Tre più Cinque ragioni per restare investiti
Voglio riprendere un articolo di Federica Mascia, che ringrazio per averlo pubblicato nel Settembre 2015 su MONEYFARM, perchè mi permettere di fare ordine di fronte all’uscita dell’Inghilterra dall’ Unione Europea di questo Giugno 2016 e alle conseguenze che il mondo finanziario si prepara ad affrontare.
Tre valide ragioni per non uscire dai mercati finanziari
Federica Mascia, Laureata in Storia e Società, ha un Master in Gestione d’Impresa dell’Alma Graduate School di Bologna ed un diploma in Digital Marketing presso il Digital Marketing Institute di Londra. Tra le sue passioni più grandi la danza. 9 settembre 2015, 5:38 pm
Se leggete un manuale di economia, scoprirete che l’homo oeconomicus ha le facoltà intellettuali di Albert Einstein, una capacità di memoria paragonabile a quella del Big Blue, il supercomputer di IBM e una forza di volontà degna di Gandhi. Davvero. Ma le persone che conosciamo non sono fatte così.
(Thaler-Sunstein)
Impossibile non condividere e facile da verificare soprattutto quando i mercati alimentando ansie e spingono gli investitori verso scelte azzardata dettate dalla paura.
Per gli investitori a medio lungo termine infatti, mantenere i propri soldi investiti piuttosto che entrare e uscire dal mercato al primo segno di notizie negative dai mercati dovrebbe essere normale ma questo accade di rado, poiché l’incertezza prevale su tutto, anche sulla razionalità.
Quando l’andamento dei mercati comporta perdite di denaro, gli investitori infatti (soprattutto quelli alle prime armi) iniziano a interrogarsi sulle scelte fatte, sull’investimento sottoscritto e sul da farsi per arginare o recuperare quanto perso.
Se dal punto di vista umano i timori sono legittimi cosi come la volontà di capire se sia il caso o meno di disinvestire, altrettanto non si può dire dal punto di vista finanziario.
La volatilità dei mercati è una condizione naturale che va saputa gestire (e digerire) dal punto di vista emotivo e che può rappresentare addirittura un’opportunità nei casi dei portafogli ben bilanciati. La finanza comportamentale ha ormai dimostrato quanto l’irrazionalità degli investitori non sia un’eccezione ma una regola e quanto sia facile in momenti di incertezza incorrere in scelte sbagliate.
Ma se volgiamo lo sguardo al passato la storia insegna che i mercati hanno sempre recuperato e che disinvestire in momenti particolarmente complessi può risultare la scelta peggiore.
1. Tredici mercati orso contro quattordici mercati toro.
Nel corso degli ultimi 66 anni, ci sono stati 13 mercati orso, della durata media di 14 mesi e con un calo complessivo pari al 24,6%. Per contro, i mercati toro sono stati 14 dal 1949 e hanno avuto una durata di circa 43 mesi e una crescita complessiva pari al 117,9%. Dunque le fasi “positive” hanno più che compensato quelle negative.
2. Chi entra e esce dal mercato frequentemente guadagna meno.
L’istituto di ricerca DALBAR ha studiato gli effetti di un’attività frequente di acquisto e di vendita degli investitoti in fondi comuni. Lo studio ha rilevato che tra il 1990 e il 2010 gli investitori che hanno detenuto azioni per una media di poco più di 3 anni prima di vendere hanno guadagnato sostanzialmente meno rispetto a quanto avrebbero potuto se non avessero venduto i loro titoli (il 3,8% contro 9,1% dell’Indice S & P 500). *
3) I guadagni del mercato hanno più che compensato le perdite.
Anche se vendere può sembrare la soluzione migliore in casi di “turbolenza”, il fatto che i guadagni del mercato abbiano più che compensato le perdite, è ragione sufficiente per mantenere l’investimento e guardare ai rendimenti ottenibili nel lungo termine. Per fare un esempio, chi nel 1994 ha investito $ 10.000 nell’indice S & P 500, nel dicembre 2014 si è ritrovato $ 65.475, nonostante la perdita del 51% di rendimento registrata a seguito della crisi del 2008-2009.
Ogni caso fa storia a se, ma per gli investimenti a lungo termine i tre punti menzionanti devono rappresentare un faro e ricordare che resistere alle tentazioni – almeno in campo finanziario – rappresenta la scelta migliore, quella più prudente e soprattutto remunerativa.
* Fonte: Dalbar, Quantitative Analysis of Investor Behavior, 2011.
E fin qui risulta ovvio condividere o meno ma di fronte ad un commento piuttosto articolato che Francesco Paone scrive, e che riporto di seguito, ho provato a riprendere i suoi 5 motivi di dissenso che contrappone alla tesi sostenuta da Francesca, al fine di trasformarli, soprattutto per me, in 5 ragioni a favore.
Scrive Francesco:
Però (Federica Mascia) si è dimenticata di alcune cose:
1) non siamo nel cuore di una fase orso dove uscire dai mercati significa perdere l’opportunità della fase toro presumibilmente in arrivo. Attualmente il ciclo sembrerebbe maturo o quasi. Quindi spazi per grandi salite non sembrano essere all’orizzonte.
