(Un)fit for 55. Il Green Deal tra sogni (o incubi?) e realtà.

(Un)fit for 55. Il Green Deal tra sogni (o incubi?) e realtà.

Adesso fa paura. E quello che fino a ieri era "il" sogno, un domani non troppo lontano potrebbe rivelarsi un incubo. E dei peggiori. Catastrofismo a buon mercato? Non proprio. Forse è più corretto chiamarlo realismo. Parliamo ovviamente delle reazioni innescate dal varo, due giorni fa, da parte della Commissione Eu del cosiddetto "Green Deal", ossia delle misure legislative (al momento si tratta di proposte) con cui l'Europa punta ad abbattere del 55% le emissioni di CO2 entro il 2030 (cioè domani) ed alla neutralità carbonica entro il 2050. Reazioni da più fronti e ad ampio raggio (per tacere dei contrasti interni alla stessa Commissione), con in testa i governi di Italia e Francia, che hanno in particolare puntato il dito contro il costo sociale (qui inteso per cittadini e imprese) delle misure - in primis il meccanismo ETS e quello sui cosiddetti "dazi ambientali". In soldoni: c'è il rischio che la transizione ecologica cosiddetta comporti un conto da pagare non solo troppo elevato, ma che soprattutto possa trasformarsi in un boomerang. La strada verso un accordo si preannuncia lunga e irta di ostacoli. Staremo a vedere. Più interessante è invece notare come pian piano stiano venendo al pettine nodi peraltro ampiamente annunciati. Nodi su cui forse sarebbe stato auspicabile un supplemento di riflessione da parte del decisore politico. Che insomma la transizione ecologica non fosse (non sarà) un pranzo di gala si sapeva da tempo, e solo un cieco poteva (può) far finta di non accorgersene. Prova ne siano le tante voci critiche di chi, anche nel recente passato, ha sollevato domande non tanto sul cosa - l'obiettivo di contrastare il cambiamento climatico - quanto sul come, ossia sulla strategia da adottare. Quel che appare certo è che se Bruxelles non correggerà in fretta il tiro, rischiamo di ritrovarci come si suol dire "cornuti e mazziati", ossia con gravi ripercussioni sociali oltrechè sull'economia e sulla competitività delle imprese, e senza benefici tangibili anzi con impatti deleteri sull'ambiente. Tanto più se l'Europa - che, non ci stancherà mai di ricordarlo, è responsabile del 9% delle emissioni globali di CO2 e che ha fatto e sta facendo passi da gigante per ridurle - non sarà in grado di mettere in atto un'attenta quanto delicata moral suasion sullo scacchiere geopolitico, con l'obiettivo di tirare a bordo quei paesi che più di altri sono responsabili delle emissioni di CO2, Cina Usa e India in testa. Della serie: è pura utopia anche solo pensare di poter salvare il pianeta da solo. Anche perchè, e questo è l'altro corno della questione, non sono pochi neanche coloro che sostengono - dati alla mano e senza scomodare le solite dietrologie negazioniste da bar dello sport - che il pianeta non stia affatto sull'orlo del precipizio. Lo sostiene, ad esempio, Steven E. Koonin, fisico e docente alla New York University, ma soprattutto ex sottosegretario per la Scienza al Dipartimento dell'Energia dell'amministrazione Obama, dunque insopettabile di nutrire simpatie "negazioniste" in campo climatico (anche se ovviamente gli è stato fin da subito appioppato il relativo stigma solo per aver proposto una lettura del fenomeno climaticamente scorretta). In una conversazione con Tempi, l'autore di Unsettled. What climate science tell us, what it doesn't, and why it matters (Benbella Books, 2021), ha ribadito ciò che va dicendo da anni, e cioè che la scienza non è affatto così unanime come si vuole far credere circa la portata del climate change come pure sull'impatto dell'attività umana. E che a smentire la narrativa di un clima impazzito sono gli stessi dati dell'Onu e del governo Usa, con buona pace dello storytelling "allarmista" costruito ad hoc. Innanzitutto, va tenuto conto del fatto che i modelli climatici, nella misura in cui ampliano la gamma dei processi analizzati aumentando il grado di sofisticatezza, hanno una probabilità di errore maggiore. "Il punto - spiega Koonin - è che si indaga su effetti molti piccoli sul sistema: la dimensione dell'influenza umana in alcuni fenomeni è nell'ordine dell'1 per cento. Non sorprende che sia così complicato misurarla correttamente". Stando così le cose il rischio che un azzeramento delle emissioni di CO2 produca effetti risibili sul clima (essendo minimale l'impatto umano) a fronte di costi potenzialmente enormi, è qualcosa di più di una suggestione. Il tasto su cui batte Koonin è semplice (si fa per dire): è la stessa scienza a dirci che le cose stanno diversamente da come ci vengono raccontate. La questione non è se la temperatura del pianeta sia aumentata, o se l'oceano si stia riscandando, o ancora se l'influenza umana sul clima sia cresciuta per via dei gas serra. Nessun dubbio su questi come su altri fenomeni; il dubbio nasce quando si costruisce attorno a quel dato fenomeno una narrativa per cui, ad esempio, "la gente è indotta a pensare che l'oceano sia in ebollizione". Il che, appunto, è falso. Insomma, un conto è l'obiettivo di ridurre le emissioni climalteranti, obiettivo che Koonin sposa in pieno; tutt'altra faccenda è approntare strategie che, partendo da una rappresentazione distorta e distorcente della realtà, rischiano di produrre effetti ben peggiori della malattia che vorrebbero curare. Ben peggiori, tanto per restare sui numeri, dell'impatto sull'economia globale del riscaldamento climatico stimato dall'Ipcc (Intergovernmental panel on climate change, ndr) e riportato da Koonin nel suo libro: "...l'Ipcc ritiene che se la temperatura si alzasse di 3 gradi, ossia molti di più dell'obiettivo di 1,5 fissato dagli Accordi di Parigi, di qui al 2100 l'economia globale ne risentirebbe negativamente per - attenzione - il 2-3 per cento". Chi ha orecchi per intendere, intenda.

RENATA NEGRI

Coinvolta in divulgazione tematiche

3 anni

Per favore potresti aiutarci con un tuo pezzo adatto target studenti www.museoenergia.it

Ettore Carcione

Product Champion & Quality Assurance Manager presso GEOLOG

3 anni

Rimembrando le parole magnifiche di un cantautore italiano amato da sempre...... perché il pubblico è ammaestrato e non fa più paura......

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