La industry si è innamorata. Ormai da tempo. L’infatuazione è velocemente passata dalla #passione travolgente all’amore duraturo e costante. Sempre uno a fianco all’altro: nei copy, nei comunicati stampa e negli articoli. Abbiamo letteralmente perso la testa per l’aggettivo “#iconico”. Siamo sicuri, però, che sia sempre usato in modo appropriato? Rispondiamo subito noi: no. Questo piccolo scritto, quindi, serve solo per andare alla radice della parola “iconico” per capire, in futuro, se quella voglia di farla uscire dalla penna sia giustificata oppure no. Necessario, quindi, partire dall’etimologia. La parola deriva dal termine latino iconicus, che a sua volta proviene dal greco antico εἰκονικός (eikonikós), che significa “relativo a un’immagine o rappresentazione” ma anche “essere simile”. Quest’ultimo deriva da εἰκών (eikṓn), che riporta a “immagine” o “figura”. L’#etimologia, dunque, riflette il significato originario legato alle immagini o simboli, spesso usato per descrivere qualcosa di rappresentativo o emblematico. La radice della parola, dunque, ci mostra il nucleo della questione: quando usiamo “iconico” non dobbiamo partire dall’oggetto che stiamo descrivendo ma dalla sua #rappresentazione. Rappresenta, per esempio, davvero un’idea, un movimento, un periodo storico, una comunità o una pratica in modo preciso? Chiaro che il concetto è molto ampio ma un bollitore in una stanza d’albergo non può essere iconico del settore dell’hotellerie (per fare un esempio surreale che non offende). La rappresentatività non solo deve essere acclarata ma deve anche essere immediata. Consideriamo, infatti, che prima del boom contemporaneo l’aggettivo “iconico” asseriva principalmente il mondo dell’arte riferendosi a sculture e pitture con un notevole grado di #somiglianza o corrispondenza formale con l’oggetto rappresentato. Questo vale anche in senso traslato come conferma l’enciclopedia Treccani che nella definizione di “iconico” specifica “relativo all’immagine o, più spesso, riferito a simboli conformi all’immagine del simboleggiato. In particolare segno iconico e rapporto iconico fanno riferimento al legame tra segno e oggetto significato”. Fuor di tecnicismo significa che una volta che avete individuato cosa rappresenti il vostro oggetto dovete assicurarvi che nel sapere collettivo il legame di rappresentazione sia immediato. È iconico se mi fa venire subito in mente quello che rappresenta. Il modello deve essere popolare quindi un automatismo universalmente immediato. Per intenderci: il #cartello dei lavori in corso è davvero iconico perché rimanda immediatamente a un concetto in modo similare e immediato. Anche se non particolarmente cool. In estrema conclusione potremmo dire che si inizierà a usare bene questo aggettivo quando si smetterà di utilizzarlo per darsi un tono che suona bene e come sinonimo stretto di “bello”, “di tendenza”, “celebre”, “esemplare” o “nostalgico”. Ricordatevi il cartello del cantiere: non lo è. 🪶 Alan Conti
Post di La Gazzetta Del Pubblicitario
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La industry si è innamorata. Ormai da tempo. L’infatuazione è velocemente passata dalla #passione travolgente all’amore duraturo e costante. Sempre uno a fianco all’altro: nei copy, nei comunicati stampa e negli articoli. Abbiamo letteralmente perso la testa per l’aggettivo “#iconico”. Siamo sicuri, però, che sia sempre usato in modo appropriato? Rispondiamo subito noi: no. Questo piccolo scritto, quindi, serve solo per andare alla radice della parole “iconico” per capire, in futuro, se quella voglia di farla uscire dalla penna oppure no. Necessario, quindi, partire dall’etimologia. La parola deriva dal termine latino iconicus, che a sua volta proviene dal greco antico εἰκονικός (eikonikós), che significa “relativo a un’immagine o rappresentazione” ma anche “essere simile”. Quest’ultimo deriva da εἰκών (eikṓn), che significa “immagine” o “figura”. L’#etimologia, dunque, riflette il significato originario legato alle immagini o simboli, spesso usato per descrivere qualcosa di rappresentativo o emblematico. La radice della parola, dunque, ci mostra il nucleo della questione: quando usiamo “iconico” non dobbiamo partire dall’oggetto che stiamo descrivendo ma dalla sua #rappresentazione. Rappresenta, per esempio, davvero un’idea, un movimento, un periodo storico, una comunità o una pratica in modo preciso? Chiaro che il concetto è molto ampio ma un bollitore in una stanza d’albergo non può essere iconico del settore dell’hotellerie (per fare un esempio surreale che non offende nessuno). La rappresentatività non solo deve essere acclarata ma deve anche essere immediata. Consideriamo, infatti, che prima del boom contemporaneo l’aggettivo “iconico” asseriva principalmente il mondo dell’arte riferendosi a sculture e pitture con un notevole grado di #somiglianza o corrispondenza formale con l’oggetto rappresentato. Questo vale anche in senso traslato come conferma l’enciclopedia Treccani che nella definizione di “iconico” specifica “relativo all’immagine o, più spesso, riferito a simboli conformi all’immagine del simboleggiato. In particolare segno iconico e rapporto iconico fanno riferimento al legame tra segno e oggetto significato”. Fuor di tecnicismo significa che una volta che avete individuato cosa rappresenti il vostro oggetto dovete assicurarvi che nel sapere collettivo il legame di rappresentazione sia immediato. È iconico se mi fa venire subito in mente quello che rappresenta. Il modello deve essere popolare quindi un automatismo universalmente immediato. Per intenderci: il #cartello dei lavori in corso è davvero iconico perché rimanda immediatamente a un concetto in modo similare e immediato. Anche se non particolarmente cool. In estrema conclusione potremmo dire che si inizierà a usare bene questo aggettivo quando si smetterà di utilizzarlo per darsi un tono che suona bene e come sinonimo stretto di “bello”, “di tendenza”, “celebre”, “esemplare” o “nostalgico”. Ricordatevi il cartello del cantiere: non lo è.
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Tim Ingold enfatizza che noi esseri umani plasmiamo il mondo non in base alla nostra essenza, ma piuttosto in base alle nostre percezioni e alle possibilità che immaginiamo. Queste possibilità sono vincolate dalla nostra capacità immaginativa. Costruiamo ciò che immaginiamo culturalmente e, di conseguenza, socialmente. Il modo in cui abitiamo diventa quindi una costruzione simbolica che guida le nostre scelte, influisce sulle nostre azioni e modella il linguaggio, proprio come avviene nelle relazioni con lo spazio. Nella mia ingenua immaginazione davo per scontato che anche il mondo dell'editoria seguisse questo auspicabile principio... Invece, è richiesto all'illustratore di porsi come un subordinato "costretto" ad accettare modifiche di stampa (come l'eccessiva saturazione del colore) che di fatto trasformano il bozzetto. Ieri sera ho avuto il piacere di partecipare ad un incontro con un fantastico artista, Gianluca Garofalo; con emozione e attenzione ho tenuto tra le mani i suoi bozzetti immergendomici con immaginazione... alcontempo, confrontandoli con quelli dell'albo, ho prova amarezza per la scelta editoriale che ne sbilanciava i colori e non rendeva giustizia alla capacità artistica dell'artista. Ho trovato interessante il suo intervento in cui, con trasparenza, ha sottolineato come l'illustrazione vada ben oltre la mera traduzione visiva di un testo. La vera illustrazione non si limita a replicare le parole in forma di immagini, a meno che non sia richiesto esplicitamente. Quando si richiede all'illustrazione di essere didascalica, deve adempiere a questo compito senza obiezioni, poiché questo è il suo scopo in quel contesto specifico. Non ci sono vie di fuga in tal caso. E' necessario però chiedersi se l'illustrazione può essere altro... come il racconto di ciò che non è raccontato. Grazie a libreria La Seggiolina Blu e Gianluca Garofalo
