L'attimo delle considerazioni brevi

Il periodo di isolamento ti costringe in qualche modo a riallineare i pensieri prodotti in quel lampo di tempo in cui non sono riusciti a trovare uno spazio di collocamento e assestamento, a riappropriarsi di quesiti irrisolti, rimasti in sospeso per trovare le giuste risposte…, a riordinare cose rimaste alla rinfusa per farne una cernita adeguata recuperando solo ciò che può ritornare utile…

Non per fare, a detta di molti, il punto della situazione della propria esistenza, ché già fa parte del quotidiano….Quando si cammina, si guida o si viene trasportati, ci troviamo nella condizione di intercettare una serie di “agenti” ambientali esterni come rumori, odori, silenzi, paesaggi, cose che in qualche modo sommuovono l’animo umano restituendo stimoli nuovi tali da renderci comunque attivi, esseri pensanti e senzienti.

Anche in questo modo si interagisce ché qualsiasi elemento esterno al proprio sé finisce per coinvolgerci facendo provare emozioni di ogni tipo, poco importa se belle o brutte; la ricerca inconfessata di un appiglio da cui poter fare quel salto di qualità tanto agognato non va disattesa se di fronte all’ostacolo che si frappone, uno qualsiasi, rimane salda e tuttavia partecipe.

Un post dal sapore forse romantico o poetico questo che solo un periodo “anomalo” può far nascere così come chi adagiandosi nella culla della propria nostalgia fa affiorare un ricordo mai sopito.

Fa seguito alle riflessioni sia pur brevi ma doverose per stemperare le tensioni del periodo e proprio agganciandomi ad un mio vecchio punto interrogativo il focus sulla interessante osservazione del rapporto di disequilibrio che sussiste tra le due parole che seguono, solo in apparenza simili, certamente più nota l’una e molto meno l’altra; giustizia e giustezza rievocano concetti che ,infatti, si muovono su due livelli diversi di vedere come dover fare andare le cose verso noi stessi e gli altri; se si vuole propugnare un modello eticamente virtuoso, là dove la virtù morale somma si identifica con il dover perseguire il bene comune applicando principi universalmente riconosciuti, è il concetto di giustizia (justice) a prevalere come unico ed incontrovertibile; se invece la tendenza per chi ne ha la titolarità è quella di “aggiustare", applicando giudizi di valore validi solo per se stesso perché più convenienti in quel momento, ci si trova di fronte al concetto di giustezza (rightness) come plurimo e pur sempre incontrovertibile.

Riporto, pertanto, un esempio eloquente di Moules Frites che riferendosi ad un noto fatto storico così esordisce in un suo articolo del 2015 "Ultima ora Grecia: giustizia o giustezza" contenuto nel Blog "LENIUS":

“Tucidide racconta di quando gli antichi ateniesi, durante la guerra del Peloponneso, minacciavano di distruggere la piccola isola di Melo, poiché i Meli si erano ribellati all’egemonia della capitale dell’Attica sul mare Egeo. Pertanto Atene inviò una flotta di navi e i propri ambasciatori a esporre a Melo l’alternativa: accettare il dominio e salvarsi, o resistere, cosa che avrebbe causato l’assedio, la conquista e la distruzione della città. I Meli invocarono il diritto, cioè la “giustizia”. “Dissero infatti che uno stato non può soggiogarne un altro senza violare il diritto e commettere sopruso. Atene, la democratica, ma pur sempre la super potenza, rispose così: “Noi crediamo che per legge di natura chi è più forte comanda: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della stessa nostra potenza”. In pratica, il diritto e la giustizia si applicano fra pari. Ma se uno è più forte, domina a piacimento. È sempre stato così e voi fareste lo stesso. Questo è il concetto non di giustizia, ma di “giustezza”. Inesorabile. Melo non accettò, e la pagina di Tucidide si chiude con due laconiche righe: “gli Ateniesi uccisero tutti i Meli adulti che catturarono e resero schiave le donne e i bambini”.


  

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