2) la storia dei mercati finanziari non ricorda interventi massicci delle (privatissime) banche centrali che acquistano asset immettendo liquidità (creata dal nulla e della quale si appropriano) come quelli che stiamo vivendo noi. Liquidità che non è andata in mano all’economia reale, ma è rimasta nel sistema bancario fradicio. Quando il banco vince sempre, non possiamo parlare di libero mercato, ma di mercato condizionato.
3) Tassi e rendimenti negativi: se prima in una fase di discesa più o meno marcata dei mercati azionari ci si poteva rifugiare sui mercati obbligazionari investment grade, oggi questi non rendono nulla, lasciando spazio solo all’obbligazionario high yield, con tutti i suoi rischi.
4) La CINA: i problemi strutturali della Cina sembrano essere sottovalutati dal mercato (anche per merito della sua scarsa trasparenza). Sembra una bomba ad orologeria, ma meglio non parlarne onde evitare il panico.
5) Il capitalismo senza controllo (statale), che garantisce che gli interessi dei privati non possano essere in contrasto con gli interessi della collettività (la vita sul pianeta è sostenuta da chi lavora producendo ricchezza reale, e non certo dai banchieri che battono moneta indebitando e truffando intere nazioni), fa sì che lo squalo si cibi dei pesci più piccoli. Ecco, i pesci piccoli sono quasi esauriti. Ora lo squalo può regnare nel suo oceano di liquidità impanata e fritta!
Riprendo per ordine:
1)Non siamo in una fase orso dei mercati soprattutto quello americano. Vero! Ma prendendo in esame quale periodo? Secondo questo grafico, per la cui pubblicazione ringrazio Carmelo Imerti, siamo all’inizio di un superciclo che può offrire risultati su basi che oggi nemmeno immaginiamo, eventuali storni (Brexit e altri fatti potenzialmente destabilizzanti) sono visti come benefici perchè creano la base del futuro rialzo più solida e duratura.
2) Siamo in presenza di iniezioni di liquidità nel mercato mai viste e dalle conseguenze dubbie per la collettività. Sempre lo stesso grafico, che parte dal 1930, ingloba la più grande immissione di liquidità a carico del Governo Americano per affrontare lo sforzo bellico della grande guerra terminata nel 1945, della successiva fase di ricostruzione dell’Europa, di cui l’Italia ha ampiamente beneficiato, e della riconversione industriale Americana da militare a civile. La conseguenza fu la creazione del debito andato sempre a crescere facendo parte strutturale del bilancio US. Il grafico non traccia catastrofi, il tempo ha risolto il problema.
Oggi BCE compera titoli per immettere liquidità, stampa carta in netto contrasto con la Germania, ma Draghi lo fa! La BCE si indebita e compra titoli dei singoli stati che diventano debito dell’Unione Europea.
E non è il modo finanziario per fare l’Unione degli Stati Uniti d’Europa?
3) I tassi negativi hanno vanificato un’Asset Class. E’ Vero! L’obbligazione però se non offre un rendimento offre sicurezza, per la quale si è disposti a pagare dazio. Il mercato si trasforma ed ecco che oro, dollaro e Bund in questa crisi hanno fatto la parte da leone. Ormai non c’è più nulla senza rischio e gli emittenti , sicuri pagatori di ultima istanza, si sono indeboliti o vogliono passare il testimone. Il risparmiatore deve prenderne atto e aumentare la sua competenza per trovare valore dove viene proposto.
4) Concordo, la Cina ha problemi strutturali ma è un gigante che cambia. Sempre nel grafico di Carmelo Imerti possiamo osservare l’andamento borsistico dal 1930 ad oggi in presenza di cambiamenti significativi: hanno cambiato pelle l’Europa dell’Est, i Balcani, l’ URSS (oggi nuova Russia) e Cuba con l’ Iran non hanno più restrizioni economiche. Si è invertito l’asse della contrapposizione mondiale da Est-Ovest a Nord-Sud trasformandolo da confronto ideologico a confronto religioso.
Ma la Borsa ha sempre riflesso con i numeri il mondo che cambiava.
E’ vero, in Cina ci sono 1,5 MLD di persone che si stanno trasformando e hanno già partorito la loro futura classe media e dirigente che per ora ci prende a modello solo per lo stile di vita. Domani chissà, forse saremo noi ad adeguarci a loro direbbe qualcuno, speriamo di no! Ma attenzione a non avere niente da offrire.
Essere fiduciosi ma vigili, conoscendo, non costa e consente di vivere una buona vita. C’è un Mondo che si sta trasformando grazie alla globalizzazione e nonostante ciò ci preoccupiamo di ciò che cambia ma non di ciò di cui avremo bisogno anche solo tra 5 anni. Dei Cinesi forse prima sono già nel calcio.
5) Il Capitalismo senza controllo (statale), favorisce la legge del più forte. Ma è meglio una “Inglese splendida solitudine” o una Comunità dove contribuire al benessere in cambio di sicurezza e garanzie. Non volevo riprendere l’esempio degli squali, che non è una bella immagine, ma quella di una federazione di Stati grandi, forti e dove prospera il benessere si! Mi sembra che sia quella l’immagine dello stato che vorrei. Anche per i miei figli.
Tre + Cinque (spero) ragioni per restare investiti in un’ottica di medio periodo.
L’alternativa? Forse scendere dall’aereo! Ma ha senso?