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Questa illustrata è la mia prospettiva: viene attuata in uno spazio alternativo contenuto in un "Altrove" extra mondo scoperto con la mia ricerca e chiamato con l'acronimo: (#ia) (#immateriale_arte) La sua natura profonda è tutta #digitale. Sono interessanti i lati che delimitano questa mia azione prospettica di natura #immateriale #effimera e #trasformativa sono 3: #umano #metafisica e #virtuale dentro questi limiti credo degli oggetti (#) estetici #immateriali fatti di #codice a #mano #dipinto all'atto pratico genero #mega #flussi #dati #dipinti come #tele Questa rappresenta una umana creatività aumentata, un accesso alla creatività del #digitale sviluppato dalla mente #umana ed è stata inventata qui da noi in #Italia. Tutto questo non è #AI ma si pone come un piccolo mattone (#ia) per lo sviluppo del #pensiero #pittorico #umano in uno #spazio #estetico #immateriale ∆ (#ia). Massimo Cerofolini qualche mese fa mi chiese di spiegare, la mia ricerca estetica al barista. Questo territorio (#ia) non è così semplice da spiegare essendo per sua natura composito ∆ é costruito su una prospettica che poggia sui quattro livelli d'astrazione della mia pittura dati dai tre lati del ∆ triangolo + la sua area: per cui territorio/area 4 #digitale lati che contengono la mia umana prospettiva: 1 #umano 2 #metafisica 3 #virtuale. In questo ambito prospettico (#ia) creo la pittura a #mano #libera di #codice o #mega #flussi di #dati #fluidi #dipinti generando (#) oggetti visivi #immateriali non visibili ad occhio nudo altro dal mio. Come si esce da questa #Utopia? Serve un #trasporto fatto di #luce #fluida capace di #raccontare il fatto pittorico come mai fatto prima, questo mezzo di trasporto è il #Quadro_Liquido.
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La passione per le arti visive e la scrittura diventano un incipit necessario per sposare, naturalmente, un percorso artistico, assecondando il suo bisogno di esternare il proprio immaginario più profondo.
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🌹Che cosa intendiamo quando parliamo di arte o quando usiamo la parola arte? Il significato della parola corre in nostro aiuto. Il discorso sull'arte si amplia e assume nuovo spessore. #arte #parole #significati #etimologia
Cos'è veramente arte?
https://www.b-hop.it
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Su noiarte.blog un mio articolo sui principi di una diversa antropologia cui guarda la cultura che pure muove le sue possibilità d’intenti, per fugare l’enigmaticità di alterazioni metamorfiche, nei suggerimenti di un’arte colta, che non disdegna l’immaginifico e non dimentica quanto è possibile comunicare con chi non ha voce per superare il silenzio. Per accedere all’arte, dunque. Per raccontarla nell’intellettuale fuoco che divora come chiarore nell’infinito che si rinnova negli artisti. Determinante sarebbe una linea competitiva che abbia quella componente riconoscibile all’interno di nuovi significati, risoluti nella definizione dei contorni che per ora non riescono a raccontare il mondo dell’arte in difficoltà, perché questa bellezza snaturata ha perso valore nel pensare di essere ovunque, mentre è assai rara. Buona lettura cliccando sulla foto. https://lnkd.in/dWZ29_7c
Un’indagine di tendenze e contributi critici
https://noiarte.blog
