale con cui un soggetto (di norma, un responsabile) fornisce ad almeno un altro soggetto (di norma, il collaboratore) informazioni finalizzate a modificare un comportamento, ritenuto poco funzionale rispetto agli obiettivi condivisi.
Alessandro Cravera, esperto di leadership, sviluppo manageriale e complessità organizzativa, mette subito in chiaro che la finalità del feedback è quella di essere un innesco all'apprendimento e non un giudizio. Un giudizio è facilmente identificabile dall'uso del verbo essere (sei inaffidabile, sei impreciso, sei incostante) e porta come reazione nell'interlocutore resistenza e conflitto: quanto di più lontano da un feedback. Per essere efficace, il feedback dev'essere specifico e basato su comportamenti osservabili e concreti, non mirato a valutare la persona e/o il suo carattere. Facile a dirsi, difficile a farsi, dal momento che molto spesso ci ritroviamo a sovrapporre i nostri giudizi ai comportamenti che osserviamo, con la conseguenza di trasformare un fatto in una opinione contestabile (hai gestito in modo poco coinvolgente la riunione, oggi – In che momento? Facendo cosa?).
Proprio per questo il feedback deve essere preparato seriamente, i comportamenti su cui si basa vanno osservati e segnati, al fine di essere poi riportati con accuratezza al nostro interlocutore. Se io dico: “Hai iniziato la riunione fissando solo lo schermo del pc e hai parlato per i primi dieci minuti senza guardare negli occhi i tuoi colleghi”, questo fatto non potrà che venire confermato o curiosamente smentito, senza rischiare fraintendimenti. E potrà facilitare un innesco all'apprendimento, perché la persona sarà portata a modificare il suo comportamento per verificare che, quanto da me detto, produca un miglioramento.
Per Claudia Carolini, psicologa del lavoro, formatrice ed esperta di sviluppo della persona, il feedback deve seguire una modalità strutturata. Evitiamo di dare feedback spontanei credendo di essere tutti guru della comunicazione, spesso non lo siamo e ci ritroviamo a complicare solo le cose. Un feedback è preferibile che inizi con una domanda aperta che permetta all'altro di non sentirsi al banco degli imputati ma di aprirsi, di ricordare a se stesso il rapporto di fiducia e compartecipazione col proprio responsabile (“Come stai? Come procede il progetto?”, “Qual è la sfida più difficile che hai dovuto affrontare?”). Fondamentale, poi, che il feedback parta dai punti di forza per passare alle aree di miglioramento, sempre focalizzando l’esposizione sui comportamenti osservati (“Ho davvero apprezzato che tu abbia inviato il report venerdì, come avevamo concordato; ho notato, però, che nell'ultima video-call del progetto, hai tenuto la webcam spenta per tutta la durata della riunione, veicolando un messaggio di scarso interesse per questa attività.”).
Un buon feedback facilita i nostri collaboratori nel riallinearsi ai modelli valoriali e comportamentali dell’azienda. Il manager dovrebbe ricordarsi di segnalare ogni cambiamento positivo, sempre. Basterà? Sarà il solito terno al lotto? Potrebbe darsi che nonostante tutto quanto detto sopra, il momento del feedback non raggiunga il suo scopo. Io credo che possa dipendere da almeno tre motivi:
- Troppo spesso ci alleniamo a dare feedback, dimenticando di allenare i nostri collaboratori a riceverlo;
- Un feedback non è una pozione magica che, una volta ingerita, produce una trasformazione certa e istantanea. È un processo, può essere lungo e può richiedere tanta pazienza (la quantità di pazienza è direttamente proporzionale alla fragilità del vostro processo di selezione e alla vostra incoerenza manageriale/organizzativa);
- Pensiamo che ogni confronto sia un feedback e abituiamo anche i nostri collaboratori a svuotare di senso questa parola. Esistono i confronti, esistono i pareri sui progetti e sulla performance, esistono i consigli che deresponsabilizzano e le domande che responsabilizzano: non tutto è feedback!
Il feedback ideale non esiste, perché c’è di mezzo la totale imperfezione dei rapporti umani, l’infinita varietà dei caratteri e l’influenza significativa dei team e dell'organizzazione. Eppure, in questa complessità, ci si può muovere con maggiore sicurezza se, nel frattempo, ci siamo premurati di investire sul concetto di fiducia, se abbiamo ricordato a noi stessi, ogni giorno, l’importanza di guidare attraverso l’esempio e se ci siamo posti il dubbio di stare usando saggiamente la nostra intelligenza (emotiva).
Lasciamoci così, per ora.
Inside Sales
3 anniGiacomo Troianiello, ho letto con attenzione... è un articolo molto interessante, analitico e comprensibile. Lo trovo davvero utile, grazie mille per la condivisione.
Branding | Customer Engagement | Eventi | Blogging
3 anniBravo Giacomo: un articolo interessante, ricco di spunti e contemporanemaente "ligth" come, a mio avviso, dovrebbero essere gli articoli su LinkedIn.
Marketing Detective I Strategic business storyteller
3 anniGrazie per aver spiegato in modo cosi' articolato e soprattutto aver reso accessibile a tutti le tue riflessoni. :)