“What will we take from this year?”
Fra spunti, cittadinanza, aziende e pressioni
L’altro giorno ho letto un articolo del Financial Times a firma di Henry Mance, intitolato “What will we take from this year?”. Si tratta, in estrema sintesi, di una riflessione magistrale rispetto al dilemma “Cambieremo dopo la pandemia o torneremo alla ‘vecchia’ normalità?”.
L’articolo include paragoni storici e ragionamenti che al sottoscritto appaiono lapalissiani, da cui sorgono quattro rapidi punti:
- La prima lezione impartitaci dal COVID-19, che ancora pare non essere stata compresa, è: “se maltratti la natura, questa ti colpirà”. Sembra che molti, fra i governanti e nel business, così come fra la gente comune, non colgano un concetto basico: noi abbiamo bisogno del Pianeta per sopravvivere e prosperare, ma il Pianeta non ha bisogno dell’umanità per andare avanti. Forse è arrivato il momento di smetterla di comportarci come se fossimo un parassita e iniziare ad agire per quello che siamo, ossia parte del Pianeta. E non per mero ambientalismo o ecologismo radicale, bensì per un fatto particolarmente lineare: andando avanti così rischiamo l’estinzione, tutti, e difficilmente ci saranno Stati o imprenditori o furbi vincitori, perché la natura non si regola sulle nostre disposizioni e non gioca sulle linee di confini statali artificiali creati unicamente da noi e per noi. Come scrive l’autore: “Our degradation of ecosystems and our livestock farms will continue to create pandemics unless we change what we eat and consume”.
- I cambiamenti climatici sono un problema: popolazioni che devono fuggire dai propri territori per mancanza di risorse naturali o per la progressiva scomparsa – letteralmente – del proprio territorio; coltivazioni devastate annualmente da eventi sempre più estremi, specie in Italia; clima progressivamente più caldo che rischia di amplificare la diffusione di pandemie [come ricordato sistematicamente dagli esperti].
- In un contesto del genere, continuare a ignorare le grandi questioni sociali – disuguaglianze economiche, sprechi, povertà alimentare, polarizzazione, accesso alle risorse – rappresenta un problema che non farà altro che dare spazio a violenze e tensioni e, per quanto riguarda le democrazie, al rischio di presa del potere da parte di c.d. populisti o demagoghi autoritari. In questo senso, la cooperazione internazionale è cruciale, così come la volontà politica di aggredire le problematiche interne ai vari Paesi – in primis l’Italia – che si trascinano da troppi decenni e rischiano di diventare “alcol sul fuoco”.
- Bisogna accelerare pesantemente la transizione energetica e digitale dell’economia e della società. Le energie fossili sono quanto di più dannoso vi sia per l’ambiente – e l’ambiente siamo noi – e rappresentano ancora la maggior parte delle risorse impiegate per trasporti, edilizia pubblica e privata, industria; ridurne drasticamente l’utilizzo abbatterebbe il nostro impatto ambientale. Costerà, ovviamente, ma i soldi non sono utili se non c’è più un pianeta in cui spenderli.
Ora, la questione primigenia: che cosa può fare il cittadino comune?
In un regime autoritario, non è questa la sede per trattare il tema.
In una democrazia, la faccenda è più semplice: i politici hanno bisogno dei voti. Più si fa sentire la voce dei cittadini, più i politici – tendenzialmente – ascoltano.
Ciò si concretizza nell’azione individuale, poiché il dovere elettorale di un cittadino non si esaurisce con il voto in cabina, bensì anche e soprattutto dopo aver votato, nel rapporto con i propri eletti, nel seguirne le attività e “stando addosso”, ossia scrivendo e interpellando gli stessi sulle tematiche che stanno a cuore. Nell’era dei social e della visibilità, questo aspetto è particolarmente tenuto in considerazione dalla politica.
Tuttavia, l’individuo da solo arriva fino a un certo punto, ma è qui che entrano in gioco associazioni, organizzazioni, fondazioni, movimenti, tutto quell’universo di voci collettive che riescono a fare pressione sui governanti a qualsiasi livello.
Lo stesso ragionamento vale per il settore privato, che ha bisogno dei consumatori. Oggi, i consumatori non sono passivi, possono condizionare concretamente le decisioni delle aziende, così come aziende innovative o guidate da manager di prima qualità possono collaborare sia con i cittadini sia con i governanti per migliorare determinate policy.
Non bisogna infatti cadere nella trappola della disillusione: è vero, i problemi sono tanti e complessi, soprattutto in Italia, ma la speranza ci deve sempre essere. Semplicemente, la speranza da sola non basta, bisogna anche agire, e gli esempi in tal senso sono innumerevoli: giusto o sbagliato che fosse, sono state le firme di centinaia di migliaia di cittadini a contribuire al blocco del TTIP fra Unione europea e Stati Uniti, così come sono state le pressioni dei cittadini a contribuire all’avanzamento dei diritti sociali, civili e politici di minoranze e lavoratori, dalle battaglie sindacali a quelle per il riconoscimento del voto alle donne all’uguaglianza – quantomeno formale – fra etnie diverse.
La voce della popolazione e dei privati, in una democrazia, conta. Se ben convogliata, organizzata e strutturata, cambia anche le politiche.
Il COVID-19 ci sta impartendo una lezione severa, ma nelle democrazie la responsabilità di trasformare questa crisi in un punto di partenza per un profondo ripensamento delle nostre strutture sociali ed economiche non ricade solo in capo ai politici, bensì a ogni singolo individuo.
Officer - Transport Policy
4 anniottimo come al solito