Tecnologia e privacy: il caso Buttarelli
Quanto costa “essere social”?
È più importante mostrare la nostra foto al mare o proteggere la nostra privacy? I nostri dati privati, preferenze, consuetudini, gusti politici sono merce preziosa per i grandi del mondo tecnologico come Google e Facebook.
I due colossi del web ci hanno più volte pubblicamente rassicurato di aver messo tutte le azioni possibili in campo per garantire la nostra privacy ma i casi recenti ci fanno immaginare che non ci sia da fidarsi.
Gli scoop sulla privacy violata
Facebook ha aperto il vaso di Pandora con il caso Cambridge Analytica e recentemente sono stati sollevati ulteriori dubbi: uno degli ultimi casi, che anch’io ho ripreso proprio qui su Linkedin è quello dei file audio di Messenger trascritti con lo scopo di “alimentare l’AI del Social Network”.
Uno degli ultimi casi riguarda il garante della privacy Giovanni Buttarelli.
Chi era Giovanni Buttarelli
Dopo un percorso lavorativo di altissimo rilievo, dal 1997 al 2009, Buttarelli ha assunto la funzione di Segretario Generale presso l'Autorità garante per la protezione dei dati personali. È stato presidente dell'Autorità di controllo comune (JSA) disposta dal Trattato di Schengen nel 2002-2003, dopo esserne stato il vicepresidente tra il 2000 e il 2001, e presidente del del CIS - Customs Supervision Coordination Group nel 2011.
Nel 2014 ha sostituito Peter Hustinx nel ruolo di Garante europeo della protezione dei dati, dopo aver lavorato come Garante aggiunto per un mandato, dal 2009 al 2014.
Giovanni Buttarelli è morto a 62 anni a Milano e, ufficialmente, non è nota la causa della morte. La stessa era volontà della famiglia sicchè in rete non si trovano riferimenti a comunicati stampa, notizie ufficiali sulle cause della morte.
La pubblicazione della causa di morte sulls pagina dei risultati di Google
Prima della segnalazione (rimossa nella notte fra il 21 e il 22 agosto) se un utente qualsiasi digitava su Google «Giovanni Buttarelli causa morte» poteva vedere scritto a chiare lettere il nome di una malattia.
Martina Pennisi, è la giornalista del Corriere che per prima ha postato l’immagine della ricerca eseguita su Google. Il giornale ha inviato una segnalazione e Google ha risposto che avrebbe effettuato un intervento per sistemare il risultato.
Peccato che l’informazione visibile nel risultato 0, come si legge dall'articolo del Corriere, cioè nello snippet in primo piano, non sarebbe dovuta diventare di pubblico dominio.
Come confermano fonti vicine alla famiglia di Buttarelli «la causa del decesso è un’informazione riservata e personale di cui hanno preferito non parlare e a proposito della quale non avevano mai fatto cenno in precedenza».
Ipotesi possibili sulle fonti che Google avrebbe per individuare una causa di morte
Come faceva Google a sapere della malattia? Perché l’ha resa pubblica? Perché ha dato l’informazione come certa senza linkare alcuna fonte e in assenza di conferme? Google dove pesca le informazioni che poi decide di evidenziare, pur chiarendo che non vanno intese come fonte unica?
Ipotesi condivisione dati a servizi Google
Volendo essere un po’ maliziosi (ma a pensar male spesso si fa la cosa giusta) può essere plausibile che Buttarelli abbia utilizzato uno delle decine di strumenti di Google per memorizzare cartelle cliniche, analisi o semplicemente ricevere email in cui si faceva menzione della malattia.
Il contenuto delle email veniva, ad esempio, fino al 2017 (dichiara Google) utilizzato per personalizzare i propri annunci pubblicitari.
Ipotesi condivisione dati tramite Google a servizi terzi
Oppure può essere plausibile che Buttarelli abbia utilizzato qualche app con login Google e che qualche sviluppatore (con i dovuti accessi alle email) abbia inserito in rete questa notizia che poi il motore ha utilizzato per fornire risposte.
Ipotesi condivisione dati dei medici a Google
Altro scenario plausibile quello relativo al Cloud.
Qualche documento sensibile potrebbe essere stato caricato in Cloud, su spazi come Google Drive e scansionato dal motore di ricerca e poi il risultato, visto l’elevatissimo numero di query per quella chiave, dato in pasto ai risultati (per qualche probabile falla nel motore).
In questo caso la gravità, più che nel rendere nota la causa nella morte, sta nel fatto che qualsiasi documento memorizziamo, qualsiasi email inviata viene di fatto analizzata ed il suo contenuto diventa parte di quella enorme “memoria” del motore che al momento giusto da in pasto il risultato.
Ho intervistato Giorgio Taverniti su questo argomento per chiarirmi alcuni dubbi e avere un parere più tecnico.
Qual è la tua ipotesi sulla "fuga" di un'informazione che non era da pubblicare.
Con l'utente Emanuele767 che segue FastForward lo abbiamo scoperto e la risposta è sul forum.
In pratica l'utente di Wikipedia Folengo lo ha scoperto da Google Suggest.
Chiunque può aver cercato insistentemente il nome e cognome più malattia. Magari era una voce tra familiari ed è diventata pubblica. O chissà.
Di sicuro non l'ha costruita Google, ma l'ha presa da Wikipedia.
La giornalista del corriere ha nasato una notizia grave. Credi sia necessario formare i giornalisti o che siano a buon punto della loro conversione in digitale?
Martina si è dimostrata molto preparata, non credo sia una questione di formazione. È il cercare di sviluppare un'attitudine verso Internet. Certo la formazione è importante, ma non basta. Serve altro.
Quali sarebbero i rischi per Google se ammettesse di essere un produttore di contenuti e non un sistema di information retrieval?
Che si dovrebbe prendere la responsabilità del contenuto e che un secondo dopo, comunque, ci sarebbero conflitti di interesse enormi. Ci sono già, ma non sono visibili.
Che misure pensi sia necessario adottare per il controllo di ulteriori temi sensibili (femminicidio)?
Più che controllo, questi temi, necessitano di sensibilità da parte di chi scrive. È come se la rincorsa alle visualizzazioni e all'essere i primi abbia abbassato la qualità e modificato anche quella parte morale dell'essere un cronista.
Non credo che il problema sia tecnologico. Non credo che sia, in questo caso, così facile penalizzare qualcuno tecnologicamente.
Esistono già le tecnologie per far sì che il fact check avvenga senza che sia necessario alcun intervento umano?
Ad oggi no, quelle che ho visto e di cui si è discusso sono fallimentari. Google ha presentato tanti brevetti, non ne ho visto ancora uno funzionare, per esempio. Quelli che funzionano, attualmente, sono quelli dove ci sono le persone che danno l'ok.
Founder e brand designer Banana Splint ➤ Progetto il tuo brand dalla D alla S (sì, faccio loghi 😉) ➤ Mi occupo di brand e personal brand su LinkedIn ➤ ho creato Furbes ➤ <2K contatti, ma conto di scendere
5 anniInquietante. A prescindere da quale delle ipotesi sia corretta, è incredibile che non si possa arginare una notizia nemmeno dopo tutte le precauzioni adottate dalla famiglia Buttarelli. Conoscevo solo superficialmente i fatti, grazie dell'approfondimento, Luigi Marino e Taverniti Giorgio.