Trent'anni di 118. Un nuovo ruolo per gli infermieri?
La nascita di un moderno sistema di emergenza sanitaria, capace di rendere professionale il soccorso e l’intervento nell’urgenza anche con l’impegno codificato degli infermieri italiani, avviene il 27 marzo del 1992, mediante il Decreto del Presidente della Repubblica "Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza". Questo atto produrrà, a sua volta, oltre a ricadute operative molto concrete, anche ulteriori testi normativi che la Gazzetta Ufficiale pubblica circa quattro anni dopo, nella stabilita intesa fra lo Stato e le Regioni, per il varo del "Sistema di emergenza urgenza - linee di guida n. 1/1996" (consultabile a questo link).
L’importanza di questa innovazione è ancora oggi evidente, anche dopo le ultime novità e cambiamenti. Esiste, infatti, sui singoli territori, un coordinamento centrale, in grado di gestire e muovere la operatività dei mezzi di soccorso, e questo ha ottimizzato i tempi ed i metodi degli interventi.
Inoltre – e questo è di certo l’aspetto più significativo – il sistema nel corso degli anni Novanta del XX secolo transitò da una spontanea gestione di volontaria organizzazione ad una attività professionalizzata.
Nella fase ‘’pre-1992’’ , infatti, in caso di necessità urgente un cittadino chiamava le associazioni di volontariato, che nelle varie Regioni hanno denominazioni diverse. Si va dalle Pubbliche Assistenze alle Misericordie, dai Volontari del Soccorso alle varie ‘’Croci’’; naturalmente, in quasi tutta Italia, era già operativa ed attiva la Croce Rossa Italiana.
Il cittadino componeva uno dei numeri di queste associazioni e di questi enti, e doveva sperare che ci fosse la possibilità di disporre di un mezzo di soccorso – e dei soccorritori – in tempi brevi. Chi interveniva era frequentemente un volontario, non sempre esperto, e pochi erano i dipendenti di queste realtà che, comunque, non erano in possesso di qualifiche professionali sanitarie, in quanto non richieste. Eccezioni parziali erano presenti nella Croce Rossa Italiana, e alcuni sanitari (infermieri, in particolare) offrivano prestazioni in volontariato in queste realtà.
Paradossale quanto accadeva in caso di incidenti stradali in città, quando più cittadini, attivando ognuno per proprio conto i soccorsi, provocavano l’attivazione di più ambulanze per un intervento dove, magari, capitava che il ferito fosse solo uno.
A proposito di incidenti stradali, un corso di formazione rivolto proprio ai soccorritori ‘’non professionali’’ del decennio precedente, prodotto nel 1980 dall’allora Ministero della Sanità, spiegava come il 40% di coloro che, vittime di infortunio stradale, riportavano lesioni permanenti da danno midollare erano in realtà vittime di soccorsi inadeguati. Sappiamo bene infatti che, prima di rimuovere un ferito ‘’impedito’’ in un'automobile incidentata, sono necessari passaggi particolari, che oggi vengono descritti e spiegati ai professionisti del soccorso in apposite sessioni formative.
L’introduzione del numero unico di soccorso (il ‘’118’’) ha avuto di certo importanti ricadute pratiche. Ha professionalizzato il soccorso e per questo la normativa ha coinvolto e ha citato in più passaggi l’infermiere, che si è trovato protagonista di un moderno sistema di emergenza in un contesto che lo vedeva ancora distante non solo dalla situazione attuale, ma anche dalle successive indicazioni che le linee guida del 1996 volevano attribuire a questo professionista.
Infatti all’infermiere era chiesto, pur nella applicazione di protocolli indicati dal responsabile del servizio, di ‘’comprendere’’ le caratteristiche dell’emergenza descritta nella chiamata e, inoltre, anche di stabilire le priorità per gli accessi alle strutture di pronto soccorso (attività di triage).
Un passaggio normativo del nuovo sistema rende bene l’idea della responsabilità prevista, quando descrive che cosa fa l’infermiere: ‘’Al personale infermieristico è attribuita responsabilità nell'ambito dei protocolli della Centrale e svolge funzioni di ricezione, registrazione e selezione delle chiamate, determinazione dell'apparente criticità dell'evento segnalato, codificazione delle chiamate e delle risposte secondo il sistema delle codifiche definito dal decreto del Ministro della sanità del 15 maggio 1992’’
Vediamo dove si collocavano le incongruenze. Nel 1992 (ma anche nel 1996) esisteva – a fotografare le prerogative dell’infermiere ‘’professionale’’ – il DPR 225 del 1974, che era un ‘’mansionario’’, un rigido elenco (già in quegli anni anacronistico, e lontano dalle reali attività esercitate dall’infermiere nelle sue giornate di lavoro) ovviamente del tutto privo di connessione con quelle funzioni previste da questo nuovo sistema di emergenza. In pratica, il nuovo testo chiedeva all’infermiere di ‘’ragionare’’ e di ‘’valutare’’ secondo la propria competenza, arrivando a ‘’determinare la apparente criticità dell’evento’’. Dunque, qualcosa che veniva richiesto a una figura che, nel sistema sanitario nazionale, rivestiva ancora la definizione di professionista sanitario ‘’ausiliario’’ e che, per le norme vigenti ‘’di base’’ della professione, non sembrava poter svolgere con questa chiarezza, ovviamente da un punto di vista normativo.