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Il volto nell’ arte tra realismo, idealizzazione, stilizzazione ed espressionismo. di Emanuela Pulvirenti 20 ottobre 2013 La rappresentazione del viso umano nella storia dell’ arte è un argomento complesso ma affascinante. Uno di quelli che si possono affrontare in maniera filosofica e dotta oppure in modo più intuitivo e sensoriale. Se volete approfondire la materia secondo il primo approccio non posso che consigliarvi la lettura dei numerosi testi di Flavio Caroli dedicati alle varie declinazioni del volto umano: dalla fisiognomica al viso di Cristo, dal rapporto volto-anima alla storia del ritratto dal Rinascimento ad oggi… In questo post voglio provare, naturalmente, con il secondo approccio, quello che ritengo più utile dal punto di vista dell’ efficacia didattica. Allora cominciamo subito con un video: una delle “analisi” più stupefacenti è, infatti, quella che Philip Scott Johnson, digital artist americano, ha realizzato montando in un unica sequenza “Cinquecento anni di ritratti femminili nell’ arte occidentale”. Nell’ ottica del learning by doing, però, non basta lasciarsi stupire dalle immagini ma produrne di proprie. Ecco allora l’ esercizio grafico per eccellenza: il ridisegno del volto e delle espressioni. Per fare ciò ci vengono incontro decine e decine di siti e blog con utili suggerimenti per principianti. Non si diventa, probabilmente, bravi come Leonardo da Vinci (suoi sono i disegni che vedete qui sotto), ma si imparerà a riconoscere le proporzioni e l’ armonia dei volti. È un esercizio istruttivo anche per chi avesse intenzione di produrre volti stilizzati o deformati ispirandosi a Modigliani, all’ arte cicladica, a quella africana o medievale… È evidente come, nella storia dell’arte, la raffigurazione del volto (maschile o femminile che sia) mostri un’alternanza di fasi che passano essenzialmente dal realismo all’ idealizzazione, dalla stilizzazione dei tratti alla loro deformazione espressionistica. https://lnkd.in/epNiEXVQ
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" IL DUELLO D'ONORE NELLA STRAVAGANZA DEL '700" Stay tuned! Oggi ci occuperemo di un elemento estremamente estetico, " IL VENTAGLIO" arma di seduzione e di sofisticata comunicazione, vediamo perché: Nel XVIII secolo, il ventaglio divenne un importante strumento di comunicazione non verbale per le dame dell'alta società europea, in particolare in Francia e Inghilterra. Questo linguaggio codificato permetteva alle donne di trasmettere messaggi discreti in situazioni sociali formali. Alcuni esempi di gesti e relativi significati: - Tenere il ventaglio chiuso e puntarlo: "Vorrei parlarti" - Appoggiare il ventaglio sulla guancia destra: "Sì" - Appoggiarlo sulla guancia sinistra: "No" - Aprire e chiudere velocemente il ventaglio: "Sono impaziente" - Far scorrere il ventaglio tra le dita: "Ti odio" Questo codice variava a seconda dei paesi e dei contesti sociali. Non era un linguaggio standardizzato, ma piuttosto un insieme di convenzioni che si sono evolute nel tempo. Il ventaglio era anche un accessorio di moda e uno status symbol. Spesso finemente decorato, poteva essere usato per nascondere espressioni del viso o per attirare l'attenzione in modo discreto. Il linguaggio del ventaglio si sviluppò principalmente nelle corti europee, in particolare in Francia, Spagna e Inghilterra. Si diffuse rapidamente tra l'aristocrazia e l'alta borghesia come parte dell'etichetta sociale. Il linguaggio era più elaborato di quanto si possa pensare. Oltre ai gesti semplici, esistevano combinazioni complesse che permettevano di trasmettere frasi intere o sentimenti articolati. Questa forma di comunicazione permetteva alle donne di esprimersi in un'epoca in cui la loro libertà di parola era spesso limitata in pubblico. Era un modo per aggirare le rigide norme sociali dell'epoca. I ventagli non erano solo strumenti di comunicazione, ma anche veri e propri oggetti d'arte. Venivano realizzati con materiali preziosi come avorio, madreperla e piume esotiche, e decorati con pitture raffinate o intarsi. Nel corso del XVIII secolo, furono pubblicati diversi manuali che spiegavano il linguaggio del ventaglio, contribuendo alla sua codificazione e diffusione. Con il passare del tempo e il cambiamento dei costumi sociali, l'uso del ventaglio come strumento di comunicazione iniziò a declinare verso la fine del XIX secolo. Affascinante, vero? Cosa ne pensate?
