Trasformazione digitale

Trasformazione digitale

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Introduzione 

Agostino Ragosa, classe 1950, salernitano, ingegnere elettronico e di telecomunicazioni, è stato ai vertici del management digitale del gruppo Telecom, poi di Poste Italiane ed anche dell’intero Paese, quando venne nominato Direttore Generale dell’Agid (Agenzia per l’Italia Digitale) per guidare l’Italia sul cammino dell’innovazione. Appartiene a quel gruppo di manager che operano sulla complessa e lunga filiera digitale con un approccio industriale senza farsi prendere dal fascino dell’ultimo cluster di questo mondo, tanto enormemente visibile perché sovrastrutturale, quanto impossibile senza le infrastrutture, gli apparati, le reti trasmissive, le backbones e tutto il resto. Diciamo la verità. La politica tutta non ha capito e non capisce questo complesso mondo digitale. Quel che è più grave, non è neanche interessata a farlo. Il risultato è una grave perdita di strumenti e conoscenze di gestione, indispensabili nella competizione economica. In questo articolo Ragosa affronta la trasformazione digitale

LA TRASFORMAZIONE DIGITALE E LE COMPETENZE NECESSARIE                                                                                                                            

La rivoluzione digitale sta modificando, in modo lento ma inarrestabile, il modo di lavorare, di interagire, di relazionarsi, di vivere degli esseri umani. Così come il DNA è da considerarsi l’informazione necessaria che consente agli esseri umani di replicarsi ed evolvere come specie nel tempo, l’informazione (a gesti, a parole, scritti e immagini) è l’elemento che ha consentito alle Comunità umane di tramandare scoperte e tradizioni che nel corso della storia dell’umanità hanno caratterizzato l’evolvere della cultura della specie da uomo delle caverne a esploratore del Cosmo.

Infatti, la progressione della vita umana è da sempre il frutto di scelte basate sulla conoscenza acquisita. La rivoluzione digitale accelererà il processo di evoluzione del genere umano: il sapere, trasmesso in modo rapido da pochi a tanti, modificherà conoscenze, stili di vita, comportamenti e relazioni sociali. L’uomo dell’era digitale avrà a disposizione informazioni complesse e mai detenute dai suoi predecessori per meglio conoscere e governare la realtà fisica di cui è parte; il tema delle competenze, da quelle di base a quelle evolute, diventa centrale per governare la complessità.

Si impone un piano nazionale della cultura digitale!

Il rischio è lasciare fuori dai processi conoscitivi intere fasce di popolazione creando problemi sociali rilevanti per l’inadeguatezza dei singoli nel fruire dei servizi che le tecnologie metteranno a disposizione, richiedendo ad ognuno conoscenze dei processi di accesso e di uso degli stessi. E’ significativo, già oggi nel nostro Paese, il “gap” che si è venuto a creare tra il numero dei servizi che la Pubblica Amministrazione presenta in rete ed il grado di utilizzo da parte dei cittadini. Siamo tra i primi in Europa per i servizi erogati in rete ma viaggiamo agli ultimi posti nelle graduatorie europee di utilizzo.  

La rivoluzione digitale richiede uno sforzo epocale dal punto di vista delle competenze; è necessaria una profonda trasformazione delle modalità, dei contenuti e dei ruoli degli attori che operano sui processi educativi e formativi per preparare le nuove generazioni ad affrontare ed interpretare la complessità che si dispiega davanti a noi che, se ben gestita, produce innovazione e opportunità di occupazione soprattutto per le nuove generazioni. Lo stato dell’arte delle competenze è critico su tre versanti:

1)     Il cittadino utilizzatore: gli Italiani utilizzano poco la rete internet ed i servizi a disposizione in particolare quelli pubblici. E’ necessario un piano di formazione mirato per la gente ed un programma di comunicazione specifico per i servizi più utilizzati (la richiesta di certificati, i pagamenti elettronici, la posta elettronica, etc.);

2)     Il sistema delle imprese: le imprese piccole, medie e grandi, utilizzano poco e male le nuove tecnologie necessarie a modificare ed efficientare i processi aziendali. Il risultato è la bassa produttività che caratterizza quasi tutto il sistema produttivo del Paese. Mancano le competenze nelle aziende per avviare programmi di IT transformation, sono scarse le risorse economiche per gli investimenti nelle tecnologie innovative, sono carenti le politiche fiscali a supporto degli investimenti tecnologici, trascurabili gli investimenti formativi dedicati ad adeguare le competenze aziendali;

3)     Il Sistema Pubblico: gli Enti pubblici sono bloccati dalla burocrazia, dai processi operativi obsoleti (e ancora molto manuali), dalla capacità di ridisegnare e pianificare il nuovo, dalla carenza di competenze necessarie a gestire innovazione, dalla “voglia” dei manager di mettersi in gioco per forzare il cambiamento (Decreti attuativi poco chiari che diventano norme confuse che abilitano procedure complesse da cui derivano processi operativi frammentati e sistemi tecnologici con gravi carenze di interoperabilità).

