Use and Knowledge

Use and Knowledge

In una pubblicazione del 2017, Ermanno Bencivenga si chiede se si sia smarrito il senso, ma anche il piacere di ragionare. L’ipotesi adombrata nel suo libro “La scomparsa del pensiero”, mette il dito su abitudini ormai affermate e consolidate al punto da diventare una crosta sottopelle naturale e soprattutto inconscia. 

Chi mai perderà tempo a ragionare su come spiegare il luogo di un appuntamento, quando con un semplice tocco sullo smartphone può inviare la propria posizione?

Alcuni decenni prima di Bencivenga, quando la precisione della navigazione oceanica era ancora affidata alla conoscenza della geografia e all’uso del sestante, Isaac Asimov mette sotto gli occhi di un incredulo deputato Brant un omino pluriscartato alle selezioni, ultimo degli ultimi tra i programmatori, ma unico nel saper correttamente moltiplicare i numeri senza usare la calcolatrice. Per Brant è magia.

Il racconto “The Feeling of Power” di Asimov del ’58 è stato probabilmente letto anche dagli estensori della EASA AMC1 ORO.FC.115, Crew resource management (CRM) training, che a proposito dell’automazione hanno sentito la necessità di specificare due esigenze d’insegnamento e di apprendimento: use and knowledge. [CRM training, (F), Training Elements, 1 (i)].

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Proprio quell’”AND” tra le due parole “use and knowledge” suscita interesse. Le domande a valle di quell’”AND” sono numerose e tornano purtroppo alla ribalta ogni volta che un incidente ne dà il pretesto.  

L’uso di un FMS appare banale (c’è chi sbuffa per la sua lentezza), ma qual è il knowledge necessario per usarlo o per saperne fare a meno? Come essere certi che in caso di necessità sia possibile risvegliare, in un battito di ciglia, quel sapere assopito dall’uso giornaliero di un’automazione quasi infallibile?

Il mondo accademico usa catalogare knowledge in vario modo (implicito, esplicito, tacito, fattuale, concettuale, procedurale, metacognitivo, etc.), ma tra le tante definizioni e categorizzazioni una sembra meglio di altre adattarsi all’uso dell’automazione: knowledge è il fatto o la condizione di essere consapevole di qualcosa. Quella consapevolezza che quando smarrita è citata spesso, troppo spesso, a valle di un incidente aereo.

Come se il tempo disponibile non fosse stato sufficiente per richiamare alla memoria quelle tecniche del pensiero utili a produrre le scelte auspicate. Pretendere il risveglio, quasi come in un automatismo, del knowledge necessario a risolvere la contingenza del momento si è spesso rivelata una teoria smentita dalla pratica.

L’abitudine a ragionare perde ogni giorno la sua battaglia contro l’abitudine a usare.

Uso e knowledge dell’automazione pretendono tecniche e tempi di insegnamento e di apprendimento che non possono andare di pari passo. Il superamento di un corso di transizione che insegna l’automazione dimostra di aver acquisito l’abilità ad usarla, ma non può, per forza di cose, aver generato adeguato knowledge, quell’interiorizzazione di conoscenze dell’automazione che si è imparato ad usare. Considerare quell’”AND” come un traguardo raggiungibile negli stessi tempi dedicati ad un corso di transizione è una contraddizione in un’industria che non riesce a mettersi d’accordo sui colori dell’FMA.  

L’esigenza di continuare ad insegnare e imparare a ragionare in proprio, piuttosto che tramite le macchine, è una condizione alla quale non si deve rinunciare, perché è proprio la capacità di pensare che aiuta ed è pretesa nei momenti più difficili.  

«Ha scelto un atterraggio basso e piatto, la cosa peggiore che potesse fare nei trenta secondi di cui disponeva per decidere. E se per un uomo qualsiasi trenta secondi sono un attimo, per un comandante d’aereo rappresentano un’eternità.»

(Dichiarazione di un magistrato a proposito dell’incidente del Dornier 328 a Genova, 1999. La Nuova Sardegna, 18 gennaio 2003). 

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