Per molte persone, la notte rappresenta un rifugio, un momento per recuperare energia e stabilità emotiva. Tuttavia, per chi soffre di incubi ricorrenti, il sonno può trasformarsi in un’esperienza tormentata che compromette la salute mentale e fisica. Cosa sappiamo sugli incubi? - Gli incubi sono comuni nei bambini (25%-30% ne soffre almeno una volta al mese) ma possono persistere nell’età adulta, con circa il 5% delle persone colpite da disturbo da incubi. - Per le persone con disturbi come ansia o PTSD, la frequenza degli incubi può arrivare fino al 70%. - Gli incubi non sono solo un fenomeno notturno: disturbano il sonno, riducono la capacità di regolare le emozioni e, nei casi più gravi, sono associati a un aumento del rischio di suicidio. Gli incubi non sono solo manifestazioni casuali del subconscio. Secondo gli esperti, rappresentano un tentativo del cervello di elaborare emozioni difficili o traumi irrisolti. Tuttavia, molte persone non ne parlano, e i medici di base spesso non sono formati per affrontarli adeguatamente. Questo è un problema, considerando che gli incubi possono segnalare problemi emotivi profondi, come il lutto, la perdita o la paura del rifiuto. Cosa possiamo fare come professionisti della salute mentale? - Dare maggiore attenzione agli incubi durante le valutazioni cliniche, riconoscendone l’impatto sulla qualità della vita. - Formare più professionisti su tecniche come l’IRT o terapie di riscrittura, utili sia per traumi legati al PTSD sia per incubi cronici non traumatici. - Sensibilizzare il pubblico sul fatto che gli incubi non devono essere affrontati in silenzio. Il sonno è la base della salute mentale e fisica. Parlare di incubi non è un segno di debolezza, ma un passo verso un maggiore benessere. Credits by: APA #psicologia #ilfattoreumano #coaching #benesserepsicologico #selfempowerment #psicologiadellavoro #psicologiaorganizzativa #incubi #sonno
Il Fattore Umano - Management Coaching and Consulting
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Non eroghiamo semplicemente corsi di formazione, creiamo contesti che facilitano l'apprendimento, utilizzando tutti gli strumenti e le risorse disponibili: una progettazione su misura che mette in campo più fattori di efficacia per raggiungere gli obiettivi meglio, più rapidamente e mantenerli nel tempo.Parliamo di crescita personale, comunicazione, cambiamento e rinnovamento, perché per essere veramente noi stessi dobbiamo essere il meglio di noi stessi. Per chi non si stanca mai di esplorare se stesso e vede in ogni esperienza un’occasione di crescita, per chi sa che fallire fa parte del processo di apprendimento e per chi crede al valore della curiosità come scelta.
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Sapevi che sentirsi apprezzati a casa può influenzare il modo in cui i leader si comportano al lavoro? Una recente ricerca ha dimostrato che i leader che riflettono sull'apprezzamento ricevuto dalla propria famiglia tendono a essere più di supporto, empatici e disponibili nei confronti dei propri dipendenti. Tre studi condotti da Jasmine Hu, Daniel Kim e Klodiana Lanaj hanno rivelato che: - La gratitudine familiare riempie il “serbatoio emotivo” dei leader, migliorando la loro capacità di supportare e responsabilizzare il team al lavoro. - Sentirsi utili e riconosciuti a casa soddisfa bisogni psicologici fondamentali come autonomia, competenza e connessione. - Leader che riflettono sugli impatti positivi nella loro famiglia mostrano comportamenti più collaborativi e aperti anche con i colleghi e dipendenti. 👉 Cosa significa questo per i leader? Ritagliarsi del tempo per vivere pienamente la propria vita familiare non è solo importante per l’equilibrio personale, ma ha effetti positivi diretti anche sull’efficacia professionale. Il lavoro e la vita privata non sono così separati come spesso crediamo: il supporto emotivo che riceviamo dai nostri cari può migliorare il modo in cui interagiamo con il nostro team. 👉 E per le famiglie? Anche i leader più esperti e di successo al lavoro traggono forza dalla fiducia, dall’amore e dal riconoscimento dei propri cari. Mostrare gratitudine e apprezzamento a casa può fare una grande differenza nella loro vita quotidiana. Ricordiamoci che la gratitudine non è solo un gesto momentaneo, ma può trasformarsi in una forza duratura che influenza positivamente noi e chi ci circonda, sia a casa che al lavoro. Credits by: Greater Good #psicologia #ilfattoreumano #coaching #benesserepsicologico #selfempowerment #psicologiadellavoro #psicologiaorganizzativa #Leadership #Gratitudine
