SUL BUSINESS DEL BUSINESS DELLA FORMAZIONE
© Mauro Navarra

SUL BUSINESS DEL BUSINESS DELLA FORMAZIONE

SUL BUSINESS DEL BUSINESS DELLA FORMAZIONE

(Discorso ai formatori a giovamento di tutti gli altri)

Bisogna smettere di pensare che esista la formazione. Bisogna abolirla, questa inconcludente formazione. La formazione può esser solo tecnica. Per il resto la parola formazione è errata, fuorviante, volutamente ambigua. La formazione è un bias collettivo ben cavalcato dal business fantino d’ogni cosa che si possa cavalcare, che respiri o no.

Due figli si formano in modo diverso nella medesima famiglia, giacché le “scelte” adattive che faranno (senza sapere d’averle fatte) in tenerissima età (a cinque anni il carattere è già formato), determineranno un percorso ignoto a tutti. Il percorso è la forma. E ognuno uomo, sostanzialmente, è già formato. Non si può formarlo. Se non all’uso di uno strumento tecnico, che non confligge (anche qui, da Elton Mayo in poi…) colle strutture già date dell’identità.

E se la famiglia non può niente… immaginiamoci cosa possa quel che vien chiamato “Formazione” che ci s’industria di erogare (si dice così) nei luoghi di lavoro. Formazione su temi trojan, si capisce, come la «Leadership» che, attraverso il bias collettivo, in una mai morta e sepolta Psicopatologia della vita quotidiana, si declina sempre in un’aspirazione ad aver, guardando verso il basso, qualcuno da comandare, oppure a comandar se stessi... una leadership paternalistica (ma su questo ha detto ampiamente Sennett). Ed i petulanti sotto-ordinati anelano al paternalismo del capo, che li valorizzi a dovere… Ed il capo (ma su questo ha ampiamente detto Kets De Vries), si sa, si rispecchia sempre sulle aspettative dei sotto-ordinati per rimanere sovra-ordinato rimirato capo.

Ma quel che nessuno ha detto è che è impossibile formare. Si può solo parlare della conoscenza in modo schietto. Si posson capire le mancanze, sì, l’uomo è essere ontologicamente mancante, questo si sa, ma solo raramente si trova la persona che quelle mancanze te le vede addosso, e ti cuce un discorso sulla conoscenza che non hai, comprendendo quali siano i tuoi personali più idonei modi di afferrar le cose che poi tu chissà se afferrerai. Tutto qui. Quello che si chiama formazione è una sola andata, senza ritorno. Non si forma niente. Non si forma nessuno. Sorridiamo, per favore, di fronte al Return of Investment a cui son sottoposti i percorsi formativi erogati ai dipendenti (questa frase, mi scuso, è davvero oscena). Si. Facciamolo.

Questa cosa, lo so, va spiegata, e lo si può fare solo in modo prorompente. Però: non scambiamo la verità col cinismo, né colla cattiveria. No. Non facciamolo.

***

Bisogna smettere di pensare di poter agire sulle persone, di poterle cambiare. Le persone (che in latino sono maschere) vanno prese per quello che sono. Va mantenuta una distanza. Le persone vanno fatte parlare, esprimere, vanno messe in condizioni di dir tutto. Poi vanno tratte le conseguenze: ciò che si può trattenere si tratterrà da sé, il resto andrà via, sempre da sé. 

Il giudizio che se ne deve avere è sempre sulla base di quel che le persone sono e dicono, mai in base al risultato a cui perverrebbero mettendo in conto il lavoro che noi facciamo su di loro. Bisogna smetterla di pensare di poter cambiare le persone. Le persone vanno guardate da lontano. Ascoltate. Poi lasciate andare alla loro vita. Tanto prima o poi, dopo essersi illuminate come un cerino per il nostro lavoro (dico per dire: mi guardo bene dall'includermi in qualche filone o corrente), torneranno sempre alla loro vita.

