ultime news sui Buchi Neri, estratto da Physical Review Letters
Simulazioni al computer e nuove analisi dei dati di LIGO-Virgo confermano il teorema no-hair: i buchi possono essere descritti da due semplici parametri come la massa e lo stato di rotazione, senza ricorrere a complicati dettagli.
I buchi neri non hanno capelli. Non servono cioè complicati dettagli per descriverli, secondo una fortunata metafora coniata dal cosmologo Archibal Wheeler: bastano due semplici parametri come la massa e lo stato di rotazione. È quanto ha concluso un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Physical Review Letters” da Maximiliano Isi del LIGO Laboratory, Massachusetts Institute of Technology a Cambridge, e colleghi di altri istituti statunitensi.
Sembra così confermato il teorema no-hair, che prevede, sotto opportune ipotesi, che i buchi neri si comportino proprio come indicato dalla teoria generale della relatività di Albert Einstein. Per esempio, nel caso in cui due di essi si fondano per formare un buco nero di dimensioni gigantesche, viene emessa un’onda gravitazionale con una forma e un andamento nel tempo ben precisi, perché l’onda va scemando via via che il processo di fusione si completa. È un po’ come se il buco nero appena formato vibrasse come una campana, producendo un tono caratteristico.
Un ipotetico banco di prova per questo teorema è la rilevazione delle onde gravitazionali da parte dei due interferometri gemelli LIGO, negli Stati Uniti, e di Virgo, in provincia di Pisa. Finora però si pensava che, nonostante i successi degli anni scorsi, l’attuale generazione di questi strumenti non fosse abbastanza sensibili per rilevare quel tono.
Il problema è stato aggirato da Isi e colleghi, che hanno combinato una serie di simulazioni al computer di fusioni di buchi neri con una nuova analisi del primo segnale di onde gravitazionali rilevato direttamente, noto come GW150914, e attribuito proprio a quel tipo di evento catastrofico. L’analisi ha portato all’identificazione di due toni emessi in seguito al processo, toni le cui caratteristiche sono in linea con quanto prescrivono la relatività generale di Einstein e il teorema no-hair.
"In precedenza si riteneva che questi toni fossero troppo deboli per essere rilevati, ma ora siamo in grado di farlo", ha spiegato Will Farr, coautore dello studio. "Proprio come la misurazione degli spettri atomici alla fine del 1800 ha aperto l'era dell'astrofisica stellare, con la classificazione e la comprensione delle stelle, la rilevazione degli spettri del buco nero può aprire una nuova stagione per lo studio e la comprensione dei buchi neri e della relatività generale che ne costituisce la base teorica."
Gli autori sottolineano però che la precisione del test non è ancora sufficiente per trarre conclusioni definitive. Si aspettano quindi nuovi eventi di fusione di buchi neri per confermare le conclusioni dello studio. (red)