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Una nuova ricerca esplora come l'introversione influenzi la capacità di godersi i piccoli momenti di felicità e di affrontare lo stress. Solitamente, gli estroversi cercano e apprezzano le piccole gioie della vita, come una chiacchierata o una passeggiata veloce, mentre gli introversi sembrano avere un atteggiamento diverso. Lo studio condotto dalla Pennsylvania State University ha rivelato che gli introversi vivono meno "momenti positivi" ("uplifts") e li percepiscono come meno intensi rispetto agli estroversi. Principali risultati dello studio: - Gli introversi hanno segnalato solo 15 momenti positivi in 14 giorni, rispetto ai 19 delle persone estroverse. - Sebbene abbiano vissuto meno momenti positivi, anche gli introversi li hanno valutati positivamente, ma con meno intensità. - Fattori come ansia, depressione e nervosismo influenzano la percezione di questi momenti, mostrando come la salute mentale si intrecci con la personalità nel modellare le nostre esperienze quotidiane. Utilizzando un metodo innovativo (Ecological Momentary Assessment), lo studio ha dimostrato che gli introversi tendono a concentrarsi sul proprio mondo interiore, rischiando di perdersi le piccole gioie quotidiane che aiutano a ridurre lo stress. Questo focus interno, pur proteggendoli dai problemi esterni, potrebbe limitarli nell’abbracciare le esperienze positive della vita. Riconoscere che anche i piccoli momenti apparentemente insignificanti—come un sorriso o un tramonto—possono avere un impatto positivo sulla salute mentale è il primo passo. Con uno sforzo consapevole per notare e apprezzare queste esperienze, gli introversi possono migliorare il loro benessere e aumentare la resilienza. In un mondo in cui il bilanciamento tra negativo e positivo è fondamentale, trovare gioia nei piccoli momenti della vita è essenziale per stare bene. Credits by: Psychology Today #psicologia #ilfattoreumano #coaching #benesserepsicologico #selfempowerment #psicologiadellavoro #psicologiaorganizzativa #Introversione
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Studi recenti hanno suggerito una connessione interessante tra la partecipazione a corsi di formazione e una riduzione significativa del rischio di sviluppare la demenza. Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto per lo Sviluppo, l'Invecchiamento e il Cancro dell'Università di Tohoku, in Giappone, coloro che prendono parte a corsi di formazione durante l'età adulta hanno un rischio inferiore del 19% di sviluppare demenza. I risultati hanno mostrato che chi partecipava attivamente a corsi di formazione manteneva attive le capacità cognitive nel tempo, in particolare nell'ambito del ragionamento non verbale e dell’intelligenza fluida. Il beneficio non sembrava essere legato a condizioni preesistenti come malattie cardiovascolari o diabete, il che suggerisce che l’effetto protettivo è indipendente da altre patologie. Gli autori dello studio ipotizzano che l'attività intellettuale continua possa stimolare il sistema nervoso e rallentare i processi di invecchiamento cerebrale. Sebbene lo studio non dimostri una relazione causale diretta, i ricercatori sono convinti che un'ulteriore esplorazione, magari attraverso studi clinici randomizzati, possa confermare questi risultati. La partecipazione a corsi di formazione non è solo un modo per sviluppare nuove competenze professionali o soddisfare curiosità personali, ma potrebbe rivelarsi un’importante strategia di prevenzione contro il declino cognitivo e la demenza. In un mondo sempre più dinamico, continuare a imparare potrebbe essere uno dei modi migliori per proteggere il nostro cervello, mantenendolo attivo e impegnato. Credits by: NeuroscienceNews #psicologia #ilfattoreumano #coaching #benesserepsicologico #selfempowerment #psicologiadellavoro #psicologiaorganizzativa