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Tuttavia, è proprio dopo i primi mesi del 1992, che vedono il 27/3 l’emissione del DPR citato ed il 15/5 l’uscita di un ulteriore Decreto del Ministro della Sanità in materia di emergenza, che qualcosa cambia.
Gli infermieri segnalano la necessità di nuove normative, anche per non trovarsi in un conflitto tecnico operativo fra decreti presidenziali (quello del 1974 e quello del 1992), con un testo che li vuole ‘’rigidi esecutori di disposizioni altrui’’ ed un altro che li vuole responsabili di decisioni in materia di selezione delle richieste di intervento in emergenza. A questo contrasto, una prima risposta si ha nella calda estate del 1994.
Il 1° luglio, a Roma, si trovano infatti in piazza oltre diecimila infermieri (in mezzo c’è anche qualche altra figura, ma sono piuttosto pochi coloro che non appartengono alla categoria); chiedono a gran voce l’ingresso della formazione in Università ed il varo di nuove normative dedicate.
Entrambe le richieste vengono accolte piuttosto rapidamente. Per quanto riguarda la formazione universitaria è ormai realtà consolidata; ma in particolare il 14 settembre dello stesso anno (cioè, in pratica dopo la pausa estiva) il Parlamento approva ben undici profili professionali di altrettante professioni sanitarie (in quel momento ancora ausiliarie), siglati dal Ministro della Sanità.
Ovviamente col DM 739 è varato anche il profilo della categoria, di quei professionisti che più di altri il 1 luglio avevano riempita la piazza. Gli infermieri hanno un ‘’profilo normativo’’ che chiaramente appare più moderno e allineato del comunque sempre vigente ‘’mansionario’’, che resterà in vigore ancora quasi cinque anni. Sarà necessario attendere, infatti, il 10 febbraio del 1999 per vedere il varo della Legge 42; una norma assolutamente innovativa, che porta la professione nella modernità, e procede ad abrogare il vecchio testo.
Si chiude l’epoca di una stretta e scritta gerarchia normativa; tutte le professioni sanitarie ausiliarie (non solo gli infermieri, ma anche le ostetriche e i tecnici, e le nuove professioni da poco ‘’ufficializzate’’ proprio con i profili varati in quel giorno di settembre del 1994) diventano ‘’professioni sanitarie’’.
È vero che per molto tempo è rimasta molta confusione in merito a questi cambiamenti normativi, a causa di molti problemi ed aspetti non solo esterni alla professione, sostenuti da chi non è stato sempre disposto a riconoscere la crescita della professione stessa; ma anche per limiti interni, dovuti a cattiva comunicazione e scarsa disponibilità, in alcuni, a rivedere abitudini consolidate.
Certamente la spinta tecnica a produrre il cambiamento delle norme, che nel decennio dal 1996 al 2006 ha originato molte nuovi disposizioni di legge dedicate alle professioni sanitarie, ha tratto un grande spunto dal primo DPR del 27 marzo 1992, che ha rinnovata l’architettura del soccorso in Italia. Questa modifica tenne conto, già allora, della riconosciuta competenza degli infermieri sul campo, e non di quello che era indicato nelle normative: altrimenti non sarebbero mai stati considerati tali.
Siamo completamente d’accordo con chi ritiene che il percorso non sia ancora completato, a distanza di trent’anni dal Decreto di riforma del soccorso. E più che d’accordo con chi sostiene che manchino ancora pezzi importanti, quando parliamo di riconoscimento nei confronti dell’infermiere: mancano proprio per questi stessi motivi qui ricordati, e qui limitati e relativi ad un solo settore.
Pochissimi giorni prima dell’emergenza pandemica in Italia, nel febbraio 2020, un incontro fra Presidenti delle Regioni ricordava questi passaggi e aspetti che FNOPI sollecita e sostiene da anni.
A tutti gli interlocutori istituzionali vanno ricordati i vantaggi a favore di tanti soggetti, in primis dell’utenza, che derivano dal riconoscere finalmente anche all’infermiere le specializzazioni che lo possono caratterizzare: questo naturalmente anche sul piano contrattuale, ed economico, oltre che operativo e quotidiano.