Un'​ Arte che "puzza"​

Un' Arte che "puzza"


Un “prodotto” che sia un vino o un’opera d’Arte è in qualche modo specchio del proprio tempo, da questo punto di vista non possiamo che definirli (con)temporanei.

Questo concetto può essere esteso anche a vini ed opere del passato che ancora oggi in qualche modo rappresentano il nostro gusto (inteso qui come sentimento).

Il segreto delle grandi opere è infatti questo essere sempre un po’ fuori dal tempo e insieme al tempo.

Lo so, sembra un indovinello della settimana enigmistica, ma una volta risolto, qualcosa sembra essere più chiara.

Ricordo il mio primo incontro/scontro con il Contemporaneo nelle aule dell’Accademia di Brera. Avevo diciotto anni e la testa piena di nozioni sul concetto di cosa fosse Arte e, lo ammetto, non andavano oltre l’avanguardia storica.

Mi si para così davanti un nuovo mondo, assolutamente sconosciuto e incomprensibile. Già, incomprensibile.

Mi ricordo di averlo sentito sulla pelle quel mistero. Mi sembrava di essere davanti ad un muro altissimo oltre al quale non sarei mai riuscita a vedere.

Ne ero quasi spaventata (avevo scelto l’indirizzo accademico giusto?) e ricordo di aver pensato: ma questa è Arte?

Per me quella era decisamente un’Arte che “puzzava”.

Poi, ecco, ricordo l’incontro fulminante con le opere di Joseph Beuys (lo so, lo cito sempre) e di Claudio Parmiggiani. È stato attraverso la loro arte che sono riuscita ad avvicinarmi pian piano al mondo del Contemporaneo, a capirne le dinamiche e il valore, a formarmi un gusto (inteso come preferenza estetica) a formare un mio personale senso critico in grado (a mio avviso, ovviamente) di discernere tra il “buono” e il “cattivo”.

Non diversamente è successo con il vino naturale.

Ma questo vino puzza!

Me lo ricordo come fosse ieri.

Ma poi, ecco, un giorno nel calice mi versano la Ribolla Gialla 2009 di Gravner. Ero seduta ad un tavolino all’aperto di un’enoteca sul corso di Vigevano. Non avevo idea di cosa mi avessero servito, avevo dato poche linee guida e poi finito con un: “Fate voi, il nome della cantina me lo dite dopo”.

Semplicemente, quello nel bicchiere era un vino “fatto bene”.

Era un vino in cui potevi trovare sfumature diverse ogni volta che avvicinavi il naso e in bocca, beh, in bocca era un delirio. Un sali e scendi continuo, un rincorrersi di sensazioni.

Se non avessi saputo in cosa consiste il concetto di biodinamica, avrei pensato ad un vocabolo per definire quel movimento di bocca.

Era vivo. Era vivo come erano vive le opere di Parmiggiani e Beuys.

È su questa energia, su questa vitalità che discrimino tra “bene” e “male”, tra ciò che mi piace e cosa no.

Poi, ok, alcuni vini naturali puzzano, e anche alcune opere d’Arte Contemporanea.

Ma i “prodotti fatti male" esistono in ogni categoria e in ogni tempo.

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