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Quando affrontiamo problemi complessi o attività che richiedono pensiero creativo, spesso tendiamo a immergerci completamente nel lavoro, sperando che una concentrazione continua ci porti alla soluzione migliore. Tuttavia, una ricerca pubblicata su *Organizational Behavior and Human Decision Processes* rivela che alternare regolarmente due compiti a intervalli prestabiliti produce risultati più innovativi rispetto a decidere autonomamente quando cambiare attività o concentrarsi su un compito per metà del tempo disponibile. Quando lavoriamo su problemi che richiedono creatività, spesso non ci accorgiamo di essere bloccati in schemi di pensiero rigidi. Continuiamo a proporre idee che, anche se sembrano nuove, in realtà non si discostano molto dalle precedenti. Questo fenomeno ci fa sentire produttivi, ma in realtà limita la nostra capacità di esplorare soluzioni originali. Al contrario, fare pause regolari ci consente di “resettare” il cervello: tornare su un’attività con occhi nuovi ci aiuta a vedere connessioni che prima ci sfuggivano. Come applicare questo metodo alla giornata lavorativa? 1. Alterna due attività ogni 20-30 minuti. Quando il timer suona, cambia compito, anche se pensi di essere "nel flusso". 2. Durante le pause svolgi attività semplici e diverse, come sistemare la scrivania, controllare le email o fare una breve camminata. 3. Ascoltati, ma con metodo: anche se sembra controintuitivo, cambiare attività regolarmente è più efficace che affidarsi al proprio istinto. Saltare la pausa pranzo o continuare a lavorare anche quando sei bloccato non ti renderà più produttivo; anzi, rischi di perdere lucidità. Fermarti potrebbe essere la scelta migliore per raggiungere risultati migliori e soluzioni più innovative. 🎯 Un esercizio per iniziare? La prossima volta che hai due attività creative da affrontare, prova a stabilire degli intervalli regolari e misura i risultati. Potresti sorprenderti di quanto questo approccio migliori la performance! Credits by: HBR #psicologia #ilfattoreumano #coaching #benesserepsicologico #selfempowerment #psicologiadellavoro #psicologiaorganizzativa
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A volte succede di rimanere bloccati nelle nostre convinzioni, ignorando le informazioni preziose che ci chi circonda ha da offrirci. La chiave per accedere a questa saggezza nascosta è coltivare la curiosità e imparare a fare le domande giuste. Ecco 5 consigli per iniziare: 1️⃣ Scegliere la curiosità Tutti noi raccontiamo a noi stessi storie su ciò che accade intorno a noi. Ad esempio, pensiamo che un amico non risponda ai messaggi perché è arrabbiato, o che un collega sia svogliato perché lascia il lavoro in sospeso. Questi “loop di certezza” ci portano a giudicare invece di cercare risposte. 2️⃣ Ambiente sicuro Le persone condividono solo se si sentono sicure. Per incoraggiare l'onestà, evitiamo giudizi, reazioni negative o atteggiamenti difensivi. Dimostriamo di essere aperti all'ascolto e di non ritenerli responsabili delle nostre emozioni. 3️⃣ Porre domande di qualità Non tutte le domande aiutano l'apprendimento. Spesso si fanno domande per accusare o dimostrare un punto di vista. Invece, le domande di qualità invitano alla riflessione e mostrano un interesse genuino, ad esempio: - Cosa ti interessa di più in questa situazione? Qual è il tuo pensiero dietro questa scelta? 4️⃣ Ascoltare Spesso pensiamo di ascoltare, ma in realtà stiamo solo aspettando il nostro turno per parlare. Ascoltiamo ciò che la persona sta dicendo, senza controbattere. Prestiamo attenzione non solo al contenuto, ma anche alle emozioni e alle intenzioni per cogliere ciò che la persona vorrebbe da noi: rassicurazione, sostegno, collaborazione? 5️⃣ Riflettere e riconnettersi Dopo aver ascoltato, riflettiamo su quanto abbiamo appreso. Infine, torniamo dall'altro per condividere ciò che abbiamo capito e i nostri prossimi passi. Questo non solo rafforza il legame, ma dimostra la voglia di costruire una collaborazione più profonda. Imparare dagli altri è un'abilità trasformativa. Quando ci apriamo alla curiosità, creiamo spazi sicuri e poniamo domande autentiche, possiamo sbloccare nuove idee, migliorare le relazioni e crescere in modi inaspettati. Credits by: Greater Good #psicologia #ilfattoreumano #coaching #benesserepsicologico #selfempowerment #ascolto