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Il Sentire nell'Arte e nella Creazione Parole, pensieri, fantasie: la mente viaggia, spinta dall'urgenza di esprimere ciò che nasce nel profondo. Scrivere non è segno di scarsità di idee, ma di un desiderio di analizzare e comprendere ciò che si cela dietro il pensare artistico. Gli artisti sono come fucine, capaci di forgiare idee e trasformarle in opere. Mi piace immaginare questa capacità come un'arte alchemica, simile a quella che la leggenda attribuisce al principe di Sansevero, che avrebbe trasformato il marmo in racconto visivo nel celebre Cristo Velato. Certo, tutto questo è finzione, ma la mente umana ha sempre creduto nella magia dell'arte, come un formaggio dai buchi che ci invita a scrivere storie per riempirli. Eppure, dietro ogni creazione non c'è magia, ma la straordinaria abilità dell'artista. La scuola napoletana ne è un esempio, ricca di talenti che hanno lasciato segni indelebili. Tuttavia, ciò che conta davvero non è il risultato, ma il percorso emotivo e intellettuale che porta alla creazione. Gli artisti, attraverso quadri, sculture o architetture, danno forma ai propri pensieri e sentimenti, come chi riversa amore in ciò che ama. L'arte è, per me, una compagna di vita. Quando non creo, mi sento perso, quasi svuotato. La creazione è un processo lungo e complesso, fatto di osservazione e riflessione. Non è immediato, ma il frutto di mesi di scrittura, disegni e calcoli. Mi considero, a volte, uno scriba medievale che annota ogni pensiero, esplora percorsi e li trasforma in progetti. Spesso passa un anno prima che un'idea prenda forma. Quando finalmente creo un'opera, la osservo per ore, giorni, cercando di coglierne l'anima, che in realtà è un riflesso delle mie emozioni. Questo processo non si esaurisce con la creazione: condivido l'opera, osservo le reazioni, e poi riparto da capo. Ora che sono più maturo, mi rendo conto che la mia sensibilità è cresciuta, emergendo non solo nei miei disegni, ma anche nel mio modo di parlare e relazionarmi. Non mi vergogno di questa evoluzione: un tempo ero una persona più chiusa, ora mi sento più sereno, più autentico. Questo cambiamento si riflette anche nella qualità del mio lavoro. L'arte figurativa rimane centrale per me. Non perché tema di esplorare nuovi linguaggi, ma perché il figurativo mi permette di dialogare con l'aspetto pedagogico e psicologico dell'essere umano. Quando insegno, vedo nei miei alunni uno specchio di ciò che provo: il desiderio di esprimere emozioni, di dare forma al proprio sentire. Questo mi rende felice, perché l'arte non è solo tecnica, ma interazione profonda con il proprio cuore e con ciò che ci circonda. L'arte mi avvicina alla natura, alla materia, al foglio, alla luce. Ogni elemento mi parla in silenzio, e io rispondo attraverso la creazione. Se mai questo dialogo si interrompesse, mi sentirei smarrito. Ma non è debolezza: è proprio in questo sentire che risiede la mia forza, la capacità di trasformare il fragile in solido, il caos in bellezza. M71
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Quando due litigano… Quasi mai consideriamo che la ricerca della verità di una questione, non ha a niente che fare con la sua Realtà, riguarda solo il suo vero apparire. La ricerca è importante, ma ciò che possiamo scoprire non è la Realtà, ne è semplicemente la sembianza, cioè ciò che possiamo afferrarne attraverso le nostre percezioni e sentire limitati. Infatti, un’esperienza è sempre frutto delle limitazioni di chi la vive e per quanti si cerchi di renderne oggettiva la conoscenza, essa rimane pur sempre legata alla nostra condizione di sentire relativo e soggettivo. La Realtà, ripeto, è tutt’altro da ciò che appare all’osservatore. Il mondo delle forme è pura apparenza. Siamo talmente condizionati mentalmente, che consideriamo reale solo ciò che è ripetibile, o che può essere testimoniato da più osservatori e per noi un fatto è tanto più reale, quanto più sono le prove fornite e le testimonianze (scienza docet, con tutte le sue limitazioni che fanno sorridere). A qualcuno può suonare strano, ma si è più vicini alla Realtà ammettendo la soggettività della realtà fisica. Difatti, se riusciamo ad accettare che ciascuno abbia una sua verità, realizziamo che la realtà di un fatto è frutto della somma delle esperienze che ne hanno tutti coloro che lo hanno sperimentato, ovvero, che la conoscenza di una cosa è data dalla somma di tante conoscenze individuali di quella cosa. Questo è un primo passo verso la comprensione, tuttavia, non è sempre opportuno tenere a mente che, neppure in questo caso siamo legittimati parlare di realtà di un fatto, ma solo di aver raggiunto la conoscenza condivisa ed accetta del suo “vero apparire”. Massimiliano in foto: Aethere, rete della vita - tecnica mista su tavola - particolare dimensioni: cm 111,5 x 69 x 2,5 anno di creazione : 2023 #art #sculpture #painting #artist #artwork #beauty #mind
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Grazie a Dio qualcuno l’ha detto. Non se ne può più.