Abbiamo un problema come Paese: servono competenze e capacità di innovazione e sono poche le risorse economiche destinate ad investimenti su tecnologie innovative. Smettiamola di dibattere dei disastri del digitale, dei posti di lavoro che andranno persi, delle fobie catastrofiche riguardanti la tecnologia, della necessità di fermare l’innovazione! E’ necessario invece, come sostiene Marco Bentivogli (segretario Fim) nel suo libro Contrordine Compagni, progettare ed accompagnare la trasformazione digitale senza alcuna paura del futuro. E’ importante questa presa di posizione da parte di un uomo del Sindacato, visto che la Politica TACE e fatica ad indicare la strada dell’innovazione digitale come una delle vie dello sviluppo del Paese. Cosa fare? Come reagire per attivare su larga scala le giuste energie sul fronte educativo e formativo?

Bisogna partire dai Piani europei per l’occupazione

L’ultimo rapporto ESDE del 2018 relativo all’utilizzo delle tecnologie innovative è l’elemento chiave per aumentare la produttività complessiva di un Paese (e questo è il grave problema dell’Italia!). Gli elementi fondamentali per adattarsi all’evoluzione del mondo del lavoro sono da un lato una migliore istruzione ed un apprendimento permanente(competenze sempre più qualificate) dall’altro l’adeguamento delle Istituzioni preposte al mercato del lavoro stesso. Ruolo fondamentale sarà quello delle Parti Sociali che in cambio di maggiore flessibilità del lavoro devono poter pretendere investimenti formativi importanti per la riconversione della forza lavoro indotta dai processi tecnologici.

In tal senso, le proposte di direttive relative a condizioni di lavoro “trasparenti e prevedibili” e le raccomandazioni sull’”accesso alla protezione sociale” incoraggiano gli Stati membri a spingere su forti programmi di cambiamento dei Sistemi educativi e formativi. Le Aziende avranno bisogno di personale con “skill” più elevati: saranno sempre più automatizzati i processi di lavoro ripetitivi, ma trascureranno nuove forme di lavoro più cognitive. L’obiettivo europeo di raggiungere al 2020 un tasso di occupazione al 75% della popolazione non sembra più irraggiungibile. Il numero di persone occupate ha già raggiunto livelli record con 238 milioni di lavoratori;

In Italia negli ultimi due anni l’occupazione è cresciuta di circa 1 milione, rimane alto il tasso di disoccupazione giovanile (superiore al 30%). Occorre che il sistema educativo (la Scuola e le Università) accorci le distanze dal mondo delle Imprese che, a loro volta, devono investire di più sul Capitale Umano, sia dal punto di vista della formazione permanente della forza lavoro attiva, sia facilitando l’inserimento dei giovani e la loro integrazione sui processi innovativi. Personalmente ho vissuto, appena laureato in Ingegneria elettronica, una fase di trasformazione industriale nel campo delle Telecomunicazioni: l’era del passaggio dall’elettromeccanico all’elettronico.

C’erano le stesse paure di oggi! L’Italia affrontò quella trasformazione con entusiasmo, costruendo una delle più importanti aree di sviluppo industriale di servizi negli anni 90. Furono riconvertiti centinaia di migliaia di lavoratori elettromeccanici, furono assunti decine di migliaia di ingegneri, periti elettronici e tecnici informatici.Diventammo un settore trainante per il sistema delle Imprese nazionali e costruimmo un gigante delle telecomunicazioni a livello mondiale. Gli ingredienti per il successo: Politici con visione; Manager disponibili al cambiamento; investimenti coerenti con piani industriali sfidanti (e fiduciosi nell’innovazione); un Sistema di relazioni industriali basato su regole nuove con la diretta partecipazione dei lavoratori nella governance delle Aziende; un Sistema fiscale che supporti e defiscalizzi gli investimenti nell’innovazione; un Sistema formativo permanente che accompagni la forza lavoro nella trasformazione dei processi produttivi; un Sistema educativo che abiliti, anche attraverso una efficiente riorganizzazione del Sistema scolastico, il processo di sviluppo dell’individuo per renderlo idoneo ai cambiamenti continui che l’era digitale, inevitabilmente imporrà.

C’E’ UN GRANDE LAVORO DA FARE E TANTE OPPORTUNITA’ DA COGLIERE.

Auguro, al nuovo Ministro dell’Innovazione, un buon lavoro e mi permetto qualche suggerimento:

1)     Semplificazione e Potenziamentocompetenziale delle Strutture Organizzative Centrali coinvolte (Agid e Struttura Commissariale)

2)     Coinvolgimento delle Strutture Regionali per sviluppare un piano nazionale per il digitale condiviso

3)     Raccordo con le Strutture UE per condividere obiettivi e facilitare l’accesso ai fondi comunitari

4)     Sostenere il Sistema della Ricerca raccordandolo con quello delle Imprese

 

Agostino Ragosa

 


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