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Le relazioni dovrebbero essere fonte di crescita e supporto reciproco, ma a volte il desiderio di vicinanza si trasforma in possessività, intralciando l’indipendenza dell’altro. Gesti come controllare il telefono del partner, fare scenate di gelosia o imporre restrizioni possono erodere il legame anziché rafforzarlo. Spesso, sentimenti di insicurezza, bassa autostima o paura del rifiuto spingono le persone a cercare di controllare il partner. Questi sentimenti affondano le radici nel passato, specialmente in modelli di attaccamento sviluppati nell’infanzia. Se non affrontati, rischiano di sabotare la relazione. Come fermare il ciclo della possessività? 1. Crea una solida autostima – Impara a riconoscere il tuo valore al di là della relazione. Sei forte e capace da sola. 2️. Resisti ai comportamenti controllanti – Evita azioni come sorvegliare o imporre regole. Questi gesti allontanano il partner e alimentano la tua ansia. 3️. Accetta il tuo passato - Comprendere le origini delle tue insicurezze è il primo passo per liberartene. La terapia può essere uno aiuto prezioso. 4. Gestisci l’ansia – Tecniche di mindfulness o esercizi di respirazione possono aiutarti a mantenere la calma senza agire in modo impulsivo. 5. Combatti il tuo “critico interiore” – Identifica quella voce dentro di te che alimenta paure irrazionali e sfidala. 6️. Investi nella tua vita – Dedica tempo a ciò che ti appassiona. Una vita ricca di esperienze personali ti rende più sicuro/a e attraente. 7️. Comunica in modo aperto – Parla con il partner delle tue insicurezze senza accusarlo. Essere vulnerabili promuove la connessione e la comprensione. Fidarsi significa dare al partner la libertà di scegliere di restare. Solo in questo modo possiamo davvero sapere che siamo amati per quello che siamo, non per imposizione. Coltivare la propria indipendenza, migliorare l’autostima e valorizzare il legame autentico sono passi fondamentali per relazioni durature e appaganti. Credits by: Psychology Today #psicologia #ilfattoreumano #coaching #benesserepsicologico #selfempowerment #relazioni #giornatacontrolaviolenzasulledonne #Relazioni
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Comunemente si pensa che le emozioni difficili debbano essere escluse dal contesto lavorativo, specialmente per i leader, che dovrebbero apparire sempre sicuri e positivi. Ma la realtà è diversa: ogni persona, per quanto competente, sperimenta internamente insicurezze o paure. Quando i leader si lasciano sopraffare dalle emozioni negative o cercano di sopprimerle, rischiano di “rimanere agganciati”, come un pesce all'amo, a questi pensieri ricorrenti. In questo stato, diventano meno produttivi, si allontanano dai propri valori, cedono a reazioni impulsive o evitano le sfide. Questo problema viene spesso amplificato da strategie di auto-gestione inefficaci, come cercare di ignorare i pensieri difficili o riempire la giornata con compiti che evitano il confronto con le vere emozioni. La Soluzione? Sviluppare l'Agilità Emotiva: essere agili emotivamente significa riconoscere e gestire con consapevolezza i propri pensieri e le proprie emozioni, agendo secondo i propri valori. I leader con questa abilità sanno navigare le complessità quotidiane e fare scelte coerenti, senza farsi bloccare dalle emozioni. Sviluppare l’agilità emotiva aiuta i leader a essere autentici e a navigare le sfide lavorative con maggiore resilienza. Studi dimostrano che i leader agili emotivamente sono più innovativi, stressano meno il proprio team e ottengono risultati complessivi migliori. Imparare a gestire i propri pensieri e le proprie emozioni con agilità non è una soluzione rapida, ma una pratica continua. Tuttavia, i leader che sviluppano questa abilità riescono a creare ambienti di lavoro più positivi e ad affrontare con efficacia le complessità del mondo moderno. Credits by: HBR #psicologia #ilfattoreumano #coaching #benesserepsicologico #selfempowerment #psicologiadellavoro #psicologiaorganizzativa #leadership
