Un avvocato d’affari all’assalto dello strapotere di Big Tech
Il presidente della Federal Trade Commission, l’Antitrust americano, mette sotto inchiesta Facebook e Amazon mentre il Dipartimento di Giustizia indaga su Google e Apple: è l’attacco finale su privacy e concorrenza
Eugenio Occorsio
Dall’esercizio più sofisticato di “psicometria” (la scienza che permette di prevedere gusti e preferenze basandosi sulle informazioni raccolte online) a una megamulta mai vista prima (si parla di cinque miliardi di dollari): a scommettere che questo sarà l’epilogo della corsa mozzafiato di Facebook sulle montagne russe della privacy è Joseph Simons, sessant’anni, avvocato d’affari di Washington nominato un anno fa da Trump presidente della Federal Trade Commission, l’autorità Antitrust. L’avvocato-presidente, che vive in una grande casa nei boschi della Virginia con la seconda moglie e i loro complessivi sei figli, ne ha fatto una missione, una ragione di vita. Lo scandalo Cambridge Analytica, è il suo mantra, non deve essere dimenticato ma reso l’occasione per un ripensamento sulla riservatezza delle informazioni nell’era dei social. Lo stesso atteggiamento inflessibile viene riservato a Google, il cui dominio nel mercato pubblicitario viene messo al vaglio, così come l’utilizzo che Mountain View fa della mole di dati personali di cui è in possesso.
il cambiamento
I primi a essersi resi conto che il vento sta cambiando sono ovviamente i capi di Big Tech, ma anche i legislatori di Washington. «Le leggi sono insufficienti – ricorda Simons – e vanno assolutamente riformate». Lo stesso statuto della Ftc, paradossalmente, è vecchio di più di cento anni (la fondazione è datata 1914) e ovviamente non è sufficiente per i tempi attuali. «Guardate all’Europa: sono molto più avanti di noi (e infatti già Bruxelles ha comminato diverse multe da centinaia di milioni, ndr) perché loro hanno il diritto in mente, noi il First Amendment (quello che garantisce la libertà d’espressione, ndr)», ha scandito Simons. L’artefice di questo cambiamento epocale di vedute gira instancabilmente per congressi, conferenze, assemblee: e sempre batte su questo punto. «Siamo i poliziotti della privacy impegnati in un defatigante gioco di guardie e ladri, e siamo stanchi che siano sempre i ladri a correre più forte», ripete ad ogni possibile occasione (la frase esatta l’ha detta l’11 aprile a un forum sulla privacy organizzato dalla stessa Ftc). «Intendiamo far valere la legge con tutti gli strumenti possibili», ha aggiunto come se ci fosse bisogno di chiarire il suo pensiero. Per rendere concrete le sue vedute, Simons ha installato presso la Ftc una task-force con 17 funzionari espressamente dedicata alla “tutela della privacy” che si aggiunge ai tre uffici in cui è tradizionalmente articolata l’authority: quello che la protezione dei consumatori, quello per la competizione e quello per la ricerca economica che serve da supporto agli altri due. Tutto questo senza dimenticare le altre missioni dell’Antitrust, a partire dall’abuso di posizione dominante, e proprio negli stessi giorni sono finiti nel mirino per tale motivo altri giganti dell’hi-tech, da Google per il mercato pubblicitario ad Amazon per l’e-commerce fino a Apple per le sue politiche anticoncorrenziali legate alla distribuzione dell’iPhone. I contraccolpi in Borsa sono immediati e pesanti: in una sola giornata, lunedì 3 giugno, i quattro Big dell’hi-tech planetaria hanno lasciato sul terreno 139 miliardi di capitalizzazione, e hanno trascinato al ribasso del 3% l’indice Nasdaq. La sola Facebook ha perso in una settimana oltre il 10% del valore. Simons vuole una revisione del pacchetto legislativo antitrust Usa delle cui imperfezioni c’è stato chi si è approfittato: oggi le competenze - dalla concorrenza alla privacy - sono ripartite in modo non immune da confusioni e conflitti, fra la Ftc e il Dipartimento di Giustizia. Il secondo è titolare della concorrenza e infatti indaga sul motore di ricerca (così come su Apple) ma anche la Ftc (che in questa curiosa ripartizione ha “in carico” anche Amazon) ha una sezione dedicata al rispetto delle condizioni di libero mercato. Non mancano sovrapposizioni e sgambetti reciproci, ed è in direzione di una razionalizzazione – che vuol dire efficienza – che si muove il Congresso.
le differenze
La differenza, in punta di diritto, è nella diversa natura delle due istituzioni: «La Ftc è un’autorità amministrativa, il Department of Justice ha una funzione giurisdizionale», ci spiega Alberto Pera, già segretario generale dell’Antitrust, avvocato specializzato in materia con una lunga esperienza americana. «Significa che la Ftc ha il potere di comminare sanzioni contro le quali la controparte propone appello, e allora si va in giudizio. Il Department invece svolge un po’ le funzioni di un pubblico ministero: fa le sue indagini e poi porta in giudizio l’azienda sotto accusa». In ogni caso, «le due istituzioni collaborano fra di loro, e la ripartizione di competenze di quest’occasione va sicuramente ricondotta alla complessità delle indagini e quindi al bisogno di concentrarsi ognuno su pochi casi concreti ripartendoseli», spiega Francesco Samperi, altro avvocato specializzato in materia nello studio LexJus Sinacta, all’inizio degli anni ’90 nella prima squadra antitrust italiana. «Il diritto americano è sofisticato e attento, seguendo i dettami della scuola di Chicago, a distinguere fra acquisizione di una posizione di monopolio, che non è reato, e abuso della stessa». Il Dipartimento di Giustizia ha poteri più penetranti, e non a caso Simons chiede al Congresso di ampliare quelli della Ftc. La maggior multa comminata dalla commissione a una tech company è stata di 22 milioni nel 2012 a Google per mendace rappresentazione di alcune funzioni online: in quell’anno il gruppo fatturò 50 miliardi.