Oggi sulla newsletter Areale mi interrogo su che ruolo ha deciso di avere l'Europa a COP29. Dalla società civile europea è arrivata questa sferzata: «Se i leader europei sono seri nel loro impegno di non arretrare dal Green Deal, devono fare passi concreti. L'UE si presenta come un leader del clima e una costruttrice di ponti, ma non stiamo vedendo niente di tutto questo».
È finita la parte tecnica ed è ricominciata quella politica, con i ministri in arrivo per condurre la nave in porto. Per un attracco sicuro serve una stiva con 1300 miliardi di dollari. Nel 2023 l'Europa ha tagliato le emissioni dell'8%, ma nel resto del mondo continuano ad aumentare. Per chiudere questo gap servono soldi, che per ora non si trovano.
Con gli USA nelle condizioni che sappiamo, e il mondo dilaniato da crisi, COP29 per l'Unione Europea sarebbe la grande occasione per cementare l'unica leadership che può ancora vantare nel mondo, quella dell'impegno climatico, frutto del gran lavoro fatto col Green Deal. Invece a Baku sta accadendo l'opposto, e sta montando insoddisfazione sull'incapacità di giocare un ruolo da protagonista. Il capo negoziatore Hoekstra finora si è rifiutato di rendere chiara l'unica cosa che il resto del mondo vuole sapere: fin dove è disposta a spingersi l'Unione, cosa propone, quanti soldi e a che condizioni.
Se non si troverà un compromesso su cifre e condizioni, centinaia di paesi non potrebbero rinnovare al rialzo gli impegni previsti dall'accordo di Parigi, che scadono nel 2025. L'obiettivo dell'UE è allargare la platea dei donatori. «Alcuni paesi sono diventati ricchi negli ultimi trent'anni, da quella ricchezza derivano anche responsabilità», ha detto Hoekstra, parafrasando il motto di Spiderman sul potere e le responsabilità.
Tradotto: siamo disposti a impegnarci solo se Cina, Arabia Saudita, Qatar, Emirati rinunciano allo status (e al privilegio) di paesi in via di sviluppo, «visto che sono più ricchi di quasi tutti i paesi dell'UE», e si impegnano al nostro fianco nel trasferire soldi per la crisi climatica. Una posizione ambiziosa e ragionevole, il punto è che all'Europa manca la forza per ridisegnare così a fondo la mappa del mondo. Non può farlo senza NDC aggiornato, divisa e distratta dalle cruente audizioni per i commissari. E il fatto che ci troviamo in Azerbaijan sembra pensato per stanare l'UE, che propone al mondo di abbandonare l'uso dei combustibili fossili ma lo deve fare sul suolo di un paese al quale ha disperatamente chiesto di aumentare la produzione del gas.
Il presidente azero Aliyev ha avuto gioco facile nel dire che per lui petrolio e gas sono doni di Dio, ma che quei doni hanno degli acquirenti e che quegli acquirenti siamo noi. C'è una sola cosa su cui le parti divise invece concordano: l'appello al G20 per sbloccare la situazione. «Chiediamo un segno», ha chiesto il presidente della COP Babayev. A questo punto suona quasi come una preghiera, chissà se allo stesso dio che eroga idrocarburi.