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Un recente studio di psicologi di Stanford, pubblicato su *PNAS*, ha dimostrato che guardare un docudrama come "Il diritto di opporsi" non solo aumenta l’empatia verso le persone incarcerate ingiustamente, ma può anche influenzare le opinioni sulle riforme della giustizia penale. "Il diritto di opporsi" racconta la vera storia di Walter McMillian, un uomo afroamericano ingiustamente condannato a morte nel 1987, e il coraggio dell’avvocato Bryan Stevenson nel lottare contro un sistema pieno di pregiudizi razziali. Cosa ha rivelato lo studio? 🔹 Dopo aver visto il film, i partecipanti erano più empatici verso le persone incarcerate. 🔹 Gli spettatori erano il 7.66% più propensi a firmare una petizione per ripristinare i diritti di voto delle persone con precedenti penali. 🔹 L’effetto era uniforme: funzionava indipendentemente dalla razza del narratore o dall’orientamento politico del pubblico. Perché le storie funzionano? La professoressa Jennifer Eberhardt spiega che le narrazioni personali “toccano le persone in modi in cui i numeri non possono”. Le statistiche da sole spesso non bastano, anzi, possono alimentare atteggiamenti punitivi. Le storie, invece, toccano corde emotive e ci aiutano a vedere oltre i pregiudizi, avvicinandoci a esperienze di vita diverse dalle nostre. Lo studio di Eberhardt e del professor Jamil Zaki si aggiunge a ricerche precedenti che mostrano come esperienze narrative, dal teatro al cinema, possano cambiare il modo in cui le persone percepiscono questioni sociali complesse. Chiediamoci: Quanto spesso ci lasciamo guidare da narrazioni stereotipate? Possiamo usare le storie per costruire un mondo più empatico e giusto? Credits by: Stanford Report #psicologia #ilfattoreumano #coaching #benesserepsicologico #selfempowerment #psicologiadellavoro #psicologiaorganizzativa #film
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La televisione, da oltre 90 anni, è molto più di un mezzo di intrattenimento. È uno strumento che ha trasformato la società, ha unito culture diverse e ha plasmato il modo in cui comprendiamo il mondo. Dalle breaking news che ci tengono aggiornati agli show che ci fanno ridere, piangere o riflettere, la TV rimane una finestra aperta su storie, idee ed emozioni. 🔍 Dal punto di vista psicologico, la TV è una forma di narrazione visiva che ci permette di empatizzare con esperienze lontane dalle nostre. L'immersione narrativa che sperimentiamo quando guardiamo una serie TV o un documentario, stimola l’empatia, la comprensione e persino la crescita personale. 📊 Oggi, con la nascita delle piattaforme digitali, la televisione ha ampliato i suoi confini. Non è più solo un dispositivo fisico al centro del soggiorno, ma un’esperienza che possiamo portare ovunque, su smartphone, tablet e laptop. Eppure, la sua essenza rimane: creare connessioni, informare e intrattenere. 💡 In molti momenti di stress o difficoltà, la TV diventa per molte persone una forma di “comfort zone”. Un film che ci ricorda l'infanzia, un programma che ci fa evadere o una storia che ci dà il coraggio di affrontare le sfide della vita sono tutti esempi del suo potere terapeutico. Che sia attraverso un telegiornale che ci informa, una serie che ci emoziona o un talk show che ci ispira, la TV continua a essere un ponte tra esperienze individuali e collettive. #psicologia #ilfattoreumano #coaching #benesserepsicologico #selfempowerment #GiornataMondialeDellaTelevisione #Televisione #Intrattenimento