Vendere servizi come prodotti e i servizi che vendono prodotti
Quando ci rivolgiamo ad un avvocato, gli chiediamo di farsi carico di un nostro problema legale, di individuare delle possibili soluzioni ed eventualmente di rappresentarci nelle sedi opportune.
Quando cerchiamo un architetto, lo facciamo perché traduca in uno spazio abitativo la nostra idea di casa o ambiente di lavoro.
Quando andiamo da un medico, ci aspettiamo che sappia interpretare i nostri sintomi e ci indichi una terapia.
Le parole e i loro consigli hanno un preciso valore di mercato, sancito peraltro da onorari codificati.
Quando ci rivolgiamo ad un farmacista, alle nostre domande ci viene risposto con l’illustrazione di alcuni prodotti da acquistare.
Hai il mal di gola?
Puoi scegliere fra un spray disinfettante o delle caramelle emollienti, meglio tutti e due così guarisci prima. Visto il periodo, sarebbero perfette anche delle mascherine particolarmente protettive che oggi, guarda caso, sono in offerta: te ne metto in conto una confezione?
Questo mal di gola è un problema momentaneo o ricorrente? E’ costante nel tempo o più acuto in determinati momenti? Stai già assumendo dei farmaci o comunque hai qualche patologia cronica?
Non serve chiederlo e non è importante saperlo, fa solo perdere tempo prezioso; vince il collega che riesce a vendere più prodotti, magari di private label, possibilmente particolarmente costosi (e remunerativi).
Va tutto benissimo, però questo approccio non ha nessun valore di mercato e non ne avrà mai perché c’è già il prodotto a dominare la transazione economica.
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Abbiamo però due problemi non da poco: da una parte stiamo andando verso un valore minimo dei prodotti (in molti paesi del nord Europa, siamo ad un centesimo per unità posologica dei farmaci più comuni) e dall’altra non abbiamo una professione da vendere perché l’abbiamo confusa con il processo stesso di vendita.
La situazione si fa sempre più complicata, aggravata ulteriormente dalla spasmodica ricerca di sempre nuovi settori di mercato nei quali allargarci, trattandoli, però, come l’ennesimo prodotto da presentare ad una clientela sempre più confusa, dispersa, irrequieta, sostanzialmente insoddisfatta.
Non metto minimamente in dubbio che esistano farmacie enormi che rendono tantissimo offrendo di tutto e di più, tuttavia la mia attenzione è rivolta alle piccole realtà indipendenti che non possono (e non vogliono) competere con megastore da 1200 (milleduecento) metri quadrati come quello in provincia di Pisa.
L’unica alternativa possibile, a mio avviso, è posizionarsi all’estremo opposto: se non non c’è partita per area, per offerta, per prezzi devi puntare sulla focalizzazione, sulla specializzazione, sull’eccellenza.
Primo punto.
Se sei piccino NO SELF SERVICE, MAI.
O punti sui prodotti o sul servizio, e servizio significa farmacisti preparati, competenti, motivati, capaci.
L’esposizione deve solo suggerirei le aree di competenza, non può dare la possibilità alla clientela di servirsi da sola e questo per due motivi: è il lavoro che giustifica il prezzo (se deve fare tutto da sola perché dovrei pagare di più?) e l’interazione obbligatoria con un professionista che non si limiti solo a battere lo scontrino permette di ottenere i migliori risultati senza dover ricorrere a strategie di vendita particolari.
O siamo la gastronomia di extra lusso o il supermercato popolare: la scelta peggiore è il “vorrei, ma non posso”, un po’ così e un po’ cosà, senza una logica precisa né un’idea definita.
Prima conseguenza: se punti sul servizio hai bisogno di un numero adeguato di collaboratori perché dei due l’uno, o la merce si vende da sola o servono più persone per selezionare e indicare i prodotti giusti ai pazienti giusti