Le persone non possono esser toccate. Non bisogna mai oltrepassare la soglia tra l’io e il tu. Se qualcuno sente di seguirti ti seguirà. Se qualcuno sente di dirti qualcosa te la dirà. Se qualcuno sente di doverti far male te lo farà. Se qualcuno non potrà vivere senza te e tu gli chiuderai la porta in faccia dormirà sul tuo zerbino.

Ognuno vive la vita che vuole, ognuno vive la vita che può. Volere e potere, in questo caso, son sinonimi, ed hanno la misura della persona che li sente. Tutto qui.

Lottare per cambiare il segno alle cose è stupido. Le cose hanno il segno che hanno, e il loro segno non lo cambieranno mai. La patina che riuscirai a pennellarci sopra presto verrà via, e ognuno presto tornerà alla sua natura.

Se è natura cambiare la natura, tu non puoi niente in questo cambiamento: ognuno si cambierà da sé. Tu non puoi far altro, se sei bravo, e di bravi in giro ce n’è pochini, di accorgerti del cambiamento avvenuto nelle cose dal loro manifestarsi come sono, o come son cambiate: non puoi far nient’altro. Solo capire. Solo Sapere. Ed è già tanto.

Per questo la vita è un incontro. Niente si forgia. Niente si modella. Tutto è già forgiato e modellato: puoi solo avere il culo di incontrare il giusto incastro, che poi, magari, avrà la disposizione di continuare a crescere e cambiare assieme a te. Oppure puoi accontentarti di quel che trovi, anche se s’incastra male. Ma non puoi cambiare niente e nessuno al di fuori di te.

***

Vuoi cambiar qualcosa e qualcuno? Cambia te stesso. Come fai a cambiar te stesso? In una sola maniera: col «mai più!». Se riesci a sostenerlo. È difficile? Per questo nessuno, quasi nessuno, cambia. È difficile in te? Immagina se puoi cambiare qualcun altro.

Non bisogna mai nemmeno provarci. È un errore grave. Mai mettere le mani addosso a qualcuno. Le persone, noi tutti, sono come rabdomanti in cerca di qualcosa. Siamo noi per primi ad annusare la presenza di lontano di quel che cerchiamo, che non sappiamo. Siamo noi per primi, dopo che abbiamo sentito nel profondo quella presenza cambiare la composizione del nostro essere, a dire: «mai più!».

Il «mai più!» è un atto intimo: giù le mani straniere dalla sfera intima altrui. È una questione di rispetto. Rispetto della natura. Rispetto del limite. Il «mai più!» è l’apertura oltre il confine di quel limite, ma non si può insegnare, a niente vale l’esempio. Il «mai più!» è una cosa intima. E, generalmente, non accade. Ma quando accade… è una sorta di miracolo.

E va bene un miracolo… ma due!? Due è quasi impossibile. Che due miracoli s’incontrino per la via, per due diverse vie, in un incrocio, diretti in direzioni opposte, e, in un sussulto che non dura che in attimo, dicano: «mai più!»… Eh… Ciao!

Per questo tutti parlano d’amore e i suoi componenti scomposti sono usati come pilastri nella cosiddetta formazione. Tutti parlano, ossessionati, della mancanza. Della loro mancanza. E si crederebbe che il miracolo che non s’è fatto per sé si possa fare per l’altrui?

Per questo si dice che l’amore («amare quel che si fa» è una delle componenti scomposte dell’amore) è l’unica cosa capace di smuovere le acque, e chi lo provi non ritorni «mai più!» quello di prima. Si vagheggia. Questo è la formazione: vagheggiamento. Come la vita. Come l’amore. Ma prezzolatamente.

Ognuno vagheggia la propria mancanza: mancanza del coraggio del «mai più!», mentre si sciacquetta coi piedi nell’acquetta tiepidina del vivacchio. È tutta una traslazione d’una mancanza la vita, parrebbe. Mancanza di forza. Mancanza di sentire. Mancanza d’un incontro. Ma invece non è così. Forza, sentire, incontro: vedi tutto dopo che sei cambiato, se sei già entrato nel «mai più!». Prima: hai solo il fumus vacuum et magicum del rabdomante.

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